Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25112 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. I, 08/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24354 – 2018 r.g. proposto da:

M.A. (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Francesca Angelicchio, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato in Sarzana, Via Rossi n. 32.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante

pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, depositata in

data 8.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova – decidendo l’appello proposto dal Ministero dell’Interno nei confronti di M.A., cittadino tunisino, avverso l’ordinanza emessa in data 19.7.2016 dal Tribunale di La Spezia (con la quale era stato accolta la domanda del richiedente di annullamento del provvedimento questorile di rigetto della domanda di rilascio della carta di soggiorno per motivi familiari) – ha accolto l’appello, rigettando pertanto la domanda avanzata dall’odierno ricorrente.

La corte del merito ha ritenuto, in ordine al controverso profilo dell’applicazione della normativa al caso di specie, che l’art. 28, comma 4, t.u. imm., richiama l’art. 19, comma 2, che, a sua volta, rinvia all’art. 13, comma 1, medesima legge, le cui disposizioni escludono il rilascio del predetto permesso di soggiorno a “stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana”, solo per “motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”; ha evidenziato, dunque, che è la stessa lettera della legge ora richiamata a imporre al Questore la valutazione della pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, come peraltro parallelamente previsto dall’art. 5, commi 5 e 5 bis, t.u. imm. sia per il rilascio che per il rinnovo del permesso di ingresso e di soggiorno nel territorio dello stato; ha concluso per un giudizio di pericolosità sociale del richiedente per i gravi reati di spaccio di sostanza stupefacente commessi in passato.

2. La sentenza, pubblicata il 8.2.2018, è stata impugnata da M.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento agli artt. 3,4,13 e 19 TUI. Osserva il ricorrente che l’applicazione delle predette norme al caso di specie era palesemente erronea perchè il ricorrente era coniuge di cittadino italiano e dunque doveva trovare applicazione la normativa più favorevole di cui al D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20 potendosi escludere il rilascio del richiesto permesso di soggiorno solo per “motivi di sicurezza dello Stato, motivi imperativi di pubblica sicurezza; altri motivi di ordine pubblico ovvero di pubblica sicurezza”. Si denuncia, altresì, come erronea l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui incombeva sul richiedente l’onere di provare l’assenza di elementi ostativi al soggiorno sul territorio nazionale, e non già a carico dell’amministrazione che vuole negare il rilascio del relativo permesso.

2. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di circostanza provata documentalmente, relativa al fatto che il ricorrente era entrato in Italia regolarmente con visto di ingresso rilasciato dall’ambasciata italiana.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

3.1.1 La questione sollevata dal ricorrente involge l’esame di un diniego di permesso o carta di soggiorno per motivi familiari pronunciato dal questore nei confronti di cittadino tunisino sposato con donna italiana.

Come sopra già evidenziato, il tribunale aveva accolto l’opposizione, mentre la corte territoriale ha accolto l’appello del Ministero dell’Interno, facendo applicazione del t.u. imm. (art. 4, comma 3, art. 5, commi 5 e 5 bis, art. 13, comma 1 e art. 19, comma 2, lett. c)) e del relativo regolamento di esecuzione (approvato con D.P.R. n. 394 del 1999), art. 28, comma 1 lett. b), in quanto “l’appellato, che peraltro è pacifico sia entrato in Italia irregolarmente e sia stato colpito da un provvedimento espulsivo in data 19.12.2008, non ha fornito sul punto (della pericolosità attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza dello stato) prova contraria e, a fronte del curriculum delinquenziale di non trascurabile spessore, rappresentato dalle citate sentenze di condanna penale, passate in giudicato, per i gravi reati di spaccio di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, è ragionevole ritenere sussistente il presupposto della pericolosità attuale in capo all’appellato”.

3.1.2 Va premesso che la questione se trovi, nella specie, applicazione il t.u. imm. oppure il D.Lgs. n. 30 del 2007 (la cui applicabilità, in quanto disciplina più favorevole, è sostenibile alla stregua dell’art. 28, comma 2, t.u.imm.) è irrilevante, discutendosi, qui, soltanto del requisito del difetto di pericolosità, previsto da entrambe le normative.

3.1.3 Ciò posto, va tuttavia osservato come la corte territoriale non abbia affatto invertito l’onere della prova dell’attualità della pericolosità del richiedente, avendo invece espressamente desunto tale requisito dai precedenti penali dell’interessato, come risulta chiaramente dal passaggio della motivazione sopra riportato testualmente, onerando invece il richiedente, secondo la regola generale, della sola prova contraria.

3.2 Il secondo motivo è anch’esso infondato, atteso che il fatto della cui omessa valutazione si duole il ricorrente rappresenta una circostanza non decisiva, al cospetto della valutazione di pericolosità, come del resto chiaramente risulta dalla motivazione, che prende in considerazione solo ad abundantiam la circostanza dell’ingresso irregolare in Italia del richiedente. Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità per la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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