Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2511 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/01/2017, (ud. 08/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9577/2011 proposto da:

B.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

via BARNBABA TORTOLINI 13, presso lo studio dell’avvocato GIANGUIDO

PORCACCHIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO LANFRANCHI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI PAPARDO – PIEMONTE, P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 26, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO CARATOZZOLO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

F.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO CALDARERA,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 464/2010 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 07/04/2010 R.G.N. 93/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato MARIANO MAURIZIO per delega Avvocato PORCACCHIA GIAN

GUIDO;

udito l’Avvocato CARATOZZOLO ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Messina, con la sentenza n. 3655 del 2007, rigettava le domande proposte da B.G., con ricorso depositato il 4 aprile 2006, diretto ad ottenere previa disapplicazione della Det. sindacale n. 310 del 30 giugno 2005 e degli atti e verbali della Commissione di esperti, l’annullamento della Delib. 26 gennaio 2006, n. 50 con cui il direttore generale della Azienda ospedaliera “Piemonte” di Messina aveva conferito l’incarico di direttore di struttura di patologia clinica al dott. F.G. (indicato per lapsus calami quale F. nella epigrafe della sentenza di appello), e la dichiarazione del proprio diritto ad ottenere l’incarico dirigenziale, o in subordine la condanna dell’Azienda a risarcirgli il danno conseguente alla perdita di chances.

2. Il Tribunale rigettava la domanda.

3. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di appello ritenendo corretto l’operato della Commissione, avendo la stessa tenuto conto dei requisiti specifici per l’accesso all’incarico di direzione complessa e tra essi del “curriculum” ai sensi del D.P.R. n. 484 del 1997, art. 8 e non rilevando, in ragione della disciplina normativa, che il Falliti all’atto del conferimento dell’incarico aveva dato le dimissioni e non apparteneva più alla dirigenza del SSN.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre nei confronti della Azienda ospedaliera “Piemonte” di Messina e di F.G., B.G., prospettando due motivi di ricorso.

5. Sia l’Azienda ospedaliera che il F. resistono con controricorso.

6. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto: D.P.R. n. 484 del 1997, artt. 3, 5, 6, 8 e art. 15, comma 3; art. 97 Cost.; artt. 1175, 1337 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2. Il ricorrente premette che il conferimento degli incarichi nell’ambito della dirigenza, settore sanità, trova la principale fonte di regolamentazione nel D.Lgs. n. 502 del 1992, come modificato nel tempo, pervenendosi all’attuale disciplina secondo la quale l’attribuzione dell’incarico di direzione di struttura complessa è effettuata dal direttore generale, previa pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, sulla base di una rosa di candidati idonei selezionata da una apposita Commissione. Quest’ultima deve procedere all’accertamento dell’idoneità degli aspiranti sulla base di un colloquio e della valutazione del curriculum professionale, i cui contenuti sono indicati nel D.P.R. n. 484 del 1997, art. 8, (Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l’accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale).

Tale disposizione, in particolare, al comma 3, stabilisce: “I contenuti del curriculum professionale, valutati ai fini del comma 1, concernono le attività professionali, di studio, direzionali-organizzative, con riferimento”, tra l’altro “c) alla tipologia qualitativa e quantitativa delle prestazioni effettuate dal candidato”.

La medesima disposizione, al quinto comma, stabilisce: “I contenuti del curriculum, esclusi quelli di cui al comma 3, lett. c), e le pubblicazioni, possono essere autocertificati dal candidato ai sensi della L. 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni”.

Il medesimo D.P.R. n. 484 del 1997, art. 5, comma 1, lett. c), stabilisce che il “curriculum ai sensi dell’art. 8 in cui sia documentata una specifica attività professionale ed adeguata esperienza ai sensi dell’art. 6, costituisce uno dei requisiti” per l’accesso all’incarico di direttore di struttura complessa.

3. Tanto premesso, il ricorrente rileva che, erroneamente, il giudice di merito non si sarebbe avveduto della violazione della suddetta disciplina:

Esso ricorrente entro i termini di presentazione della domanda era stato il solo ad avere cura di documentare, a mezzo di apposita certificazione rilasciata dalla propria Azienda, la “tipologia qualitativa e quantitativa delle prestazioni effettuate”.

La Commissione, dopo aver richiesto a ciascun candidato la integrazione del curriculum ai fini di una più corretta valutazione della posizione di ciascuno, aveva poi deciso di non acquisire ulteriori documenti e stabiliva i criteri per procedere all’esame dei curricula omettendo di considerare “la tipologia qualitativa e quantitativa delle prestazioni effettuate dai candidati”.

La Corte d’Appello, disattendendo le doglianze del ricorrente, riteneva corretto l’operato della Commissione, escludendo che la certificazione fosse indispensabile ai fini della conformità del curriculum e della valutazione dei candidati.

Erroneamente, la Corte d’Appello non riteneva viziante tale omissione, assumendo inoltre che la disciplina transitoria di cui all’art. 15, comma 3 suddetto D.P.R..

4. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

5. Ha rilievo assorbente il carattere non concorsuale della procedura secondo i principi affermati da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 25042 del 2005, nel dirimere questione di giurisdizione: appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15 dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale per il solo fatto che ad essa sono ammessi anche soggetti estranei al SSN, e soggetti che, seppur medici del servizio sanitario, sono legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura. Nella disciplina per il conferimento dell’incarico di dirigente medico di secondo livello non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad una procedura concorsuale, ancorchè atipica: la commissione si limita – dopo le modifiche apportate al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 dal D.Lgs. n. 517 del 1993 – alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell’incarico, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei “curricula”, senza attribuire punteggi o formare una graduatoria, semplicemente predisponendo un elenco di candidati, tutti idonei perchè in possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste in relazione alla natura dell’incarico da conferire; l’elenco viene sottoposto al direttore generale il quale, nell’ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l’incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, commi 1 e 4, e successive modifiche).

Nello stesso senso Cass., S.U. n. 8950 del 2007 (cfr. Cass., S.U. 5920 del 2008, n. 21060 del 2011): la procedura di selezione avviata da un’Azienda ospedaliera per il conferimento dell’incarico di dirigente di secondo grado del ruolo sanitario – prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15-ter, commi 2 e 3, – non ha carattere concorsuale, in quanto si articola secondo uno schema che prevede non lo svolgimento di prove selettive con formazione di graduatoria finale ed individuazione del candidato vincitore, ma la scelta di carattere essenzialmente fiduciario di un professionista ad opera del direttore generale dell’Azienda unità sanitaria locale nell’ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei da un’apposita commissione per requisiti di professionalità e capacità manageriali.

Con la recente Cass, S.U., n. 9281 del 2016 si è ribadito che la selezione prevista dall’art. 15-ter, introdotto nel D.Lgs. n. 502 del 1992 dal D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 13, non integra un concorso in senso tecnico, anche perchè articolata secondo uno schema destinato a concludersi con una scelta essenzialmente fiduciaria operata dal direttore generale.

6. il D.P.R. n. 484 del 1997, art. 8 della cui violazione in particolare il ricorrente si duole, non indica i requisiti minimi (e cioè le condizioni soggettive ed oggettive minime per poter partecipare alla selezione di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15, comma 3, e successive modificazioni), ma i criteri sul colloquio ed il curriculum professionale. Detti criteri, ai sensi dell’art. 3 cit. D.P.R, consistono in “indicazioni concernenti il colloquio ed i contenuti valutabili del curriculum professionale ai fini della predisposizione dell’elenco dei candidati ritenuti idonei da parte della Commissione di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15, comma 3, e successive modificazioni”.

Ciò, tenuto conto delle caratteristiche della procedura, come sopra ricordata in ragione dell’insegnamento delle Sezioni Unite, pone in evidenza come l’art. 8, non si traduce in un obbligatoria modalità di redazione del curriculum per i candidati, tra i quali non viene effettuata una comparazione, ma rispetto ai quali viene espresso un giudizio di idoneità, ma integra una elencazione degli elementi che, indicati nel curriculum, costituiscono oggetto della valutazione della Commissione, senza stabilire, peraltro, una priorità dell’uno rispetto all’altro.

I candidati sanno quali sono gli elementi che possono concorrere ad integrare utilmente il curriculum, in quanto possono costituire oggetto di valutazione da parte della Commissione nei sensi sopra indicati.

Diversamente, devono sussistere, e la Commissione deve verificarne la sussistenza, i requisiti minimi di cui agli artt. 3 e 5 medesimo D.P.R., tra i quali “curriculum ai sensi dell’art. 8 in cui sia documentata una specifica attività professionale ed adeguata esperienza ai sensi dell’art. 6”.

7. La Corte d’Appello correttamente, quindi, ha affermato che l’operato della Commissione era esente va vizi in quanto la stessa aveva tenuto conto dei requisiti specifici (D.P.R. n. 484 del 1997, artt. 3 e 5) e tra essi del “curriculum ai sensi dell’art. 8 sopra citato”, e che nel curriculum, la cui presentazione sin dall’inizio da parte del F. non è contestata dal ricorrente (che deduce che dopo che la Commissione aveva chiesto integrazione il controricorrente aveva presentato un nuovo curriculum, v. pag. 10 del ricorso, e rileva, in modo generico e non circostanziato, atteso che non espone quali sarebbero stati gli elementi di novità ai fini della rilevanza della doglianza, che la Corte d’Appello si sarebbe basata su quest’ultimo, p. 21 del ricorso), era documentata una specifica attività professionale e l’adeguata esperienza, determinata pur senza avvalersi delle specificazioni casistiche dei decreti ministeriali, in quanto gli stessi non erano ancora stati adottati (art. 15, comma 3, in relazione al D.P.R. n. 484 del 1997, art. 6).

8. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 97 Cost., D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 15, 15-bis, 15-ter, 15-terdecies; artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.; del D.P.R. n. 484 del 1997, art. 1, comma 1 e art. 10, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il ricorrente che il F., al tempo in cui sosteneva il colloquio, ed era dichiarato idoneo, non era più dirigente medico del SSN e non avrebbe quindi potuto nè essere dichiarato idoneo, nè, conseguentemente, ottenere l’incarico.

Erroneamente, in ragione della giurisprudenza di legittimità e della disciplina di settore, la Corte d’Appello ha ritenuto che alla selezione sarebbero stati ammessi anche soggetti estranei al SSN, e che il carattere discrezionale della nomina operata nell’ambito dei poteri propri del datore di lavoro privato escludevano la possibilità di disapplicazione della nomina, mentre la mancanza di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo escludeva la configurabilità di un interesse tutelabile con il risarcimento del danno.

Espone il ricorrente che il conferimento dell’incarico a soggetti esterni, trattandosi nella specie di procedura non concorsuale, determinerebbe l’accesso ai ruoli della dirigenza, con inquadramento nei ruoli, senza concorso.

Il ricorrente prospetta quindi che una diversa interpretazione renderebbe sospette di illegittimità costituzionale le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 7, e art. 15-ter, comma 2.

9. Il motivo va rigettato. La previsione del D.P.R. n. 484 del 1997, art. 1, comma 1 secondo cui “l’incarico di direzione sanitaria aziendale è riservato ai medici di qualifica dirigenziale che abbiano svolto per almeno cinque anni attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione e che abbiano conseguito l’attestato di formazione manageriale di cui all’art. 7 previsto per l’area di sanità pubblica”, non richiede la persistenza del rapporto di lavoro dirigenziale al momento dell’incarico, ma l’aver ricoperto tale qualifica per un tempo significativo.

Pertanto non sussiste il vizio denunciato dal ricorrente e quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite con la citata sentenza n. 25042 del 2005, e cioè che la procedura non ha carattere concorsuale e che alla procedura sono ammessi anche soggetti estranei al S.S.N., e soggetti che, seppur medici del servizio sanitario, sono legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura, non fa superare il vaglio di non manifesta infondatezza alla questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente.

Correttamente in ragione del rigetto delle censure relative a vizi della procedura la Corte d’Appello ha rigettato la domanda risarcitoria.

10. Il ricorso deve essere rigettato.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida per ciascun controricorrente in Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 per cento, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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