Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25127 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep. 07/12/2016), n.25127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5246 del ruolo generale dell’anno 2013,

proposto da:

s.p.a. SAPIS in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore

e M.A., entrambi rappresentati e difesi dall’avv. Giovan

Candido Di Gioia, presso lo studio del quale in Roma, alla piazza

Mazzini, n. 27, elettivamente si domiciliano;

– ricorrenti-

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sede di Salerno, sezione 9, depositata in

data 6 luglio 2012, n. 247/9/12;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza dell’8 novembre 2016

dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentiti per i contribuenti l’avv. Giovan Candido Di Gioia e per

l’Agenzia delle Dogane l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;

udito il sostituto procuratore generale Immacolata Zeno, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La contribuente svolge attività di distillazione di prodotti vinicoli e fino al 2007 ha detenuto nei propri stabilimenti, costituenti depositi fiscali, alcole di proprietà dell’AGEA. In esito ad una verifica fiscale del 2006, alla società sono state contestate violazioni consistenti nella detenzione in condizioni diverse da quelle prescritte di un certo quantitativo di litri anidri di alcole buon gusto appartenente all’AGEA, nella deficienza e nell’eccedenza di altri quantitativi di litri anidri di alcole buon gusto e di acquavite di vino; il processo verbale si è quindi tradotto in un atto di contestazione di sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 7 e in un avviso di pagamento per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 43, comma 1, lett. a) e comma 4 e art. 47, commi 1 e 2. Nel corso del giudizio scaturito dall’impugnazione degli atti l’Agenzia li ha annullati d’ufficio, il che ha determinato la dichiarazione di estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere; successivamente, peraltro, l’ufficio ha emesso nuovo atto di contestazione e nuovo avviso di pagamento con i quali ha irrogato la sanzione ed ha preteso il pagamento dell’accisa in misura ridotta, contestando l’irregolare tenuta del registro di carico/scarico per la movimentazione dell’alcole denaturato, la mancata esibizione del registro di carico/scarico per i prodotti alcolici denominati acquaviti di vino, lo stoccaggio senza autorizzazione di acquavite di vino e di alcole buon gusto, l’eccedenza di acquavite di vino da materie vinose e di alcole buon gusto di proprietà dell’AGEA, la detenzione di alcole in condizioni diverse da quelle prescritte, nonchè deficienze di alcole assoluto, di alcole T/C e di acquavite di vino.

La società ed M.A. hanno nuovamente impugnato atto di contestazione ed avviso di pagamento, senza successo nè in primo, nè in secondo grado. In particolare, il giudice d’appello ha rimarcato che l’Agenzia ha svolto i controlli secondo criteri e metodi stabiliti dalla legge ed in contraddittorio con la società, ha escluso la ventilata duplicazione dell’imposta, sostenendo che il recupero dell’accisa riguardi unicamente la parte di prodotto mancante illecitamente sottratta ed ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 47, comma 2 nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 43.

Avverso questa sentenza propongono ricorso i contribuenti per ottenerne la cassazione, che affidano a quattro motivi e che illustrano con memoria ex art. 378 c.p.c., e l’Agenzia reagisce con controricorso.

Diritto

1.-Infondato è il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, col quale i contribuenti denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia in ordine alla rilevanza della sentenza n. 1010 del 2011, divenuta cosa giudicata, con la quale il Tribunale di Nocera Inferiore ha assolto M.A. dai reati basati sui medesimi elementi di fatto posti a base delle pretese impositiva e sanzionatoria.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 20311/2011; conf., 21612/13; 17956/15).

Il che è quanto accaduto nel caso in esame: il riconoscimento della legittimità delle pretese dell’ufficio postula l’irrilevanza del giudicato di assoluzione invocato.

2.- Col secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 43, comma 2, e art. 47 nonchè dell’art. 2729 c.c., in quanto, sostengono i ricorrenti, nessun ammanco di prodotto è stato accertato, sibbene una differenza qualitativa di parte di esso; nessuna deficienza di alcole era quindi riscontrabile, nè la società ha sottratto alcunchè all’accertamento o al pagamento dell’accisa, non sussistendo alcun riscontro, neanche indiziario, della ricostruzione dell’ufficio.

Il motivo è infondato.

2.1.-In fatto, è accertato che:

-sono state riscontrate, in base agli accertamenti ed alle analisi svolte, “…deficienza di alcole buon gusto da materie vinose c/o AGEA di entità superiore all’1% pari a litri anidri 14… deficienza di acquavite di vino c/o AGEA di entità superiore all’1% pari a litri anidri 1012…deficienza di litri anidri 60 di alcool T/C eccedente la misura dell’1%…alcool mancante per litri anidri 240.359 risultante di caratteristiche diverse da quelle previste”;

– sono state ravvisate altresì eccedenze di alcole, giusta quanto si legge in sentenza, secondo cui …in merito alle riscontrate eccedenze va osservato…che non sono previsti riconoscimenti di eccedenza per cui le quantità in eccesso rilevate all’inventario vengono considerate ai sensi dell’art. 47, comma 2 di illegittima provenienza…”.

3.- A norma degli artt. 11, n. 2 e 12 della direttiva n. 92/12/CE, la fabbricazione, la trasformazione e la detenzione di prodotti soggetti ad accisa, anche quando questa non è assolta, devono avvenire in un deposito fiscale debitamente autorizzato dallo Stato membro nel cui territorio esso si trova. Coerentemente, il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 5 prescrive che “la fabbricazione, la lavorazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa ed in regime sospensivo sono effettuate in regime di deposito fiscale.

Al riguardo, la Corte di giustizia (Corte giust. 5 aprile 2001, causa C-325/99, G. van de Water c. Staatssecretaris van Financien) ha chiarito che un prodotto soggetto ad accise detenuto al di fuori di un regime sospensivo è stato necessariamente, in un determinato momento, in qualsivoglia modo, immesso in consumo ai sensi dell’art. 6, n. 1, della citata direttiva. Ciò in quanto questa norma dispone che sono considerate come immissione in consumo non soltanto qualsiasi fabbricazione o importazione di prodotti soggetti ad accisa al di fuori di un regime sospensivo, ma del pari qualsiasi svincolo, anche irregolare, da siffatto regime. Equiparando tale “svincolo” ad un’immissione in consumo ai sensi dell’art. 6, n. 1, il legislatore comunitario ha chiaramente indicato che qualsiasi produzione, trasformazione, detenzione o circolazione al di fuori di un regime sospensivo comportano l’esigibilità dell’accisa.

Ogni qualvolta, dunque, si accerti che un prodotto è uscito da un regime sospensivo senza che l’accisa sia stata assolta, si verifica l’immissione in consumo ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva, il che determina l’esigibilità dell’accisa.

Ciò posto, tutte le alterazioni quantitative rispetto alle tolleranze ammesse inducono a ritenere che il prodotto sia uscito dal regime sospensivo senza pagamento dell’accisa.

3.1.- Il che accade non soltanto qualora se ne riscontri una deficienza rispetto ai cali consentiti, ma anche al cospetto di un’eccedenza, sempre rispetto alle tolleranze ammesse: anche in tal caso, come esattamente rilevato dal giudice d’appello, il legislatore ne presume l’immissione in consumo, giusta il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 47, comma 2 secondo cui per le eccedenze di prodotti nei depositi fiscali e per le eccedenze di prodotti denaturati non rientranti nei limiti delle tolleranze ammesse, ovvero non giustificate dalla prescritta documentazione si applicano le pene previste per la sottrazione dei prodotti all’accertamento o al pagamento dell’accisa, salvo che venga dimostrata la legittima provenienza dei prodotti ed il regolare assolvimento dell’imposta, se dovuta” (nel senso che l’art. 47 sanziona il rinvenimento in un deposito fiscale sia di deficienze, sia di eccedenze di prodotto soggetto ad accisa, in quanto lo scopo della norma è evitare che il titolare di un deposito introduca e commerci un prodotto non esente, vedi, fra varie, Cass. pen., 27 ottobre 2005, Iovino).

4.- In questo contesto, inconferenti sono i profili di difesa dei contribuenti. Sostengono in particolare i ricorrenti che “..la deficienza di alcole non sussisteva, dovendosi computare anche l’alcole non uvico, che, come stabilito dalla sentenza n. 1010/2011, non era stato sottratto e sostituito dalla SAPIS, bensì doveva ritenersi che avesse sin dall’inizio le caratteristiche qualitative accertate”.

La prospettazione è senz’altro inconferente con riguardo all’accertamento di fatto, dinanzi riportato, riguardante la riscontrata deficienza tout court dei quantitativi di litri anidri dinanzi riportati.

Ma lo è anche con riguardo al quantitativo “risultante di caratteristiche diverse da quelle previste”.

Il giudice d’appello non dubita, anzi, accerta che, in esito alle analisi, sia risultato assente il suddetto quantitativo di prodotto connotato dalle caratteristiche organolettiche prescritte. Di qui la valutazione di mancanza del prodotto, che si sostanzia non già in una presunzione, bensì in una constatazione.

La prospettazione, infine, è generica con riguardo al profilo delle eccedenze, non essendo stato riprodotto il contenuto della lettera del 7 marzo 2003 su cui i contribuenti puntano in ricorso, che, tra l’altro, si riferirebbe, senza ulteriori specificazioni, ad “…una parte di alcool ed acquavite conservati in alcuni magazzini…”, che altra società avrebbe spostato “…in un magazzino della SAPIS, non altrimenti specificato.

4.1.- Altrettanto inconferenti sono gli argomenti che puntano sulla mancanza di prova della sostituzione dell’alcole uvico con quello non uvico, in tal modo contestando la valutazione in ordine all’alterazione quantitativa accertata in sentenza.

Conviene osservare che il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 4 stabilisce la regola generale (2 comma), in base alla quale “per le perdite dei prodotti, in regime sospensivo, avvenute durante il processo di fabbricazione o di lavorazione al quale gli stessi vengono sottoposti nel caso in cui è già sorta l’obbligazione tributaria, l’abbuono è concesso nei limiti dei cali tecnicamente ammissibili determinati dal Ministro delle finanze con proprio decreto…” e specifica (comma 3) che “per i cali naturali e tecnici si applicano le disposizioni previste dalla normativa doganale”.

Orbene, in base alla normativa doganale, segnatamente al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 47, comma 2:

– il presupposto dell’obbligazione tributaria si considera non avverato al cospetto di cali naturali e tecnici delle merci soggette a vincoli doganali;

– i cali ammissibili sono determinati con norme regolamentari dettate dal Ministero delle finanze con proprio decreto, che è il D.M. finanze 13 gennaio 2000, n. 55, contenente, appunto, il “Regolamento recante norme in materia di cali naturali e tecnici delle merci soggette a vincolo doganale e ad accise”.

4.2.- Ma, sempre in base alle disposizioni previste dalla normativa doganale e, segnatamente, in base all’art. 864 del Regolamento CEE 2453/93, recante “disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario”, le regole nazionali riguardanti i tassi forfetari di perdita irrimediabile di merci per cause inerenti alla loro stessa natura – ossia giustappunto le norme regolamentari dettate col decreto ministeriale appena citato – si applicano “quando l’interessato non fornisca la prova che la perdita effettiva è stata superiore a quella calcolata applicando il tasso fbrfètario stabilito per la merce in oggetto” (in termini, Cass. n. 14840 e 14841/12); e comunque, qualora si assuma “che la perdita effettiva è stata superiore” all’abbuono determinato applicando il tasso forfetario, delle quantità mancanti si tiene conto, a norma del precedente art. 862, quando dalle prove fornite dall’interessato “risulti che le perdite accertate sono imputabili a cause inerenti unicamente alla natura della merce in oggetto e che egli non ha commesso alcuna negligenza o manovra fraudolenta”, da intendersi come “inosservanza delle norme relative al trasporto, all’immagazzinamento, alla manipolazione o alla lavorazione e alla trasfòrmazione, stabilite dall’autorità doganale o derivanti dall’uso normale delle merci in causa”.

4.3.- Sarebbe spettato ai contribuenti, dunque, e non già all’Agenzia, come essi sostengono, provare anzitutto l’imputabilità delle deficienze o comunque alle mancanze di prodotto alla natura della merce o, comunque, l’insussistenza di qualsivoglia loro negligenza, per poi passare a provare che la perdita effettiva è stata superiore a quella calcolata applicando il tasso forfetario stabilito con le suddette norme regolamentari.

Prova, che i contribuenti non hanno fornito.

Il che evidenzia la correttezza della decisione.

Il motivo va in conseguenza respinto.

5.- Inammissibile è poi il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, col quale i contribuenti lamentano l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sulla circostanza concernente la mancanza di rilievi da parte dell’AGEA allorquando ha ritirato l’alcole dal deposito della SAPIS.

Si tratta, difatti, di un’argomentazione della sentenza, il che propizia l’applicazione dell’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 21152/14), secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate.

6.- Inammissibile è altresì il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale i contribuenti denunciano la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 e degli art. 24, 97 e 113 Cost., là dove il giudice d’appello, quanto alle censure mosse ai metodi seguiti per l’accertamento dei cali, valorizza il fatto che le relative operazioni sono state seguire in presenza di un rappresentante della società, che non ha mosso nell’immediato contestazione alcuna.

6.1.-Il motivo non è difatti congruente con la decisione, che con valutazione propria del giudice di merito ha giudicato pretestuosi i rilievi, argomentando non soltanto dalla mancanza immediata di contestazioni, ma anche dalla natura strumentale dei dubbi, concernenti, tra l’altro, il tipo dei contenitori, il loro sistema di chiusura e le modalità di prelevamento, nonchè dall’omessa documentazione della richiesta di miscelazione che la società ha soltanto dedotto di aver proposto.

7.- Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso e condanna i contribuenti a rifondere le spese sostenute dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, liquidate in Euro 22.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Dichiara la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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