Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25112 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/11/2020), n.25112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16201/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.P.R.I.S.S. Lab s.r.l., (già Demetra S.P.A.) in persona del suo

legale rappresentante pro-tempore B.L., rappresentato e

difeso dall’Avv. Francesco Crisi, elettivamente domiciliata presso

lo studio dell’Avv. Licia D’Amico in Roma via Germanico n. 197,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

-controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 156/03/12, depositata il 19 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Marco Dinapoli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Spriss Lab s.r.l. (già Demetra s.p.a.) impugnava in primo grado gli avvisi di accertamento nn. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2005 e (OMISSIS) per l’anno di imposta 2006 emessi dall’Agenzia delle entrate di Perugia per il recupero a tassazione dei costi per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti consistite nello svolgimento solo apparente di ricerche scientifiche, in realtà di contenuto irrisorio, a fronte dell’entità del corrispettivo pattuito.

La Commissione tributaria provinciale di Perugia, riuniti i ricorsi, li respingeva con sentenza n. 9/1/12, avverso cui la contribuente proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale dell’Umbria con la sentenza indicata in epigrafe accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, annullava gli avvisi di accertamento. Fondava questa decisione essenzialmente su due argomenti. -) l’archiviazione del procedimento penale nei confronti dei legali rappresentanti delle società Donnini s.n.c. e Demetra s.p.a; -) l’ammissione della società da parte del Ministero dell’Università e della ricerca a fruire di un contributo pubblico per la ricerca svolta.

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con tre motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con vittoria di spese e compensi di difesa.

La contribuente resiste con controricorso con cui eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avverso, di cui chiede il rigetto, con ogni consequenziale statuizione, anche con riguardo alle spese di lite. Successivamente il difensore costituito comunica che dopo il deposito del controricorso il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’Agenzia ricorrente propone tre motivi di ricorso.

1.1- Con il primo motivo denunzia il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la sentenza argomenta solo dall’archiviazione del procedimento penale (disposta per altro per motivi formali e senza alcuna valutazione della rilevanza e scientificità della ricerca) e dalla concessione del contributo pubblico da parte del Ministero che è stata disposta solo in base alla valutazione preventiva del progetto presentato, salva successiva verifica, all’esito della quale la concessione del contributo è stata revocata. La sentenza omette invece qualsiasi valutazione circa le questioni di fatto indicate nell’avviso di accertamento a sostegno della fittizietà della ricerca.

1.2 – Con il secondo motivo ripropone il medesimo vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nuovo testo, ritenendo che non si applicherebbe al processo tributario, e comunque che il vizio lamentato sarebbe rilevante anche ai sensi del nuovo testo perchè la sentenza ha del tutto omesso l’esame delle circostanze di fatto poste a fondamento delle ripresa a tassazione dei costi ritenuti fittizi.

1.3 – Il terzo motivo denunzia violazione o falsa applicazione del D.M. n. 593 del 2000, art. 14, del D.M. 22 luglio 1998, artt. 5 e 7, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) perchè la sentenza ha attribuito efficacia esimente al decreto ministeriale di concessione di contributo pubblico, che invece in base alla normativa che si assume violata viene erogato sulla base di un mero controllo formale, salvo successiva verifica.

2. – Va premesso che l’apertura del fallimento non determina l’interruzione del processo pendente innanzi questa Corte atteso che il processo di cassazione è dominato dall’impulso d’ufficio, per cui non trovano applicazione le comuni cause di interruzione previste in via generale dalla legge (Cass. sez. quinta n. 19119 del 28.09.2016). Pertanto il presente giudizio prosegue nonostante il difensore costituito abbia comunicato che nelle more è sopraggiunto il fallimento della società contribuente.

3. – I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, dato che propongono le stesse doglianze con riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia nella formulazione della norma anteriore alla modifica disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, sia nella formulazione successiva alla modifica.

3.1 – Occorre premettere che, con riferimento alla data del deposito della sentenza impugnata, è applicabile il testo modificato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2 – Il nuovo testo, a differenza di quanto prospettato dalla Agenzia ricorrente, trova applicazione anche al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni tributarie, come ritenuto da queste Sezioni Unite con decisione ormai consolidata, per cui “Le disposizioni di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie regionali e ciò sia per quanto riguarda la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), secondo la quale la sentenza d’appello è impugnabile “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sia per quanto riguarda l’aggiunto art. 348-ter c.p.c., u.c., secondo il quale la proponibilità del ricorso per cassazione è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’ art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l’impugnazione sia proposta avverso una sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata (Cass. sez. un. 8053 del 2014)”.

3.3 – Pertanto il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto formulato in applicazione del vecchio testo dell’artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed il secondo motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui sostiene che il nuovo testo non si applichi al ricorso per Cassazione avverso la sentenza impugnata.

3.4 – Nella rimanente parte il secondo motivo di ricorso è infondato. A seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato di legittimità sulla motivazione è oggi ridotto al “minimo costituzionale”, nel senso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

3.5 – L’odierna ricorrente non contesta la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, ma lamenta in realtà l’insufficienza delle argomentazioni svolte a giustificazione della decisione adottata dal giudice a quo perchè non estesa alla valutazione di tutti gli elementi fattuali acquisiti al processo e scartati dal Giudice di merito in quanto ritenuti espressamente o implicitamente recessivi rispetto a quelli su cui si fonda la decisione.

3.6 – Ma, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

3.7 – In applicazione dei principi sopra indicati, la motivazione della sentenza impugnata resiste alle argomentazioni della ricorrente.

3.8 – La sentenza ha ritenuto prevalenti ai fini decisori: a) il provvedimento di archiviazione del giudice penale da cui ha dedotto che “gli elementi in atti inducono a ritenere la reale esistenza delle operazioni fatturate”; b) la difesa svolta dagli appellanti che “anche attraverso una opportuna rappresentazione grafica ha spiegato la ragione della apparente triangolazione” individuata nella “particolarità della ricerca in essere e la specializzazione di ciascuna delle società”; c) il riconoscimento del valore della ricerca in questione, ritenuta meritevole di contributo pubblico da parte del Ministero dell’Università e della ricerca.

3.9 – Rispetto a questa valutazione del compendio probatorio è stata ritenuta recessiva la valenza dimostrativa delle rimanenti questioni, di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame; si tratta però della valutazione complessiva della prova, che costituisce la tipica materia di competenza del giudice di merito, e si sottrae pertanto al sindacato di legittimità.

4. – Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perchè la censura è priva del requisito della decisività. Infatti le norme di cui si assume la violazione attengono alla procedura amministrativa di selezione e controllo delle domande di concessione del contributo pubblico, cui la sentenza impugnata però non fa alcun riferimento, e la cui eventuale violazione e/o falsa applicazione (per altro indimostrata dalla ricorrente) risulta perciò estranea alla decisione.

4.1 – Qualora poi la ricorrente intendesse censurare, per tale via, la valutazione della sentenza che ha tratto elementi di convincimento dalla sola ammissione a fruire del contributo, indipendentemente dalla successiva revoca, si tratterebbe comunque di argomento inconferente sotto l’aspetto del vizio di legittimità prospettato.

5. – In conclusione, per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio, come appresso liquidate.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.000 (cinquemila) oltre il 15% per spese forfettarie, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

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