Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25124 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni M. – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 25986 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

T.P. rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine al ricorso, dall’avv.to Corrrado Diso, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Laura Tricerri, in Roma,

Via Cosseria n. 5;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

-controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia – Giulia, n. 99/01/2012, depositata il

26 settembre 2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8 luglio 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 99/01/2012, depositata il 26 settembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia – Giulia, rigettava l’appello proposto da T.P. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 35/02/2010 della Commissione tributaria provinciale di Trieste che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso quattro avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, maggiore reddito imponibile, ai fini Irpef e Iva, per gli anni 2001 – 2005, a fronte di movimentazioni bancarie (versamenti) risultate ingiustificate;

– in punto di diritto, la CTR, per quanto di interesse, ha affermato che: 1) era infondata l’eccezione del contribuente di inapplicabilità, nella specie, della presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, per non svolgere lo stesso attività di impresa o di lavoro autonomo, dato che, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 19692 del 2011), il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, hanno una “portata generale e riguardano la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente quale che sia la natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano”; 2) nella specie, l’Ufficio si era avvalso della presunzione legale citato ex art. 32, comma 1, n. 2, solo con riferimento ad “accrediti” confluiti nel conto corrente del contribuente, sul quale gravava l’onere di dimostrare trattarsi di “entrate di cui si fosse già tenuto conto ai fini della dichiarazione dei redditi o non rilevanti per non essere imponibili per loro natura o per avere scontato l’imposta alla fonte”; 3) il contribuente non aveva fornito la prova inoppugnabile della irrilevanza fiscale delle rimesse in quanto, in linea generale, dalle causali riportate negli estratti del conto corrente non emergeva una chiara relazione tra quelle rimesse e le operazioni che le avrebbero, a detta del contribuente, giustificate nè l’ulteriore documentazione prodotta consentiva di riconoscere con certezza la natura non imponibile delle risorse finanziarie confluite sul conto; 4) in particolare, la ripresa di Euro 25.822,84, per il 2001, ascritta dal contribuente ad un passaggio di disponibilità da un conto a un altro a lui stesso intestato risultava motivata dalla mancata prova della effettiva intestazione al contribuente del conto di provenienza; la giustificazione sull’accredito di Euro 81.905,24, ascritto dal contribuente a parte del corrispettivo per la cessione di quote societarie, non trovava corrispondenza nell’atto di cessione di quota e nella diversa causale (parziale rimborso di un finanziamento) indicata nelle contabili bancarie; gli accrediti di Euro 10,000, per il 2003, ascritto a rimborso di un finanziamento, di Euro 25,000, per il 2004, ascritto ad anticipo in conto utili da distribuire, convertito in prestito infruttifero ai soci, di Euro 60.800, per il 2005, ascritto a rimborso di un prestito infruttifero, di Euro 67,000, di Euro 55.000,00 e di Euro 10.960,00, per il 2005, riconducibili a pretese restituzioni di finanziamenti, non erano stati giustificati dal contribuente non avendo quest’ultimo, in sostanza, spiegato le ragioni dei finanziamenti/prestiti e i motivi dei relativi rimborsi; l’accredito di Euro 31.438,00, per il 2004, ascritto dal contribuente ad un estinzione di un conto, non era giustificato non avendo il contribuente prodotto documentazione attestante la effettiva esistenza e la certa riferibilità del conto a lui medesimo; gli accrediti, negli anni 2003 – 2005, ascritti dal contribuente al ricavo della vendita di opere d’arte di famiglia non erano giustificati difettando sugli assegni prodotti in copia dal contribuente – e di cui lui stesso o la moglie risultavano beneficiari – qualsiasi elemento idoneo a identificare il traente e, comunque, a dimostrare la diretta relazione di quei titoli di credito con l’avvenuta vendita di beni di famiglia per il tramite dell’antiquario incaricato;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380 – bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– in data 8 luglio 2020 si tiene l’adunanza camerale nell’aula d’udienza della sezione V civile del palazzo della Corte di Cassazione alla presenza dei magistrati pres. del collegio Ernestino Bruschetta, cons. Giovanni Maria Armone e con la presenza in collegamento remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams – individuata con D.Dirig. adottato ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, convertito in L. n. 24 del 2020, dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020 dei magistrati cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido Di Nocera e cons. Pierpaolo Gori, cons. Marco Di Napoli, ai quali è assicurata la disponibilità agli atti attraverso la medesima piattaforma;

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, per avere la CTR ritenuto erroneamente validi gli avvisi di accertamento in questione ancorchè: 1) ai sensi del citato art. 32, in combinato con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, anche alla luce della circolare dell’Agenzia n. 32 del 2006, le indagini bancarie si potessero svolgere esclusivamente nei confronti degli esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo, il che, nella specie, non ricorreva, non avendo il contribuente, nel periodo in contestazione, prodotto redditi di sorta (sul punto, il ricorrente, denuncia poi il contrasto della sentenza della Corte di cassazione n. 19692 del 2011 richiamata dalla CTR a sostegno della ritenuta applicabilità della presunzione legale citato ex art. 32, a qualsiasi contribuente, a prescindere dalla natura dell’attività svolta, con altra precedente pronuncia n. 23852 del 2009); 2) l’Amministrazione avesse presunto redditi di capitale non dichiarati senza che ne sussistessero i presupposti impositivi di cui al citato art. 44, (accomunando nella stessa categoria movimenti finanziari con società di cui il contribuente era socio e movimenti finanziari derivanti dalla vendita di quadri e beni di famiglia);

– il primo profilo del primo motivo è infondato;

– questa Corte ha chiaramente affermato che “In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 29572 del 16/11/2018; Sez. 5 -, Sentenza n. 1519 del 20/01/2017; in senso conforme Cass., sez. 5, n. 22514 del 2013 ha ritenuto “priva di qualsivoglia riscontro normativo” la limitazione dell’ambito applicativo degli accertamenti bancari ai soli soggetti esercenti attività di impresa, artistica o professionale; Cass., sez. 5, Sentenza n. 19692 del 27/09/2011 secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti – nella specie, svolgente attività di collaborazione coordinata e continuativa come amministratore di società a responsabilità limitata – non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, poichè questa previsione e quella di cui al medesimo D.P.R., art. 38, hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano; nè può inferirsi l’applicabilità del citato art. 32, ai soli soggetti che esercitino attività di impresa o di lavoro autonomo per via del riferimento testuale della disposizione ai “ricavi” ed alle “scritture contabili”, in quanto il dato letterale risulta limitativo unicamente della possibilità per l’Ufficio di desumere reddito dai “prelevamenti”, giacchè non può presumersi in via generale e per qualsiasi contribuente la produzione di un reddito da una spesa, a differenza che per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali, invece, le spese non giustificate possono ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti”);

– alcun contrasto è poi ravvisabile tra la pronuncia della Corte di cassazione n. 19692 del 2011 richiamata nella sentenza impugnata e quella n. 23852 del 2009 in quanto quest’ultima, lungi dall’affermare che la presunzione legale di cui al citato art. 32, non possa trovare applicazione nei confronti di contribuenti non imprenditori nè lavoratori autonomi, ha condivisibilmente precisato che la presunzione “iuris tantum” stabilita nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1 e 2, – secondo cui i movimenti bancari effettuati su conti correnti bancari intestati al contribuente sono a lui imputabili – opera esclusivamente sul quantum debeatur e non già sull’accertamento dell’an che deve trovare la sua giustificazione in altre norme (stesso D.P.R., artt. 38 e 39);

– il secondo profilo del primo motivo è inammissibile in quanto non attinente al decisum, essendo la decisione della CTR basata non già sulla ritenuta legittimità della ripresa a tassazione di redditi di capitale non dichiarati, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, ma sulla ritenuta legittima applicazione da parte dell’Ufficio, con riferimento ai riscontrati accrediti sul conto corrente del contribuente nel periodo contestato, della presunzione legale (relativa) ex art. 32 cit., della disponibilità da parte di quest’ultimo di un maggior reddito imponibile;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR erroneamente ritenuto che il contribuente dovesse dimostrare con “prove inoppugnabili” la irrilevanza fiscale delle rimesse in conto riprese a tassazione dall’Ufficio, ancorchè, per giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. n. 25502 del 2011; n. 1118 del 2013), in mancanza di un espresso divieto normativo, la prova contraria, potesse essere fornita anche mediante “presunzioni semplici”;

– il motivo è infondato muovendo da un erroneo presupposto interpretativo;

– va, al riguardo, ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. n. 19971 del 2016; Cass. n. 22502 del 2011);

– in tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2 (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. n. 24419 del 2018; n. 4829 del 2015; Cass. n. 21303 del 2013);

– nella sentenza impugnata la CTR ha fatto buon governo dei suddetti principi avendo affermato la necessità di una prova “inoppugnabile” da parte del contribuente per superare la presunzione legale relativa, nel senso di “prova analitica” (anche attraverso presunzioni semplici) della riferibilità degli accrediti ad operazioni già evidenziate nella dichiarazione dei redditi ovvero della loro irrilevanza fiscale per avere già scontato l’imposta alla fonte o per essere, per natura, non imponibili;

– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi e contrastanti tra le parti, per avere la CTR, a fronte di quattordici movimenti finanziari ritenuti dall’Agenzia ingiustificati e ascritti a reddito (di capitale) imponibile, omesso di esaminarne due (uno di Euro 300,00 riferito all’anno 2004 e concernente un versamento dal figlio T.C. al padre e l’altro di Euro 423,39 relativo all’anno 2005, derivante dalla liquidazione di una società francese) oggetto di specifica impugnazione in appello;

– il motivo – preliminarmente riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo chiara la critica sviluppata quale “omessa pronuncia” sui motivi di appello concernenti i suddetti due movimenti bancari e non ostando l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determinando l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia come nella specie – chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25557 del 27/10/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014) – è infondato;

– premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012), nella specie, la CTR nell’affermare che, in generale, dalle causali riportate negli estratti del conto corrente non emergeva una chiara relazione tra quelle rimesse e le operazioni che le avrebbero, a detta del contribuente, giustificate e che l’ulteriore documentazione prodotta non consentiva di riconoscere con certezza la natura non imponibile delle risorse finanziarie confluite sul conto, ha chiaramente statuito su tutte le contestate movimentazioni finanziarie, ritenendo non superata da parte del contribuente la presunzione legale relativa di cui al citato art. 32;

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio e, comunque, l’insufficiente e illogica motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e all’art. 111 Cost., comma 6, per avere la CTR, con riguardo alle dodici movimentazioni esaminate, omesso di considerare le argomentazioni e documentazione prodotta a contrario dal contribuente (in particolare, sul primo movimento di Euro 25.822,84 ascritto dal contribuente ad un passaggio di disponibilità da un conto a un altro a lui stesso intestato, la CTR si era limitata ad affermare che difettasse la prova della effettiva intestazione al T. del conto di provenienza, senza verificare il prodotto estratto conto sul c/c estero n. (OMISSIS) intestato a T.P. e alla di lui moglie da cui risultava l’uscita di Euro 25.822,84, corrispondente all’entrata di pari importo sul c/c n. (OMISSIS) intestato ai medesimi soggetti; sul secondo movimento di Euro 81.905,24 ascritto dal contribuente a parte del corrispettivo per la cessione di quote societarie, la CTR si era limitata ad affermare che nelle contabili bancarie fosse riportata la diversa causale di parziale rimborso di un finanziamento, senza verificare che la cessione di quote era stata documentalmente comprovata dal contribuente; sul terzo movimento di Euro 10.000,00, ascritto a un rimborso di finanziamento, sul sesto movimento di Euro 60.800,00, ascritto al rimborso di prestito infruttifero, sui movimenti da sette a nove di Euro 67,000, di Euro 55.000,00 e di Euro 10.960,00, ascritti a restituzioni di finanziamenti, la CTR si era limitata ad affermare che il contribuente non avesse documentato le ragioni dei finanziamenti e i motivi dei successivi rimborsi, senza considerare la provenienza e la causale dei vari movimenti; sul quarto movimento di Euro 25,000 ascritto ad anticipo in conto utili da distribuire convertito in prestito infruttifero ai soci, la CTR si era limitata ad affermare che il contribuente non avesse documentato le ragioni dell’erogazione di quelle anticipazioni e del successivo mutamento della natura del rapporto senza considerare la provenienza e la causale del movimento; sul quinto movimento di Euro 31.438,00 ascritto alla estinzione di un conto, la CTR si era limitata ad affermare che il contribuente non avesse provato la effettiva esistenza e la certa riferibilità ad esso, senza valutare la documentazione offerta a contrario comprovante proprio la derivazione dell’accredito dalla estinzione di un conto; sui movimenti decimo, undicesimo e dodicesimo, ascritti dal contribuente a vendite di beni di famiglia, la CTR aveva ugualmente omesso di considerare la documentazione prodotta in giudizio e comprovante tale causale degli accrediti);

– il motivo si profila inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 26 settembre 2012) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma peraltro – quanto all’assunta mancata valutazione da parte della CTR delle argomentazioni e della documentazione prodotta a contrario dal contribuente – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– peraltro quanto alla denunciata violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, le sezioni unite di questa Corte hanno difatti già avuto occasione di chiarire (per tutte, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053) che in relazione a sentenze, come quella in esame, soggette al regime delineato dal testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Questa Corte ha, altresì, precisato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017); nel caso in questione, in sentenza si espone chiaramente il nucleo fondante del ragionamento, là dove il giudice afferma, facendo riferimento a tutte le movimentazioni, che la presunzione legale di cui al citato art. 32, non si poteva ritenere superata dal contribuente in quanto, in linea generale, dalle causali riportate negli estratti del conto corrente non emergeva una chiara relazione tra le rimesse contestate e le operazioni che le avrebbero, a detta del contribuente, giustificate nè l’ulteriore documentazione prodotta consentiva di riconoscere con certezza la natura non imponibile delle risorse finanziarie confluite sul conto; pertanto la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato sono chiaramente evincibili dalla sentenza, tendendo ogni altra argomentazione sottesa al motivo all’inammissibile rivisitazione di apprezzamenti di merito già effettuati dal giudice di appello;

-in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

-le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in 7.800,00 complessive oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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