Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25128 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. I, 08/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 08/10/2019), n.25128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26156/2018 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Angelico n. 38,

presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 10810/18 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

06/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2019 dal cons. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.B., cittadina originaria della Cina propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Roma pubblicato il 6 agosto 2018 che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che la vicenda narrata risultava poco credibile, considerate diverse incongruenze del racconto e la complessiva inverosimiglianza dell’impianto narrativo.

Il Tribunale ha altresì evidenziato che in Cina non vi è una situazione di violenza generalizzata, di tale gravità e diffusione da integrare il presupposto di cui al D.P.R. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità della richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia l’errato esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni in giudizio della ricorrente in ordine alla valutazione della sua condizione personale.

In particolare la ricorrente deduce che, pur prescindendo dalla valutazione di scarsa credibilità, la narrazione integrerebbe comunque gli estremi, se non per l’attribuzione dello status di rifugiato, quanto meno per la protezione sussidiaria o umanitaria atteso che è in atto una persecuzione verso le chiese domestiche cristiane e lo Stato non garantisce adeguata protezione.

Il secondo motivo denuncia violazione di legge lamentando che il tribunale avrebbe omesso di esaminare la condizione di persecuzione religiosa esistente in Cina.

I motivi, che per la stretta connessione vanno unitariamente esaminati sono inammissibili, in quanto non attingono la fondamentale ratio decidendi costituita dalla valutazione di mancanza di credibilità del racconto della richiedente asilo.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. 3340/2019)

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che il racconto risultava lacunoso e poco verosimile avuto riguardo al nucleo centrale, costituito dalla conversione alla religione della chiesa domestica Yin Xin Cheng Yi, sulla quale la ricorrente ha riferito concetti superficiali e banali che denotavano la mancanza di un effettivo coinvolgimento spirituale; nel corso dell’audizione la richiedente era caduta più volte in contraddizione ed aveva reso una versione del tutto improbabile del proprio arresto e della fuga successiva. Del tutto inverosimile, infine, il fatto che la ricorrente, nonostante abbia dichiarato di essere ricercata dopo la fuga, si sia allontanata dalla Cina in aereo con passaporto e visto turistico regolari, senza alcun problema ed, una volta in Italia, piuttosto che chiedere immediatamente asilo, abbia svolto attività lavorativa senza contratto.

Sulla base di tali valutazioni, il tribunale ha correttamente respinto la domanda avente ad oggetto lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Ed invero, qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili, alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Il terzo motivo lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria, alla luce delle condizioni socio economiche del paese di provenienza del richiedente.

Il motivo è inammissibile, sostanziandosi in una censura di merito, a fronte del compiuto accertamento del tribunale, sulla base di fonti aggiornate ed attendibili, sulla situazione della Cina, che esclude la sussistenza, in quel paese, di una situazione di una violenza generalizzata e diffusa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Considerata la mancanza di credibilità della narrazione è invece irrilevante, come già evidenziato, la situazione della limitazione della libertà religiosa in Cina, non potendo da essa farsi discendere, in mancanza di prova di una situazione individualizzante direttamente riconducibile alla richiedente, la protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. b).

Il quarto motivo lamenta la mancata concessione alla richiedente della protezione umanitaria, pur in presenza di seri motivi di carattere umanitario, anche in relazione alla disposizione del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 e della L. n. 110 del 2017 che ha introdotto il reato di tortura, nonchè ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU.

Il motivo è infondato.

E’ infatti evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene la allegazione della specifica situazione di fragilità della richiedente, limitandosi ad una astratta e generica deduzione della situazione di grave limitazione della libertà religiosa in Cina, senza peraltro l’indicazione di elementi concreti e di indici di un effettivo radicamento della richiedente nel nostro paese.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero dell’interno non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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