Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25124 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. I, 08/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 08/10/2019), n.25124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23494/2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Alberico II

n. 4, presso lo studio dell’avvocato Angelelli Mario Antonio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 25/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

S.M. cittadino originario del Gambia propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 28 giugno 2018 che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che la vicenda narrata risultava poco credibile considerate diverse incongruenze della narrazione, evidenziando inoltre che, pur sulla base della stessa prospettazione del richiedente, non risultava che questi avesse sollecitato la protezione di autorità statali.

Il Tribunale ha altresì accertato che in Gambia non vi è una situazione di violenza generalizzata, di tale gravità e diffusione da integrare il presupposto di cui al D.P.R. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi idonei ad evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.L. n. 25 del 2008, lamentando la mancata applicazione del principio dell’onere probatorio attenuato e deducendo inoltre che la credibilità del ricorrente non è stata valutata in conformità ai parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Il motivo è infondato.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che la narrazione era lacunosa e poco verosimile, mettendo in rilievo diverse incongruenze della narrazione: in particolare, in relazione al grave incidente indicato a fondamento della persecuzione subita, il fatto che la manomissione della vettura a bordo della quale si trovavano il richiedente e la sua ragazza fosse stata posta in essere dagli stessi parenti della ragazza che si trovava in sua compagnia e che era deceduta nel sinistro; appariva inoltre scarsamente plausibile anche il comportamento asseritamente tenuto dalla polizia, che non aveva mai interrogato il richiedente, sulle circostanze del sinistro in cui aveva perso la vita la ragazza, nonostante egli fosse alla guida del veicolo.

Il tribunale rilevava inoltre che il richiedente, a fronte delle gravi minacce riferite, non aveva sollecitato la tutela degli organi dello Stato. Sulla base di tali valutazioni, il tribunale ha correttamente fatto discendere il rigetto della domanda di protezione internazionale.

Ed invero, quando le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili, alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 25 del 2008, per avere il tribunale omesso di rilevare che in Gambia sussiste una situazione di violenza indiscriminata, che integra la previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il motivo è inammissibile, sostanziandosi in una censura di merito, a fronte del compiuto accertamento del tribunale, sulla base di fonti aggiornate ed attendibili sulla situazione del Gambia (report di Amnesty international 2017/2018), che esclude la sussistenza, in quel paese, di una situazione di volenza generalizzata e diffusa.

Il terzo motivo lamenta la mancata concessione della protezione umanitaria, deducendo la sussistenza di una situazione di particolare vulnerabilità, anche in relazione alla comparazione tra la condizione attuale del richiedente e quella in caso di rientro in Gambia.

Il motivo è infondato.

E’ infatti evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente, limitandosi ad una astratta e generica comparazione tra le condizioni di vita del richiedente nel nostro paese e quello di origine, senza peraltro l’allegazione di elementi concreti e di indici di un effettivo radicamento nel nostro paese.

Il rigetto dei motivi che precedono assorbe l’esame del quarto motivo, che denuncia il mancato riconoscimento dello status di rifugiato in relazione all’art. 10 Cost..

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. 16362/2016).

Il ricorso va dunque respinto e le spese regolate secondo soccombenza si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, che liquida in 2.100,00 Euro, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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