Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25123 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. I, 08/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 08/10/2019), n.25123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23255/2018 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38,

presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e

Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione

internazionale di Roma, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 8807/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

06/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

O.S. cittadino originario della Nigeria propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 6 giugno 2018 che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che la vicenda narrata risultava poco credibile considerata la vaghezza delle dichiarazioni, prive di concreti riferimenti sia rispetto al gruppo che avrebbe avvicinato e minacciato di morte il richiedente ed ucciso il padre, sia alle stesse circostanze dell’uccisione di quest’ultimo.

Il Tribunale ha altresì rilevato che nell’area di provenienza del richiedente (il Delta State) non sussiste una situazione di violenza generalizzata, di tale gravità e diffusione da integrare il presupposto di cui al D.P.R. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va premesso che nelle ultime due pagine del ricorso, a partire da “3. I motivi del presente ricorso”, dopo la analitica enunciazione dei 4 motivi di ricorso, vengono genericamente riformulate censure avverso il provvedimento impugnato, senza la specifica allegazione del vizio dedotto in relazione ad una delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Tali censure, sostanzialmente riepilogative di quelle già ritualmente fatte valere con i singoli motivi, sono dunque inammissibili.

Ciò posto, il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8, lamentando la violazione da parte del tribunale dell’obbligo di audizione del richiedente, nonostante la videoregistrazione non fosse disponibile.

Il motivo è infondato.

Dal provvedimento impugnato risulta specificamente che il tribunale ha espletato l’audizione del richiedente, e non si è dunque limitato a fissare l’udienza di comparazione, adempimento quest’ultimo, già di per sè sufficiente, ai sensi ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ad escludere la dedotta nullità (cfr. Cass., 5/07/2018, n. 17717; Cass., 13/12/2018, nn. 32318 e 32319; Cass., 31/01/2019, n. 2817).

Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione del potere-dovere officioso di acquisire informazioni e documenti rilevanti, nonchè per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, lamentando in particolare che il tribunale abbia omesso di assumere ogni informazione o documento ritenuto necessario, essendosi limitato ad una mera adesione al ragionamento della Commissione territoriale.

Il motivo è inammissibile per genericità.

In tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi dev’essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione e nel caso di specie la valutazione di credibilità della narrazione, si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (Cass. 3016/2019).

Nel caso di specie, il ricorrente si limita a denunciare in modo del tutto generico la mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del tribunale, omettendo però di indicare gli specifici elementi, ritualmente allegati in giudizio, in relazione ai quali il suddetto dovere di cooperazione non sarebbe stato esercitato.

Il terzo motivo denuncia la mancata concessione della protezione sussidiaria, alla luce delle condizioni socio economiche del paese di provenienza e con esso il richiedente lamenta in particolare che non siano state adeguatamente valutate le minacce di morte provenienti dalla setta EYE, atteso che la minaccia di danno grave può provenire anche da soggetti non statuali.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie l’autonoma ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), costituita dalla scarsa verosimiglianza del racconto, valutazione che appare ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

Quanto invece all’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) il Tribunale, ha accertato, mediante il riferimento a fonti autorevoli ed aggiornate, quali il rapporto di Amnesty international 2016-17, di Human Rights Watch 2017, nonchè all’ultimo aggiornamento EASO al giugno 2017 che l’area di provenienza del richiedente (Delta State) non era interessata da una situazione di violenza generalizzate di tale gravità e diffusione di mettere a repentaglio l’esistenza ed incolumità della persona.

A fronte di tale accertamento, le circostanze indicate dal ricorrente, che lamenta una situazione di grave instabilità politica ed episodi di violenza, non sono idonee ad integrare il presupposto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenia della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C-285/12 – Diakitè) dev’essere infatti interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 13858 del 31.5.2018).

Il quarto motivo lamenta la mancata concessione al richiedente della protezione umanitaria, pur in presenza di seri motivi di carattere umanitario, anche in relazione alla disposizione del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28 comma 1 e della L. n. 110 del 2017, che ha introdotto il reato di tortura, nonchè ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU.

Il motivo è infondato.

Il tribunale ha infatti escluso, con apprezzamento adeguato, che sia ravvisabile una specifica situazione di vulnerabilità del richiedente che possa giustificare il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Anche con riferimento a tale statuizione il mezzo è del tutto privo di specificità ed, a parte la generica deduzione sulle condizioni socioeconomiche della Nigeria in generale, e del livello di insicurezza del paese, non evidenzia una determinata situazione di fragilità del richiedente.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, che liquida in 2.100,00 Euro, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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