Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25117 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4358/2015 proposto da:

P.A., nata a (OMISSIS) e residente in (OMISSIS) alla

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’Avv.

Domenico Franco (C.F.: FRN DNC 50L17 L328T), come da procura

speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliata in

Roma, al Viale Mazzini n. 11, presso lo studio dell’Avv. Marco De

Bonis;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1457/05/2014 emessa dalla CTR Puglia in data

25/06/2014 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.A. di (OMISSIS) ricorreva innanzi alla CTP di Bari avverso l’avviso di rettifica e liquidazione emesso dalla Agenzia delle Entrate con cui veniva accertato in Euro 500.000,00 il valore di cessione di un immobile in (OMISSIS), nel (OMISSIS), per il quale la parte acquirente aveva chiesto la tassazione in base al valore catastale di Euro 83.000,00.

Per l’Ufficio tale rettifica era motivata dal fatto che nel rogito notarile del 20/05/2008 la parte venditrice dichiarava di aver realizzato, in assenza delle prescritte autorizzazioni, l’ampliamento di mq 63,65 della villetta stessa, la costruzione di vani tecnici di pertinenza per mq 27,25 ed una piscina, per le quali opere aveva presentato domanda di sanatoria al Comune di Barletta con i relativi versamenti per oblazione. Pertanto, non risultando accatastate tali addizioni, il valore catastale non corrispondeva più al fabbricato effettivamente trasferito. Inoltre, nel l’indicato rogito notarile veniva dichiarato che il prezzo convenuto ed accettato dalle parti era di Euro 500.000,00.

La ricorrente eccepiva, invece, preliminarmente la nullità dell’avviso per mancanza di motivazione e per omessa attribuzione di rendita da parte dell’UTE. Nel merito, eccepiva la errata valutazione dei fatti posti a base della imposizione fiscale e produceva agli atti una perizia stragiudiziale giurata da cui risultava che il valore di mercato dell’immobile era di Euro 370.000,00.

Chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’impugnato avviso di rettifica e, in subordine, la riduzione del valore accertato in Euro 370.000,00.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio che, controdeducendo ad ogni motivo del ricorso, ne chiedeva il rigetto.

La CTP, con sentenza 95/22/12, accoglieva parzialmente il ricorso e determinava in Euro 370.000,00 il valore del cespite sottoposto a tassazione, compensando le spese del giudizio.

Avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio, censurandola in quanto illegittima, infondata, contraddittoria e carente sotto il profilo motivazionale.

Chiedeva, pertanto, in via preliminare, di dichiarare la nullità della impugnata sentenza per motivazione illogica e carente su un punto decisivo della controversia. In subordine, nel merito, che, in riforma della sentenza di primo grado, venisse confermata la legittimità e la fondatezza del suo operato dell’Ufficio, con vittoria di spese.

Resisteva in giudizio la contribuente appellata, chiedendo il rigetto del proposto gravame, con la conferma della sentenza di primo grado e la condanna dell’Ufficio al pagamento di quanto indebitamente riscosso e delle spese di giudizio.

Con sentenza del 25.6.2014, la CTR Puglia accoglieva l’appello e, per l’effetto, rigettava l’originario ricorso proposto dalla contribuente, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) nella fattispecie non era possibile utilizzare il criterio automatico di valutazione, di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, in quanto risultava con certezza che l’immobile oggetto della compravendita era notevolmente variato nella consistenza rispetto al primitivo fabbricato accatastato;

2) pertanto, dovendosi applicare il valore venale in comune commercio, si doveva prendere in considerazione il prezzo, convenuto ed accettato dalle parti in atto, di Euro 500.000,00, che costituiva la prova reale, diretta e pertinente di tale valore, rispetto ad una mera dichiarazione di stima, operata da una perizia stragiudiziale (successiva alla stipula della compravendita), senza citare alcun riferimento parametrico e, quindi, priva di qualsivoglia attributo di obiettività e certezza, la cui validità, contrariamente a quanto asserito dall’appellata, risultava contestata totalmente dall’Ufficio sin dal primo grado di giudizio.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.A., sulla base di tre motivi. Ha depositato memoria.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 40 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la CTR considerato, in sede di accertamento del valore di cessione dell’immobile, valida la vendita di immobili costruiti abusivamente.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, non essendovi alcun cenno nella sentenza impugnata nella presente sede, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato nei precedenti gradi di giudizio la relativa questione.

In particolare, la contribuente avrebbe avuto l’onere di precisare sia se e come avesse formulato la doglianza con l’atto introduttivo del giudizio sia se avesse reiterato la censura con l’appello incidentale o, almeno, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Di tutto ciò non vi è traccia nel ricorso.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1988, art. 12, e del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, nonchè l’omessa motivazione di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la CTR omesso di emettere il preventivo avviso di accertamento.

2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Invero, non essendovi cenno della questione nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avesse tempestivamente sollevata.

In ogni caso, in tema di imposta di registro, dal D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12, convertito in L. 13 maggio 1988, n. 154, che richiama espressamente soltanto il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, si desume inequivocabilmente che l’amministrazione finanziaria, nel caso abbia ricevuto una richiesta di attribuzione della categoria catastale urbana e della rendita di un immobile non ancora iscritto in catasto, in correlazione alla dichiarazione delle parti nell’atto di trasferimento del medesimo di volersi avvalere del sistema automatico di valutazione, una volta avuta la comunicazione dei relativi dati da parte dell’UTE, non ha la facoltà di scegliere tra l’esercizio del potere di accertamento o di rettifica, attribuitole dal citato art. 52, comma 1, e quello vincolato di liquidazione in base ai criteri normativamente predeterminati, ma è tenuta all’espletamento di tale attività di calcolo aritmetico mediante moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente previsto (Sez. 5, Sentenza n. 1588 del 26/01/2006): con la conseguenza che, ove abbia illegittimamente emesso l’avviso di accertamento o di rettifica del valore, essa ha il potere-dovere di annullare l’atto, ancorchè divenuto definitivo, stante la persistenza di tale potere per il principio di legalità ed imparzialità dell’attività della P.A. (art. 97 Cost.). E’ chiaro che in siffatta evenienza l’Ufficio deve riscuotere la maggiore imposta con avviso di liquidazione, senza obbligo di emettere avviso di accertamento, in assenza di alcuna rettifica (Sez. 5, Sentenza n. 10192 del 26/06/2003). Tale liquidazione, che prescinde del tutto sia dal “valore venale del bene in comune commercio” sia dagli altri criteri indicati nel D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, avviene, infatti, sulla base della volontà espressa dal contribuente di assoggettamento al criterio tabellare di valutazione dell’immobile, e l’Ufficio non ha altro adempimento che quello relativo al calcolo della maggiore imposta dovuta dal contribuente sulla base di detto criterio (Sez. 5, Sentenza n. 7947 del 30/05/2002). Nel caso in cui il valore derivante dall’applicazione di tale criterio automatico, una volta attribuita la rendita, sia superiore al valore dichiarato nell’atto registrato, l’Ufficio legittimamente richiede la maggiore imposta dovuta adottando un avviso di liquidazione, e non un avviso di accertamento (Sez. 5, Sentenza n. 2973 del 01/03/2002). Ma ciò non comporta che, al di fuori del caso in cui il contribuente abbia dichiarato di volersi avvalere del sistema automatico di valutazione, l’Ufficio debba far precedere l’avviso di rettifica dalla notifica di un avviso di accertamento.

Senza tralasciare che l’applicazione del criterio automatico di valutazione, in relazione ad immobili non iscritti in catasto con attribuzione di rendita, è rimessa alla libera scelta del contribuente ed è subordinata, ai sensi del D.L. n. 70 del 1988, art. 12, conv., con modif., dalla L. n. 154 del 1988, all’espressa dichiarazione di volersi avvalere delle disposizioni del citato art. ed alla specifica istanza di attribuzione della rendita catastale (con i connessi oneri procedurali indicati nella norma stessa). Pertanto, solo ove il contribuente non abbia manifestato la volontà di optare per la valutazione automatica (ma non è il caso di specie), l’Ufficio non può applicare tale criterio parametrico di determinazione (limitandosi all’eventuale emissione di un avviso di liquidazione), ma è tenuto a procedere, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 52, comma 1, all’accertamento del valore venale del bene, con eventuale notifica di un avviso di accertamento, secondo le regole dettate per l’attività accertativa dal medesimo D.P.R., art. 51 (Sez. 5, Sentenza n. 8413 del 31/03/2017).

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la CTR omesso di esaminare i criteri di determinazione del valore venale dell’immobile oggetto della compravendita.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, in violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi logici maggiormente significativi, sia l’avviso di rettifica e liquidazione sia la perizia giurata di parte, onde porre questa Corte nelle condizioni di verificare, da un lato, la sufficienza della motivazione posta alla base dell’accertamento di maggior valore del bene e, dall’altro, la congruità del valore di mercato dell’immobile di Euro 370.000,00 indicato in perizia, viepiù se si considera, quanto a quest’ultima, che la CTR ha rilevato l’omissione di qualsivoglia riferimento parametrico o ad enti consultati e l’assenza di qualsivoglia attributo di obiettività e di certezza. In ogni caso, non è suscettibile di essere censurata nella presente sede, se non sul piano motivazionale, la valutazione espressa dal giudice di secondo grado il quale, libero di scegliere le fonti di prova maggiormente attendibili, ha, da un lato, ritenuto dimostrato il maggior valore del bene sulla base del corrispettivo pattuito dalle stesse parti contraenti e, dall’altro lato, considerato priva di rilevanza la perizia stragiudiziale prodotta dalla contribuente.

4. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (in sede di condanna del soccombente al rimborso delle spese del giudizio a favore di un’amministrazione dello Stato – nei confronti del quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario – riguardo alle spese vive la condanna deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito: cfr. Cass. 18.4.2000, n. 5028; Cass. 22.4.2002, n. 5859).

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.295,00, oltre spese prenotate a debito.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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