Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25131 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 21/11/2016, dep. 07/12/2016), n.25131

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 709 del 28 novembre 2013 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che, accogliendo il ricorso proposto dalla Emona – Istituto Agricolo Immobiliare di Lubiana s.r.l., aveva annullato la cartella di pagamento per IVA ed IRES relativa all’anno di imposta 2005 emessa nei confronti della predetta società a seguito di controllo formale della dichiarazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

1.1. Sostenevano i giudici di appello che nell’anno di imposta 2005 la società aveva maturato un credito IVA di Euro 280.629,00 (da aggiungersi a quello consolidato nel 2004 pari ad Euro 4.326.823,00) e tuttavia, con riferimento al credito maturato nel precedente anno di imposta (2004), aveva indicato in dichiarazione compensazioni per Euro 48.958,00 ma in concreto aveva utilizzato l’importo complessivo di Euro 219.240,00, cosicchè era corretta la pretesa tributaria di pagamento della differenza pari ad Euro 170.282,00. Rilevavano altresì che nella medesima dichiarazione la società contribuente aveva indicato ai fini IRES un’eccedenza di imposta da precedente dichiarazione pari ad Euro 124.930,00 omettendo di indicare però l’utilizzo parziale di quel credito per Euro 89.956,00.

2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società contribuente sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria depositata ex art. 378 c.p.c., cui replica l’intimata con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame da parte del giudice di appello del motivo di nullità della cartella di pagamento, proposto con il ricorso introduttivo, per omessa comunicazione da parte dell’Agenzia delle entrate del c.d. avviso bonario di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2002 nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c..

4. Con il quarto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58.

5. Il primo motivo è inammissibile.

5.1. Al riguardo deve osservarsi che la domanda di nullità della cartella di pagamento per omesso invio della comunicazione di irregolarità di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, proposta in primo grado dalla ricorrente ed il cui esame era senz’altro pregiudiziale al motivo inerente la fondatezza della pretesa tributaria azionata con la notifica della cartella impugnata, è rimasta assorbita dalla statuizione di fondatezza nel merito del ricorso, pronunciata dal giudice di primo grado. La società contribuente, quindi, avrebbe dovuto costituirsi nel giudizio di appello ed in quella sede riproporre la questione rimasta assorbita, così come prescrive il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, costantemente interpretato da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 26830 del 2014) nel senso che nel processo tributario la volontà dell’appellato, che sia risultato totalmente vincitore in prime cure, di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, non solo in modo “specifico” come richiede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, ma anche tempestivamente, ossia – a pena di decadenza – nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio. Sicchè tale volontà di riproposizione non può essere manifestata in un atto successivo nè tanto meno può essere riproposto in sede di giudizio di legittimità.

6. Il secondo e quarto motivo devono esaminarsi congiuntamente perchè tra loro strettamente connessi.

La ricorrente sostiene che la cartella impugnata non conteneva tutti i dati giustificativi della richiesta imposizione, che non era dato comprendere in base a quali atti e documenti la Commissione Regionale abbia ricavato le somme indicate nella sentenza impugnata, atteso che nella cartella di pagamento (agli atti e della quale è sufficiente la mera lettura) nulla di tutto ciò risulta riportato e/o dettagliato, che ciò rendeva evidente la necessità dell’invio dell’avviso bonario, che l’Ufficio finanziario era rimasto contumace nel primo grado di giudizio, che pertanto gli unici atti disponibili erano quelli prodotti da essa contribuente unitamente al ricorso di primo grado, che l’Ufficio non avrebbe potuto produrre ulteriori documenti in sede di gravame.

6.1. I motivi sono palesemente inammissibili in quanto la ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso (cfr. Cass. n. 14784 del 2015, n. 26489, n. 19306 e n. 14541 del 2014), omette di riprodurre nel ricorso il contenuto della cartella e di indicare la documentazione che l’Amministrazione finanziaria avrebbe depositato nel giudizio di appello, così impedendo a questa Corte – che in considerazione del tipo di vizio denunciato non ha accesso agli atti del giudizio di merito – di effettuare le necessarie verifiche di fondatezza dei motivi esaminati (v. Cass. n. 15952 del 2007), dovendosi altresì evidenziare che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza (cfr., ex multis, Cass. n. 22776 del 2015) e che l’invito a rendere chiarimenti è subordinata alla sussistenza, nella specie dalla ricorrente nè provata nè tanto meno dedotta, di un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione o dell’accertamento di una imposta maggiore o diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo.

7. Il terzo motivo è inammissibile per difetto di decisività, in quanto non costituente autonoma ratio decidendi, e per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso persino di indicare quali prove aveva fornito per contrastare le pretese tributarie esposte nella cartella di pagamento impugnata.

8. In estrema sintesi, i motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, nonchè al rimborso delle spese eventualmente prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

 

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