Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25121 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 03/11/2016, dep. 07/12/2016), n.25121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23786-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

STUDIO CED CENTRO ELABORAZIONE DATI DI B.R. & C. SAS

in persona del Socio accomandatario e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. MARIA MEDIATRICE

1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BUCCI, che lo rappresenta

e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 17/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta agli

atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato ARPINO per delega

dell’Avvocato BUCCI che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito della sentenza della CTR Lazio n. 85/08/2005, divenuta definitiva, che aveva ritenuto legittimo l’atto impositivo presupposto. Con il ricorso introduttivo, la società contribuente ha eccepito di non aver mai avuto notizia dell’appello proposto dall’ufficio, contro la sentenza della CTP di Roma n. 452/25/2001 a sè favorevole relativamente all’avviso di rettifica originario, nè della fissazione dell’udienza, nè della comunicazione del dispositivo emesso dalla CTR Lazio, la cui sentenza n. 85/08/2005, come detto, divenuta definitiva, è stata posta a base della cartella oggetto dell’odierna controversia.

La CTP rigettava il ricorso, ritenendo che l’appello dell’ufficio fosse stato regolarmente notificato, mentre la CTR accoglieva l’appello della società contribuente.

Avverso quest’ultima pronuncia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso davanti a questa Corte di Cassazione sulla base di due motivi, mentre la società contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, l’ufficio denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, nonchè dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 327 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto, i giudici d’appello, avrebbero accolto l’impugnazione avverso la cartella oggetto della presente controversia, senza che fosse stata impugnata per vizi propri, mentre non ricorrerebbe nella vicenda l’ipotesi di cui al citato art. 19, comma 3 in quanto l’iscrizione a ruolo della cartella troverebbe fonte in un provvedimento giurisdizionale, la sentenza della CTR n. 85/08/2005, che aveva confermato in via definitiva, l’atto impositivo originario: la CTR, pertanto, non avrebbe potuto pronunciarsi in ordine a vizi diversi da quelli propri della cartella e avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso e il successivo appello della società. Inoltre, la CTR sarebbe anche andata in contrasto con il giudicato esterno formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza n. 85/08/2005 della medesima CTR (tra le medesime parti e avente il medesimo oggetto), che poteva, eventualmente essere censurato con gli strumenti previsti nell’ambito del medesimo procedimento, ma mai la CTR, in accoglimento delle ragioni della società contribuente, avrebbe potuto annullare l’atto di esecuzione di tale giudicato, qual è la cartella emessa da parte del concessionario. Nel merito, la decisione dei giudici d’appello sarebbe parimenti da riformare, in quanto si sarebbe arrogata il diritto di ritenere la sottoscrizione della relata di notifica dell’appello apocrifa, senza che fosse stata proposta querela di falso e benchè la relativa eccezione fosse stata proposta solo nel giudizio di secondo grado.

Con il secondo motivo di censura, l’ufficio denuncia la violazione del giudicato formatosi a seguito del giudizio per revocazione instaurato dalla medesima società contribuente, per i medesimi motivi da questa prospettati nel giudizio d’appello e in particolare, in ordine al difetto di notifica dell’appello dell’ufficio e dell’avviso di fissazione udienza e del dispositivo, appello concluso con la sentenza della CTR, posta a base dell’iscrizione a ruolo.

In via preliminare, osserva la Corte che va esaminato la prima parte del primo motivo di ricorso poichè, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di questioni pregiudiziali. Ciò in considerazione del fatto che si impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, ed è consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014; Cass. n. 12002 del 28/05/2014).

Il primo motivo è fondato nei termini che seguono.

In via preliminare, va evidenziato che secondo questa Corte “In tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell’impugnazione, sicchè la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano (nella specie perchè operanti un’irrituale ed equivoca commistione tra figure giuridiche diverse, quali la legittimazione ad agire e la titolarità del diritto dedotto in giudizio) dì individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate” (Cass. n. 25044/13). Nel caso di specie, il vizio dedotto nella prima parte del primo motivo di censura (violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3) è un evidente vizio di violazione di legge, quand’anche rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In merito alla dedotta censura, è insegnamento di questa Corte che “(….) i vizi dell’atto da cui nasce il debito alla fonte dell’iscrizione a ruolo e della cartella non sono perciò deducibili davanti al giudice chiamato a conoscere dell’impugnazione di quest’ultima, eccettuato il caso, non ricorrente nella specie, in cui solo attraverso la cartella il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva e dell’atto con cui è stata accertata: una siffatta eccezione, nondimeno, secondo l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 21477 del 2004, n. 7310 del 2006), non troverebbe spazio quando il debito sia fondato su provvedimenti giurisdizionali, i quali debbono essere impugnati con gli specifici strumenti previsti dalla norme processuali, e non possono essere contestati dinanzi al giudice chiamato a conoscere della cartella di pagamento” (Cass. n. 16641/2011). Pertanto, nel caso di specie, la sentenza della CTR, posta a fondamento della cartella intimata, poteva essere impugnata esclusivamente ex artt. 327 e 161 c.p.c., senza possibilità di essere nuovamente contestata dinanzi al giudice chiamato a conoscere dell’impugnazione della cartella di pagamento.

Pertanto, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto di poter statuire su una sentenza oramai passata in giudicato ed in accoglimento della prima parte del primo motivo di ricorso e con assorbimento delle restanti censure contenute nel medesimo motivo e con assorbimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza va cassata senza rinvio e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito a seguito della già operata compensazione da parte delle CTR, ponendosi a carico della intimata le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il primo motivo di ricorso con assorbimento del secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso il Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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