Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25131 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1837/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

OMNIA IMPIANTI & SERVIZI Srl, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv.

Annunziata Lorenzo giusta procura in calce al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, viale Jonio n. 206 presso l’Avv. Villa

Francesca Silvia dello studio dell’Avv. Fioramanti Claudio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 96/40/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 27 luglio 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Dott. Corradini Grazia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento, emesso a seguito di contraddittorio sulla base dello scostamento emergente fra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dalla applicazione dello studio di settore ai sensi degli del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), della L. n. 427 del 1993, art. 62-sexies e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con riguardo alla annualità di imposta 2004 ma anche a quelle precedenti e successive, nonchè della violazione dei criteri di economicità stante la incongruenza dei ricavi puntuali di riferimento e minimi reiterata nel tempo, in relazione alla attività di commercio all’ingrosso di apparecchi ed accessori per impianti idraulici e di riscaldamento alla quale era applicabile lo studio di settore SMIIB, la Agenzia delle Entrate rettificò, per l’anno di imposta 2004, ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, i redditi dichiarati dalla Srl OMNIA IMPIANTI & SERVIZI, ritenendo che la contribuente non avesse giustificato in sede di contraddittorio la mancata congruità e che i maggiori ricavi fossero fondati anche sulla anomalia dei dati dichiarati, reiterata nel tempo, sulla incongruenza della redditività e sulla condotta antieconomica pluriennale.

Investita dal ricorso proposto contro l’accertamento dalla contribuente, che aveva dedotto la mancata dimostrazione delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore e che l’Ufficio non aveva tenuto in considerazione la specificità della impresa, con sentenza n. 212/7/2010 la Commissione Tributaria Provinciale di Varese accolse il ricorso ritenendo che l’Ufficio si fosse basato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore in carenza di precisi elementi atti a dimostrare quali fossero state le effettive incongruenze ed incoerenze dei valori dichiarati e ritenuti non congrui.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 96/40/2012 in data 23 febbraio 2012, rigettò l’appello della Agenzia delle Entrate che aveva ribadito come la incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo ed il comportamento antieconomico della impresa avessero corroborato le incongruenze desumibili dalla applicazione dello specifico studio di settore riferibile alla specifica attività svolta dalla contribuente. La Commissione Tributaria Regionale rilevò, in proposito, che, avendo la contribuente prodotto in sede di contraddittorio la documentazione contabile richiesta dall’Ufficio, come verbalizzato in sede di contraddittorio, aveva dimostrato la correttezza e la legittimità di quanto dichiarato, considerato che l’Ufficio nulla aveva opposto a seguito di tali produzioni, per cui il successivo accertamento basato sulla sola applicazione dello studio di settore era erroneo in quanto fondato su mere presunzioni smentite dalla produzione dei documenti contabili richiesti nel verbale redatto in data 14.5.2009.

Contro la sentenza di appello, depositata in data 27 luglio 2012, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto spedito l’8 gennaio 2013 e ricevuto l’11 gennaio successivo, affidato a due motivi, cui la contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 1993 n. 331, art. 62-bis e art. 62-sexies e della L. n. 546 del 1995, art. 3, comma 181, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata – in presenza dei principi consolidati anche nella giurisprudenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di accertamento basato sugli studi di settore, per cui essi costituiscono un sistema di presunzioni semplici la cui gravità precisione e concordanza nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare in via obbligatorio – erroneamente escluso che fosse a carico della contribuente l’onere della prova della sussistenza delle condizioni che autorizzavano l’esclusione della impresa dall’area dei soggetti cui potevano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica, considerato che, invece, tale prova incombeva sul contribuente che non poteva ribaltare le risultanze dello studio mediante la mera produzione della documentazione richiesta dall’Ufficio, così come la mancata opposizione dell’Ufficio a tale documentazione non poteva escludere la applicabilità degli studi di settore.

2.Con il secondo motivo, in una prospettiva subordinata, la ricorrente si duole di difetto di motivazione e di omesso esame di punti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè, ricadendo sul contribuente l’onere di motivare lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli stimati con gli studi di settore, attraverso la rappresentazione e la prova delle situazioni che avevano determinato perturbazioni nello svolgimento dell’attività tali da compromettere il risultato gestionale dell’impresa o la capacità di conseguire compensi nell’ambito dell’attività professionale, la sentenza impugnata non aveva esposto le ragioni per cui aveva ritenuto provato quanto dichiarato dal contribuente, non potendosi ragionevolmente ritenere che la mancata contestazione della documentazione da parte dell’Ufficio costituisse la prova della presunta correttezza e legittimità dei dati dichiarati, in assenza oltretutto della indicazione di qualsiasi elemento da cui ricavare come la mancata contestazione della documentazione potesse provare l’infondatezza della pretesa impositiva.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1. E’ principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, sui si ritiene di dare continuità in questa sede, quello per cui la determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa (v, da ultimo, Sez. 5 -, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019 Rv. 655077 – 01).

3.2. I parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano infatti valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (v., per tutte, Cass. sez. V, sent. 20.02.2015, n. 3415). Se ne deduce che l’onere della prova fra le parti risulta così ripartito: all’Ente impositore spetta la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre al contribuente compete fornire la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o, almeno, della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce, che imponga la necessità di una correzione dei parametri.

3.3. Nel caso di specie la contribuente non risulta avere mai contestato nel giudizio di merito e tanto meno nel contraddittorio che lo studio di settore utilizzato dall’Amministrazione finanziaria fosse proprio quello applicabile alla concreta attività d’impresa svolta. Solo con il controricorso nel presente giudizio (pag. 9) la società Omnia Impianti & Servizi sostiene che la Agenzia delle Entrate non avrebbe provato l’applicabilità dello standard prescelto alla sua specifica attività, però non indica in alcun modo, neppure in altra parte dell’atto difensivo, quando ed in quale atto la contestazione sarebbe stata posta, nè tanto meno quale altro standard sarebbe stato applicabile, per cui la deduzione resta priva di autosufficienza e di rilevanza a fronte delle risultanze della sentenza impugnata che indica come dato del tutto pacifico che lo standard applicato dall’Ufficio fosse quello previsto per la attività svolta in concreto dalla contribuente. Ciò posto, spettava quindi alla contribuente addurre e dimostrare nella fase procedimentale o anche nel giudizio, con il ricorso introduttivo, elementi indicativi della specifica realtà economica in cui era inserita tali da giustificare lo scostamento rispetto ai maggiori ricavi risultanti dallo studio di settore, cosicchè il giudice potesse enuclearli ed esaminarli, sotto il profilo del metodo di accertamento applicato in concreto e della interpretazione che ne aveva offerto la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 26635, 26636, 26637 e 26638, del 2009.

3.4. La sentenza impugnata non ha però fatto applicazione di tali principi poichè ha ritenuto che la produzione, da parte della contribuente, della documentazione contabile richiesta dall’Ufficio, non contestata dallo stesso, avesse dimostrato la correttezza e la legittimità di quanto dichiarato, rendendo così illegittimo il successivo accertamento basato sulla applicazione dello studio di settore in quanto fondato su mere presunzioni smentite dalla produzione dei documenti contabili, pur in assenza, da parte della contribuente, della allegazione e della prova degli elementi che avrebbero potuto giustificare lo scostamento, che però non potevano consistere nella presenza della documentazione contabile, pur se in ipotesi regolarmente tenuta, essendo consolidato in giurisprudenza il principio per cui il potere accertativo non è impedito dalla regolarità della contabilità tenuta dal contribuente, che non può costituire neppure una valida prova contraria a fronte degli elementi presuntivi desumibili dai parametri suindicati. Infatti il potere di accertamento dell’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e della L. n. 549 del 1995, art. 3, una volta che l’amministrazione finanziaria abbia applicato l’parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa, non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente (v., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6929 del 20/03/2013 Rv. 625850 – 01), considerato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, essendo al contrario di questa – indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23096 del 14/12/2012 Rv. 625131 – 0; in tal senso v. anche Sez. Un. Sentenza n. 26635 del 18/12/2009 Rv. 610694 – 01 secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria).

3.5. La sentenza impugnata ha quindi completamente trascurato la regola iuris applicabile nel caso in esame, con riguardo alla tipologia di accertamento prescelto dalla Amministrazione Finanziaria, in virtù della quale, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, gravava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la attività di impresa dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura, posto che non ha neppure preso in esame tale impostazione soffermandosi invece soltanto sulla produzione da parte del contribuente della documentazione contabile richiesta dall’Ufficio e sulla mancata contestazione della documentazione prodotta da parte dello stesso.

3.6. E’ opportuno aggiungere che appare in proposito corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), come avvenuto nella specie, considerato che il motivo di ricorso pone proprio una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, relativa alla applicazione in astratto della metodologia di accertamento di cui si tratta e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

4. Poichè la sentenza impugnata non si è attenuta ai principi sopra indicati, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo che la Agenzia ha proposto solo in via subordinata, essa deve essere quindi cassata, con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Lombardia, che dovrà pronunciarsi sull’assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere della prova contraria, attenendosi ai principi di diritto sopra indicati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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