Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25119 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 03/11/2016, dep. 07/12/2016), n.25119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12783-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE PARIOLI

79/H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTA CONTI giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 12/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACCARO per delega

dell’Avvocato CORTI che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso, assorbito il 2.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.M. impugnava una cartella di pagamento, per la somma di Euro 257.979,62, relativa all’anno di imposta 2003, originata da un avviso di accertamento, notificato il 26/4/2008, con cui era stata rettificata la plusvalenza di cessione d’azienda, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Varese, che dichiarava inammissibile il ricorso perchè l’atto propedeutico alla cartella era stato ritualmente notificato, e non impugnato, dalla contribuente.

La F. proponeva appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che accoglieva il gravame, con sentenza pronunciata il 10/2/2011 e depositata il 12/5/2011.

Osservava la CTR, in particolare, che la verifica della ritualità della notifica dell’ avviso di accertamento, trattandosi di nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, andava affettuata dal primo giudice il quale, invece, si era limitato ad affermazioni sul punto del tutto apodittiche, e che l’atto notificato a mezzo del servizio postale non era stato ritirato dalla F., nè l’agente postale aveva indicato i motivi del mancato recapito del plico, sicchè non era dato sapere se ciò fosse dovuto a temporanea assenza o a mancanza del destinatario. Aggiungeva che neppure v’era concordanza tra i numeri della raccomandata, dell’avviso di ricevimento e della c.a.d. (comunicazione di avvenuto deposito).

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.

Collegio ha disposto, come da decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016, che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, giacchè il giudice di appello ha pronunciato su un motivo di gravame, quello concernente il rilievo che l’avviso di accertamento non era stato regolarmente notificato, nonostante che tale questione non avesse trovato corrispondente motivo di impugnazione, nel giudizio innnanzi alla CTP, da parte della contribuente, la quale aveva anzi sostenuto, nell’atto introduttivo, di non aver potuto ritirare il plico postale “per motivi di salute e altri motivi”, sicchè sul giudice di primo grado non incombeva alcun obbligo di motivare sulla regolarità della notificazione ciò non costituendo oggetto di accertamento d’ufficio del giudicante.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 140 c.p.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, giacchè il giudice di appello non ha tenuto conto del fatto che i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria si sono serviti del servizio postale per eseguire la notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della F., secondo le disposizioni contenute nella L. n. 890 del 1982, sicchè la notifica si è perfezionata in ragione dell’attività dell’agente postale, che rappresenta la fase essenziale del procedimento notificatorio, mentre l’omessa apposizione della relata integra un semplice vizio che non può essere fatto valere dal destinatario, non essendo tale adempimento previsto nel suo interesse.

Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che “il giudizio tributario, anche in base alla disciplina dettata D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, art. 19 e art. 24, comma 2, è, caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo, in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti (Cass. n. 22810/2015; n. 25077/2014; n. 23326/2013; n. 19337/2011).

Le forme di invalidità dell’atto tributario, dunque, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, nè possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (Cass. n. 18448/2015).

Nel caso di specie, appare davvero incontestabile che la nullità derivata della cartella di pagamento per difetto di notifica dell’avviso di accertamento della somma dovuta, prospettata in appello dalla contribuente, non fosse stata dedotta dalla contribuente quale originario motivo del ricorso proposto avverso l’atto impugnato per cui ogni indagine sul punto, in fase di gravame, era preclusa.

In conclusione, il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente in quanto l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo dando la prova di essersi il destinatario medesimo trovato nell’ impossibilità, senza sua colpa, prenderne cognizione, prova che, al di là delle generiche deduzioni contenute nel ricorso introduttivo, la contribuente non ha provveduto a fornire.

L’alternanza delle decisioni induce a disporre la compensazione delle spese della fase di merito, mentre quelle del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Dichiara compensate fra le parti le spese di giudizio della fase di merito e condanna la intimata a rifondere all’ Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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