Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25114 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 16/09/2021), n.25114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26945/2020 proposto da:

E.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Rosaria

Tassinari, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2316/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/08/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2316/2020 depositata il 27-8-2020, la Corte d’appello di Bologna ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva accolto la domanda di riconoscimento della umanitaria proposta da E.S., cittadino della Nigeria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per paura di essere ucciso da persone, aderenti ad un culto, che avevano ucciso suo padre e volevano appropriarsi di un terreno appartenente alla sua famiglia. La Corte territoriale ha ritenuto fondato il motivo d’appello proposto dal Ministero, rilevando che non era credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale non aveva proposto appello incidentale in ordine alle domande non accolte in primo grado, e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. La Corte di merito ha affermato che non fossero ravvisabili elementi di vulnerabilità oggettiva, non emergendo un’incolmabile ed effettiva sproporzione rispetto al contesto di vita del Paese di origine, né di vulnerabilità soggettiva, in quanto l’appellante è soggetto di età matura e di personalità formata, in buona salute e con dimostrata capacità lavorativa (meccanico), svolta con profitto nel suo Paese tanto da consentirgli di pagare il viaggio in Italia, e non essendo a tal fine di per sé decisivo il positivo percorso di inserimento intrapreso in Italia, effettuata la comparazione con le condizioni in cui egli si troverebbe in caso di rimpatrio.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, carenza di motivazione in ordine alla dedotta inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., non avendo la Corte di merito svolto alcuna argomentazione sull’eccezione come sopra proposta dall’appellato; (ii) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello assolto all’onere di cooperazione istruttoria al fine di verificare la verosimiglianza della vicenda personale narrata, nonché lamentando la violazione del principio dell’onere probatorio attenuato e l’errata valutazione dei parametri di credibilità, essendo comprensibili, anche in relazione al basso livello di scolarità del richiedente, le lacune del suo racconto, per essere egli arrivato in Italia dopo un lungo viaggio in luoghi pericolosi e “in mano a trafficanti”; (iii) con il terzo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere verificato la Corte d’appello la sussistenza nel suo Paese di una situazione di violenza indiscriminata mediante concreta ed attuale indagine, richiamando quanto risulta dal sito “(OMISSIS)” della Farnesina con riferimento a fatti del settembre 2016 e da report di Amnesty International, nonché pronunce di questa Corte e di merito; (iii) con il quarto motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, accogliendo l’appello del Ministero, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, tenendo conto del suo comportamento irreprensibile e della sua positiva integrazione in Italia, raggiunta tramite svariate attività di lavoro, come da contratti e buste paga prodotti in allegato al ricorso, mentre in caso di rimpatrio sarebbe destinato ad una vita di privazione e di stenti.

2. Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non riporta nel testo del ricorso il motivo d’appello del Ministero del quale assume di aver eccepito l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c., difettando così la censura di autosufficienza (Cass. n. 29495/2018).

3. Anche gli altri motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Occorre premettere che la questione devoluta in appello, su iniziativa del Ministero, concerneva solo il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo espressamente e correttamente precisato la Corte di merito che, in assenza di appello incidentale, si era formato il giudicato interno in ordine alle domande di concessione delle altre misure di protezione (rifugio e sussidiaria), rigettate dal Tribunale.

Ciò posto, ne consegue l’integrale inammissibilità del terzo motivo, vertente sulla sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c).

Quanto al giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente (secondo motivo), in disparte il rilievo che in ricorso non è chiarito a quali fini potrebbe assumere rilevanza in ordine alla protezione umanitaria, la censura è diretta a sollecitare un improprio riesame dei fatti, atteso che il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata nel giudizio di merito, con motivazione adeguata (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

3.2. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Tanto precisato, anche le doglianze relative al diniego della protezione umanitaria (quarto motivo) difettano di specificità e sollecitano una rivisitazione del merito.

La Corte d’appello ha affermato l’insussistenza di una situazione di effettiva, stabile e significativa integrazione del ricorrente in Italia ed inoltre ha effettuato la comparazione con la situazione in cui egli, di età matura e professionalità formata nel suo Paese (meccanico), verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio, così escludendo ogni profilo di vulnerabilità, in applicazione dei principi di cui alla pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte.

Il ricorrente non censura specificamente dette argomentazioni, adduce che in caso di rimpatrio sarebbe destinato ad una vita di privazione e stenti ed afferma di svolgere attività di lavoro come da documenti che allega al ricorso per cassazione, senza specificare se li ha allegati nel giudizio in appello, senza descriverne precisamente il contenuto ed invero senza neppure specificamente dolersi dell’omesso esame di fatti decisivi.

La produzione della documentazione di lavoro allegata al ricorso e’, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non rientrando in alcune delle ipotesi previste da detta ultima norma.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

 

 

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