Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25130 del 08/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 25130 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 11096-2011 proposto da:
MONTAGNER PAOLO MNTPLA48L16F332R, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio
dell’avvocato PANARITI BENITO, rappresentato e difeso
dall’avvocato CURINI MAURIZIO, giusta procura speciale a margine
del ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controdcorrente –

Data pubblicazione: 08/11/2013

avverso la sentenza n. 16/7/2010 della Commissione Tributaria
Regionale di VENEZIA-MESTRE del 19.1.2010, depositata il
23/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito per il ricorrente l’Avvocato Maurizio Curini che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.
IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

Ric. 2011 n. 11096 sez. MT – ud. 10-10-2013
-2-

CARACCIOLO;

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Venezia ha accolto l’appello principale dell’Agenzia e respinto l’appello
incidentale di Montagner Paolo -appelli proposti contro la sentenza n.107/05/2006
della CTP di Treviso che aveva accolto il ricorso del Montagner limitatamente alla
quantificazione delle sanzioni- ed ha così rideterminato nell’ammontare di €
24.342,00 la sanzione inflitta al Montagner siccome legale rappresentante della
“Industria Marmi srl” (in fallimento) per effetto dell’accertamento operato nei
confronti della predetta società a riguardo di ricavi extracontabili non fatturati relativi
all’anno 1998.
La predetta CTR ha motivato la decisione —dato atto che il primo giudice aveva
erroneamente determinato l’anzidetta sanzione identificando l’ammontare dovuto per
il caso di mancata impugnazione, corrispondente ad un quarto delle sanzioni
comminate nel provvedimento- evidenziando che l’errore di fatto era stato
riconosciuto dalla stessa parte appellata, la quale ultima aveva però preteso che si
applicasse il beneficio della riduzione ad un quarto della sanzione, dopo il raggiunto
accertamento con adesione tra l’Ufficio e la curatela fallimentare. Secondo la
Commissione di appello detta istanza non era accoglibile perché il beneficio (secondo
l’art.16 del D.Lgs. 472/1997) è condizionato proprio dalla mancanza di
impugnazione e di istanza di accertamento con adesione. L’annullamento di ufficio di
un atto era pure fattispecie estranea alla previsione del predetto art.16. Alla
definizione agevolata il contribuente avrebbe potuto ricorrere in pendenza del termine

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letti gli atti depositati

per effettuare l’impugnazione. D’altronde, la richiesta di applicazione del beneficio
risultava essere domanda nuova, perché non proposta in primo grado.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.7 del
D. L. 269/2003) la parte ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che il giudice di
appello abbia (con il suo silenzio) evidenziato che le violazioni contestate al
Montagner dovevano ritenersi antecedenti all’entrata in vigore della menzionata
disposizione di legge la quale prevede che le sanzioni amministrative siano
esclusivamente a carico della persona giuridica a proposito di tutte le violazioni non
ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in
vigore del predetto decreto legge.
Il motivo appare inammissibilmente formulato.
Ed invero la parte qui ricorrente nulla di analitico ha specificato in ordine alla
modalità con le quali avanti al giudice di appello è stata formulata censura (rispetto
alla quale il giudicante avrebbe serbato il suo suggestivo silenzio) coerente con il
contenuto del motivo di impugnazione qui in esame, circa l’inapplicabilità al
Montagner della sanzione riferibile alla sola persona giuridica.
D’altro canto, anche nella sentenza impugnata —come già si è detto- non si da atto del
fatto che le censure di parte appellante vertessero sulla questione dianzi riassunta,
mentre si riferisce che la parte appellante incidentale si era limitata ad instare per
l’applicazione del beneficio della riduzione della sanzione a mente dell’art.16 del
D.Lgs. 472/1997.
Con il secondo ed il quarto motivo di ricorso (entrambi centrati sul vizio di
motivazione) la parte ricorrente si duole del fatto che la sentenza di primo grado
abbia osservato che nulla avrebbe impedito al Montagner di ricorrere alla definizione
agevolata delle sanzioni in pendenza del termine per impugnare il provvedimento,

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della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.

così omettendo di considerare che la effettiva sanzione irrogabile (e cioè quella
risultante a seguito della definizione in sede di autotutela dell’imponibile e delle
sanzioni nei confronti del fallimento della società Industria Marmi srl) non era stata
mai neppure effettivamente comminata al ricorrente, sicchè quest’ultimo non avrebbe
potuto accedere al beneficio.

avendo la parte ricorrente debitamente giustificato (e comunque apparendo evidente
il giudizio negativo da attribuirsi a ciò) il requisito della decisività del fatto in
relazione al quale assume che la motivazione sarebbe stata illogica o inidonea, specie
alla luce del rilievo che il giudicante ha fondato il proprio convincimento non già
sull’argomento che è oggetto delle censure (da considerarsi un argomento “ad
colorandum”) ma sulla inapplicabilità dell’istituto della riduzione di cui al
menzionato art.16 alla fattispecie di causa.
Con il terzo motivo di ricorso (centrato sulla violazione dell’art.10 del D.Lgs
n.212/2000) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice di primo grado —nel
pronunciarsi in ordine all’applicabilità dell’istituto previsto dal menzionato art.16non aveva tenuto conto del fatto che l’importo complessivo delle sanzioni irrogate
con l’avviso di accertamento era stato modificato in seguito all’annullamento parziale
operato dall’Ufficio che —in autotutela- aveva abbandonato la pretesa originaria. Ciò
aveva impedito al Montagner di essere ammesso a pagare “le sanzioni effettivamente
irrogabili”, cioè quelle rideterminate nei confronti della società.
Anche quest’ultimo motivo di impugnazione appare inammissibilmente formulato,
non avendo la parte ricorrente fornito alcuna delucidazione in ordine alla relazione tra
gli argomenti sviluppati nel motivo medesimo e la violazione della disposizione
indicata in rubrica (l’art.10 del D.Lgs. n.212/2000) che lo sorregge.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 30 novembre 2012

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I motivi di impugnazione dianzi riassunti appaiono entrambi inammissibili, non

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa i cui contenuti non
inducono il collegio a riconsiderare gli argomenti posti dal consigliere relatore a
sostegno della proposta di soluzione della controversia;

motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in E 2.800,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2013.

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i

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