Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25122 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 10/10/2018), n.25122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8071-2016 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, V. PANARO 25,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VISCO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALDO FICI;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA

1178, presso lo studio dell’avvocato NELIDE CACI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO FRANCESCO PANICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2018 dal. Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

Il dott. G.L. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Palermo in favore dell’arch. S.G., per il pagamento di 47.212,17 Euro, (oltre interessi) a titolo di compenso per la prestazione professionale di progettazione, di una struttura agrituristica in (OMISSIS), deducendo, in via preliminare l’intervenuta prescrizione, e rilevando altresi, nel merito, che l’incarico professionale, conferito il 21 marzo 2000, era stato successivamente revocato il 18 ottobre 2000 senza che fosse stata eseguita la prestazione pattuita.

L’opponente proponeva altresì domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere la condanna dello S. alla restituzione di quanto già corrispostogli a titolo di compensi per l’incarico professionale non eseguito.

L’arch. S., costituitosi, resisteva e chiedeva la conferma del decreto e la reiezione della domanda risarcitoria avanzata dall’opponente. rilevando che la revoca era intervenuta solo in data 18.10.2000, per “l’inammissibilità delle condizioni agevolative e motivi familiari”, quando aveva già redatto gli elaborati progettuali, consegnati al dott. G., come da ricevuta del 26.10.2000.

Il Tribunale di Palermo, disattesa l’eccezione preliminare di prescrizione, accolse l’opposizione rilevando che l’arch. S. aveva prodotto in giudizio soltanto la parcella vistata dall’ordine professionale, mentre non aveva prodotto gli atti attestanti l’espletamento dell’incarico, cosi impedendo ogni valutazione sia in ordine al suo effettivo svolgimento che all’entità del compenso richiesto.

Il tribunale rigettò pure la domanda di restituzione proposta dall’opponente, rilevando che non vi era prova dell’avvenuta corresponsione al professionista di un acconto di Lire 5.000.000 (pari a 2.582,30 Euro).

La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 67/16 depositata il 19.1.2016, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuta l’ammissibilità della produzione documentale degli elaborati da parte dell’appellante arch. S., condannò il signor G. al pagamento di 44.024,01 Euro. ritenendo provato il conferimento dell’incarico e l’espletamento dello stesso.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, con sei motivi, il dott. G..

L’arch. S. resiste con controricorso.

In prossimità dell’odierna adunanza il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Con il primo mezzo parte ricorrente eccepisce la violazione e la falsa applicazione, ad opera del giudice di secondo grado, dell’art. 345 c.p.c., comma 3, D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. nella L. n. 134 del 2012, dell’art. 11 preleggi, per avere la Corte d’appello ritenuto che alla presente controversia non si applicasse la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. nella L. n. 134 del 2012.

Il motivo è infondato.

La nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, è infatti applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (Cass. 26522/2017).

Nel caso di specie, la sentenza del Tribunale di Palermo è stata pubblicata il 3 settembre 2009 e l’appello risulta instaurato il 23 febbraio 2010, onde è senz’altro applicabile la precedente formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nonchè gli artt. 352 e 356 c.p.c., art. 101 c.p.c. e ss., per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile la nuova produzione dell’appellante, anche in relazione alla disciplina vigente anteriormente alla modifica dell’art. 345 c.p.c., quale risultante dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012.

Il motivo è infondato.

Secondo il recente arresto delle Ss.Uu. di questa Corte, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile. ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. Ss.Uu. 10790/2017).

Tale requisito, con adeguato apprezzamento, è stato considerato sussistente dalla Corte d’Appello di Palermo, in relazione agli elaborati progettuali prodotti dall’architetto S..

Tale valutazione è conforme a diritto.

Ed invero, proprio a causa della mancata produzione di tali documenti, in primo grado, il Tribunale di Palermo, pur riconoscendo provato il conferimento dell’incarico, non aveva ritenuto che fosse stata compiutamente provata l’esecuzione della prestazione, rilevando di non essere in grado di svolgere, in mancanza di detti elaborati, le necessarie valutazioni in merito alla prestazione professionale dell’arch. S.. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 215 e 216 c.p.c., per avere la Corte territoriale utilizzato, ai fini della decisione, documenti disconosciuti, senza che vi fosse stata apposita istanza di verificazione da parte di chi vi aveva interesse.

Pure tale motivo è infondato.

Non risulta infatti che l’arch. G. abbia disconosciuto la sua sottoscrizione della lettera del 26 ottobre 2000, contenente, oltre allo specifico riferimento all’incarico professionale, l’elenco analitico dei 14 documenti ricevuti, relativi alla prestazione professionale per cui è causa (progetto per la realizzazione di una struttura turistica su immobili in contrada (OMISSIS), nel (OMISSIS)).

Non può invece ritenersi che la contestazione dell’odierno ricorrente sulla coincidenza tra i documenti a lui consegnati – come da ricevuta del 26 ottobre 2000 – e quelli prodotti in giudizio sia riconducibile all’istituto del disconoscimento ex art. 214 c.p.c., che non è configurabile in relazione a documenti non sottoscritti dalla parte, ma unicamente in relazione a scritture private, contenenti la sottoscrizione della parte medesima.

La mancata corrispondenza dei documenti, dedotta dall’odierno ricorrente, al contrario, secondo i principi generali in materia di onere della prova, avrebbe dovuto essere da lui provata, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.

L’unica scrittura privata che il dott. G. avrebbe potuto/dovuto disconoscere era la ricevuta, contenente la sua sottoscrizione, con la quale egli attestava la ricezione degli elaborati dell’arch. S., scrittura che risulta invece non essere stata disconosciuta, e deve dunque ritenersi tacitamente riconosciuta.

Il quarto motivo denuncia l’omesso esame del fatto decisivo, costituito dall’intervenuta revoca del mandato, avvenuta, secondo la prospettazione del ricorrente, prima dell’adempimento dell’incarico, e l’idoneità dei documenti prodotti in appello ad integrare 1′ adempimento dell’obbligazione per la quale si richiede il pagamento del compenso, nonchè il fatto che la Corte territoriale non abbia dato conto, in motivazione, della radicale contestazione, da parte dell’odierno ricorrente, del mancato adempimento, da parte del professionista, dell’incarico ricevuto.

Il motivo è inammissibile poichè esso, nei termini in cui è formulato, non censura l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ma evidenzia, piuttosto, una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 5) (Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014), lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia valutato in modo adeguato taluni elementi emersi dall’istruttoria espletata o dato conto in motivazione di alcune allegazioni difensive.

Ed invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv nella L. n. 134 del 2012 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che il ricorrente deve indicare il – fatto storico -, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, ancorchè la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Ss.Uu. 8053/2014).

Orbene, nel caso di specie, risultano specificamente prese in esame e valutate dalla Corte territoriale tutte le circostanze dedotte dal ricorrente, in quanto la Corte “Appello di Palermo ha espressamente accertato il conferimento dell’incarico e, con adeguato apprezzamento di merito, ha ritenuto provata l’esecuzione della prestazione professionale di progettazione, sulla base dei documenti prodotti, la cui ricezione era stata attestata dalla lettera sottoscritta dal ricorrente.

La Corte territoriale ha accertato che gli elaborati prodotti in appello risultano completi e analitici, e pertanto, anche a fronte di una contestazione generica degli stessi, mossa dal G., non ha ritenuto necessario l’espletamento di ctu.

Di conseguenza, ha ritenuto opportuno attenersi alle valutazione espressa dal Consiglio dell’Ordine degli architetti, che ha proceduto alla vidimazione della parcella professionale relativamente al lavoro svolto dal professionista, in relazione alle prestazioni risultanti dagli elaborati prodotti in giudizio.

Non sussiste dunque il dedotto vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), configurabile soltanto quando nell’iter logico posto a fondamento della decisione risulti l’obiettiva mancata considerazione di elementi decisivi ritualmente discussi dalle parti ed acquisiti al giudizio.

Il quinto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’idoneità, quale atto interruttivo della prescrizione, della lettera dell’avv. Ferrante datata 7 aprile 2003, deducendosi la mancata ricezione di detta raccomandata.

Il motivo è inammissibile, trattandosi di questione (mancata ricezione di atto recettizio) che non risulta prospettata nel giudizio di appello, onde nessuna pronunzia risulta emessa al riguardo dalla Corte territoriale.

Ciò comporta che trattandosi di questione nuova, il relativo scrutinio, in sede di legittimità, non è ammissibile.

E’ infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012).

Come questa Corte ha già affermato, infatti, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).

In ogni caso, anche nel merito, come affermato dal consolidato indirizzo di questa Corte (con la sentenza 28 novembre 2013, n. 26708) essendo l’atto di messa in mora un atto di natura stragiudiziale, trova applicazione la disciplina dell’art. 1335 c.c., per cui la presunzione di conoscenza dell’atto è integrata dalla prova della spedizione della raccomandata e dall’attestazione di compiuta giacenza del plico presso l’ufficio postale quale dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio (Cass. n. 12822/16).

Con l’ultimo motivo, il ricorrente contesta che un atto, quale la lettera di messa in mora, proveniente non già dal creditore ma dal suo legale, in mancanza di specifico conferimento dell’incarico, possa essere idoneo ad interrompere la prescrizione.

Il motivo è infondato.

Ai fini della costituzione in mora del debitore e dell’interruzione del termine di prescrizione, è infatti sufficiente che il mandatario sia investito, anche senza formalità, di un generico potere di rappresentanza, dimostrabile con ogni mezzo di prova, comprese le presunzioni, anche in assenza di prova di una procura scritta ex art. 83 c.p.c., il cui conferimento è necessario ai soli fini dello svolgimento di attività giudiziale (Cass. 2965/2017).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che dovesse ritenersi provato il potere di rappresentanza dell’avv. Patrizia Ferrante, che aveva firmato la relativa lettera di messa in mora e che era stata poi designata, quale difensore dalla parte nella successiva controversia.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.200,00 Euro di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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