Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25131 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2018, (ud. 10/04/2018, dep. 10/10/2018), n.25131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28547-2016 proposto da:

P.B., P.P., P.A. nato a

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.B. VICO 1,

presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARCO GROSSI;

– ricorrenti –

contro

PI.AL., P.A. nato a (OMISSIS), PE.MA.,

A.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6061/2016 della CORTE D’APPELLO di R01/121,

depositata il 12/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Cassino, con sentenza n. 25 del 2011, dichiarava aperte le successioni di A. e P.F. e assegnava in comunione ai fratelli A., B. e P.P., a seguito di istanza congiunta, un fabbricato con annesso giardino, orto e locale deposito sito in (OMISSIS), ordinando ai tre assegnatari di corrispondere all’altro erede, Pi.Al. la somma di 52.768,00 e la medesima somma agli eredi di P.L.P., compensate le spese di giudizio.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 6061 del 2016, rigettava l’appello principale proposto dai fratelli A., B. e P.P., relativamente alla determinazione del valore del bene, ritenendo infondati i motivi di impugnazione e dichiarava inammissibile l’appello incidentale proposto da Pi.Al., compensando le spese di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma gli originari appellanti principali propongono ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, sono rimasti intimati Pi.Al. e A., Pe.Ma. e A.C..

Ritenuto che potesse essere accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo ed il secondo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alla parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 726 c.c., quanto al criterio di stima da adottare ai fini della valutazione dell’immobile oggetto di divisione. In particolare, i ricorrenti si dolgono per avere la sentenza della Corte d’appello preso in considerazione il valore di trasformazione del bene, così condividendo la determinazione del valore dell’immobile effettuata dal CTU nel corso del giudizio di primo grado, da loro subito criticata.

Invero, ad avviso di parte ricorrente, il criterio del valore di trasformazione violerebbe l’art. 726 c.c., il quale fa riferimento al solo valore venale del bene, coincidente con il prezzo di mercato dell’immobile da valutare al tempo della divisione.

In più, i ricorrenti lamentano che il consulente tecnico abbia posto alla base della valutazione la variante generale al PRG, adottata dal Comune di Cassino il 23 dicembre 2004, dunque solamente in seguito all’instaurazione del giudizio, e peraltro misura decaduta al momento della decisione di primo grado, in quanto non approvata dalla Regione Lazio.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per erronea, carente e/o insufficiente motivazione in ordine alle risultanze della CTU. A detta dei ricorrenti, la Corte d’appello non avrebbe correttamente interpretato le conclusioni del CTU, nel senso che non sarebbe spettato al CTU effettuare la stima sulla base di un criterio discrezionale, dal momento che la legge fissa al riguardo principi rigorosi. Inoltre, la Corte di merito avrebbe del tutto omesso di rispondere alle ulteriori critiche mosse alla CTU in sede di gravame.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 345 c.p.c., circa l’ammissibilità delle nuove domande e delle nuove prove in appello.

In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente considerato come nuova la deduzione relativa alla mancata approvazione della variante generale al PRG adottata dal Comune di Cassino il 23 dicembre 2004, nonchè tardiva la documentazione allegata sul punto. Di converso, i ricorrenti assumono di aver dedotto la circostanza già nella comparsa conclusionale depositata nell’ambito del giudizio di primo grado, per poi reiterarla nell’atto di citazione in appello. In più essa, sempre a detta dei ricorrenti, non potrebbe considerarsi nuova, riferendosi all’oggetto del giudizio e determinando soltanto una diversa quantificazione del valore del bene oggetto della divisione.

E’ pregiudiziale l’esame del terzo motivo di ricorso che appare fondato. E’ pacifico che la Corte di appello non ha esaminato la circostanza relativa alla mancata approvazione della variante generale al PRG da parte della Regione seppure dedotta dagli appellanti in sede di comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e reiterata nell’atto introduttivo del gravame, con allegazione di copia degli atti a dimostrazione dell’assunto nel corso del giudizio di secondo grado – ritenendo la novità della deduzione.

Premesso che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appelatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, i passi dell’atto introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate (Cass. n. 11738 del 2016; Cass. n. 19410 del 2015).

Ciò posto, nella specie, come asserito dai ricorrenti e diversamente da quanto statuito dalla sentenza impugnata (v. pag. 3 della decisione), la questione della mancata approvazione della variante era stata dedotta già in comparsa conclusionale depositata nel giudizio di primo grado (v. punto D) della pag. 8 della medesima comparsa) e riproposta nell’atto di appello (v. pag. 10 dell’atto di citazione).

Dalla documentazione in atti peraltro risulta dimostrato che la variante in questione, adottata dal Comune in data 23.12.2004, è decaduta allo scadere del successivo quinquennio (ossia il 23.12.2009) per mancata approvazione da parte della Regione e, quindi, in un momento successivo all’espletamento dell’istruttoria. A fronte di siffatta successione temporale degli atti amministrativi de quibus, la Corte di merito si è limitata a rilevare la tardività della produzione e dell’allegazione, senza neanche valutare la natura paranormativa del PRG e delle sue modifiche.

Infatti, le prescrizioni del piano regolatore, una volta approvate e pubblicate nelle forme previste, assumono valore generale a contenuto normativo, conseguentemente il giudizio sull’approvazione o meno della variante da parte della regione ha natura squisitamente giuridica, con applicabilità del noto brocardo “iura novit curia” (Cass. n. 2737 del 2012).

Nella specie il CTU ha posto alla base dell’incremento del valore del bene oggetto di stima un atto ancora non definitivo e, dunque, privo di tale valore normativo, con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto accertare l’avvenuta approvazione della variante da parte della regione, essendo tale rilievo un atto attinente all’individuazione della normativa applicabile al caso in esame.

In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il secondo, e il provvedimento impugnato va cassato sul terzo punto, con rinvio, per l’esame della mancata approvazione della variante generale al PRG, da parte della Regione, nonchè dell’allegata documentazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo ed il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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