Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25126 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 16/09/2021), n.25126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26060/2020 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in Bozzolo (Milano) via

Poerio 12, presso l’avv. Paolo Novellini, del Foro di Milano, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, ((OMISSIS)), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 343/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino nigeriano ha narrato di essere originario di Lagos, che la sua famiglia era molto povera e che egli svolgeva lavori precari come tassista abusivo o venditore ambulante abusivo; di essere stato rapito e che i suoi fratelli hanno venduto un terreno per procurarsi Euro 700,00 per la sua liberazione; quando è stato liberato, per il timore di essere rapito di nuovo, ha deciso di lasciare il paese. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Brescia, che ha confermato il giudizio della Commissione.

La Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello dell’odierno ricorrente rilevando che anche ove fosse ritenuto attendibile, potrebbe fare rientro nel paese di origine poiché proviene dalla città di Lagos dove, secondo le informazioni desumibili dal Report EASO 2018, non vi è conflitto armato; ritiene non decisivo l’episodio del rapimento anche perché il ricorrente avrebbe potuto rivolgersi alla polizia in quanto in Nigeria vi è un sistema giudiziario funzionante, come risulta da informazioni assunte da fonte della quale indica il collegamento ipertestuale; infine sulla protezione umanitaria la Corte rileva che il ricorrente non ha dedotto di lavorare in Italia, mentre in Nigeria aveva una occupazione e famiglia, e pertanto non può ritenersi in una condizione di vulnerabilità soggettiva.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.

Il Ministero non costituito tempestivamente ha depositato istanza per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 maggio 2021.

Diritto

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis. Il ricorrente deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice d’appello che non ha approfondito la situazione di diffusa violenza indiscriminata perpetrata da numerosi gruppi terroristici di matrice islamica né acquisito informazioni sulla capacità della polizia di proteggere il richiedente in relazione alle minacce ricevute; il ricorrente contrariamente a quanto esposto in sentenza non poteva fare affidamento sulla polizia, notoriamente corrotta come si evince dal Rapporto 2014 di Transaparency International.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha assunto informazioni pertinenti sulla non sussistenza di un conflitto armato nella zona di provenienza da fonte qualificata, che ha citato in sentenza, e cioè il report EASO 2018, (Cass. n. 22527/2020). In particolare la Corte ha rilevato che la zona di provenienza del ricorrente non è interessata da attacchi terroristici ma semmai da criticità connesse all’estrazione del petrolio da parte delle compagnie petrolifere, vicende comunque non collegate alla storia narrata dal ricorrente.

Anche sulla efficienza della polizia la Corte ha assunto delle informazioni, traendole da una fonte che ha esplicitamente indicato nel provvedimento con un collegamento ipertestuale.

In ogni caso la valutazione del profilo di rischio individuale deve farsi in concreto e non in astratto, e non è possibile valutarlo se la parte non richiede la protezione della autorità e non spiega per quale ragione ciò non è stato possibile, se non con una generica attestazione di sfiducia nelle forze dell’ordine, perché “notoriamente corrotte”.

Nel processo di protezione internazionale, qualora sia evidenziato il rischio di persecuzione o danno grave da agente privato, il giudice non deve valutare in astratto l’efficienza dei sistemi giudiziari dei paesi terzi, bensì verificare se in concreto e in quella specifica situazione la protezione dello Stato si è rivelata o potrebbe rivelarsi inefficiente, indagine che il giudice non può compiere se il richiedente non illustra i dettagli della propria vicenda individuale anche su questo punto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e art. 14, lett. c).

Deduce che ha errato la Corte d’appello a non dare alcun rilievo alla situazione di violenza e instabilità del paese d’origine attestata anche da diversa giurisprudenza di merito, che mette in evidenza la grave violazione dei diritti umani in Nigeria.

Il motivo è infondato. A fronte di una specifica ricerca eseguita dalla Corte sulla situazione nel Paese di origine del richiedente (Lagos), la difesa tratta genericamente di violazione di diritti umani in Nigeria.

Con riferimento al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C, la Corte ha quindi assolto al dovere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni sul paese di origine e sulla zona di provenienza del ricorrente, da una fonte attendibile ed aggiornata (Report EASO 2018) che è stata esplicitamente menzionata in sentenza (Cass. n. 22527/2020). Le informazioni sono state assunte sul rischio specifico di cui all’art. 14, lett. c) e cioè il rischio di danno grave da violenza indiscriminata derivante da conflitto, escludendo che nella zona sia in corso un conflitto che genera violenza indiscriminata, e non con riferimento ad altri rischi non dedotti, quale il rischio di violazioni di diritti umani non meglio specificati e di instabilità politica.

La difesa prospetta una nozione di violenza indiscriminata da conflitto armato che non collima affatto con quella rigorosa data dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakite’ C- 285/12), fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte.

La determinazione del significato e della portata del concetto di

conflitto armato va stabilita sulla base del significato abituale nel

linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in materia di protezione internazionale (Diakite’, cit. p.27) e quindi “senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione” (Diakite’, cit. p.35).

Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.

Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). La Corte Europea ha infatti precisato che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Elgafaji, cit., p. 39).

La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle limitazione delle libertà individuali, dalle tensioni sociali ed economiche, dalla povertà, dalla diffusione della criminalità comune, dalla vendetta mirata e dal rischio di attacchi terroristici.

3.- Con il terzo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione al rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Deduce che la condizione del ricorrente è di oggettiva e soggettiva vulnerabilità per l’estrema situazione di povertà e l’assenza di riferimenti sociali nel paese d’origine, per il grave episodio di privazione della libertà già subito, nonché per la pandemia in corso.

Il motivo è inammissibile.

La parte si limita genericamente a denunciare una serie di criticità che riguardano il suo paese di origine – e non soltanto il suo paese

d’origine, poiché la pandemia riguarda il mondo intero – senza specificare come refluiscono sulla sua situazione individuale e ciò a fronte di un giudizio di fatto reso dalla Corte, sull’assenza di condizioni di vulnerabilità, del quale non può sollecitarsi la revisione in questa sede.

Ne consegue il rigetto del ricorso; nulla sulle spese il difetto di

regolare costituzione della parte intimata.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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