Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25130 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2018, (ud. 10/04/2018, dep. 10/10/2018), n.25130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26185-2016 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI CIGLIOLA;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

22, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, rappresentata

e difesa dall’avvocato MARCELLO MAGGIO;

– controricorrente –

contro

L.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2777/2016 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 05/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Lizzano, con sentenza n. 2765 del 2015, accogliendo la domanda proposta da S.R., condannava P.C. ad estirpare il filare di alberi di alto fusto piantati a distanza non legale dal confine con il fondo di proprietà dell’attrice, oltre alla rifusione delle spese processuali. Il Tribunale di Taranto rigettava il gravame interposto dalla P., per l’effetto confermando la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellante alle spese di secondo grado.

Avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, la P. propone ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi, cui resiste la S. con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– preliminarmente va osservato che nessun rilievo può essere attribuito al certificato di decesso della ricorrente in data 06.02.2017, depositato agli atti dal difensore, per essere l’evento occorso in pendenza della presente fase di giudizio e per effetto del principio dell’ultrattività del mandato alle liti (cfr Cass. Sez. Un. n. 15295 del 2014), per cui il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, e ciò senza considerare che comunque gli eventi interruttivi non hanno alcuna incidenza nel giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio;

– venendo al merito del ricorso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c.. Ad avviso di parte ricorrente, la sentenza del Tribunale di Taranto sarebbe viziata nella parte in cui non avrebbe considerato l’acquisto del diritto per intervenuta usucapione a tenere alberi a distanza inferiore a quella legale, fatto non specificatamente contestato.

Con il secondo motivo è dedotta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c., avendo il giudice del gravame erroneamente ritenuto non esplicitate nei motivi di appello l’eccezione e la prova dell’intervenuta usucapione.

Con il terzo motivo è lamentata, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., in materia di usucapione dei diritti reali immobiliari. A detta della P., il Tribunale di Taranto avrebbe errato nel ritenere mancante la prova circa il termine iniziale di decorrenza del possesso ai fini dell’usucapione, avendo ella indicato di aver messo a dimora le suddette piante da oltre trent’anni.

Con il quarto ed ultimo motivo, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il giudice del gravame statuito sulla sporgenza dei rami degli alberi oltre il muro di confine, circostanza che non era stata dedotta in giudizio dalle parti.

Il primo ed il terzo mezzo, che possono essere trattati congiuntamente, venendo entrambi – seppure sotto diversa prospettazione – sull’acquisto per usucapione del diritto di tenere alberi a distanza inferiore a quella legale, sono privi di pregio per le ragioni di seguito illustrate.

In ordine alla pretesa violazione del principio di non contestazione, occorre premettere che, se da un lato, il sistema di preclusioni del processo civile e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, comporta per queste ultime l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, dall’altro tale sistema suppone che la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti specifichi anzitutto le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l’altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse (Cass. n. 21847 del 2014).

In altri termini, l’onere di contestazione è correlato alle affermazioni contenute negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle parti medesime e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi (Cass. n. 22055 del 2017).

Inoltre, sotto un secondo profilo, occorre aggiungere che il ricorrente avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità, dolersi della mancata contestazione già nella precedente fase del giudizio, in grado di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di esame non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 907 del 2018).

Nella specie, il ricorrente, oltre a non dimostrare di aver dedotto la questione nel giudizio di merito, non riportando per esteso le difese svolte dalla stessa in primo e in secondo grado, nè indica le allegazioni da lei formulate in fase di costituzione nel giudizio di primo grado, limitandosi a riferire di avere eccepito l’intervenuta usucapione, deducendo genericamente di aver messo a dimora alberi a distanza inferiore a quella legale da oltre trent’anni.

Dal controricorso, del resto, emerge che la ricorrente, nelle sue prime difese, si è limitata a dichiarare che le piante erano lì “da tempo immemore” (v. controricorso a pag. 10 che richiama pag. 3 della comparsa conclusionale della convenuta), oltre ad utilizzare nell’atto di citazione in appello locuzioni generiche come “nel corso di questi decenni” (v. controricorso a pag. 10 che richiama pag. 5 dell’atto di appello).

In altri termini, i motivi non sono assolutamente chiari nei loro contenuti dal momento che non esplicitano più di quanto innanzi riportato in sintesi, e, quindi, non consentono l’esatta individuazione delle stesse questioni rimesse all’esame di questa Corte di Cassazione, anche in termini della loro eventuale novità (non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni estranee al tema del decidere del giudizio d’appello), come la non contestazione, posto che il giudice del gravame ha precisato che l’appellata aveva contestato l’eccezione di destinazione del padre di famiglia e di acquisizione del diritto per intervenuta usucapione perchè non introdotte nel giudizio di primo grado ed ha chiarito che la convenuta in primo grado non aveva “dedotto alcun mezzo istruttorio al fine di dimostrare l’invocato diritto” “…non essendo sufficiente dichiarare di possedere il bene da tempo immemorabile”.

A fronte di siffatte argomentazioni le censure svolte sono generiche perchè, in violazione del principio di specificità dei motivi, proprio del ricorso per cassazione, non precisano lo stesso e connesso quadro fattuale di riferimento (tutte le ulteriori eccezioni e domande svolte in primo grado), e si risolvono in una mera – come tale inapprezzabile – contestazione della decisione impugnata, per quanto non esprimono alcuna puntuale critica delle ragioni di decisione adottate: eppure la sentenza impugnata espone quali fossero i limiti devolutivi del mezzo di gravame proposto, che, non comportando un iudicium novum, ma una revisio prioris instantiae, doveva ritenersi circoscritto alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici ed argomentati motivi, nella specie coinvolgenti la ritenuta (in primo grado) violazione delle distanze nella messa a dimora delle piante;

– in riferimento al secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c., premesso che la violazione dell’art. 342 c.p.c. ricorre in ipotesi di genericità dei motivi di appello e non già di genericità della sentenza, si deve replicare che, come risulta dal tenore letterale della decisione impugnata, il Tribunale non ha pronunciato alcuna inammissibilità dell’appello, ma ne ha motivato il rigetto, argomentando che l’appellante avrebbe dovuto eccepire e provare già in primo grado i presupposti dell’intervenuta usucapione (v. pag. 6, secondo capoverso, della sentenza), muovendo proprio dall’esame delle censure e della situazione processuale, per giungere alla decisione assunta, sicchè in questo quadro, il vizi denunziato non sussiste;

– infine il quarto motivo, con cui la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione è da ritenere superato dal rigetto pregiudiziale del primo e del terzo motivo.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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