Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2511 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 03/02/2021), n.2511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21223-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

CORA BANCHE SPA, in persona del rappresentante legale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA N. 48, presso lo

studio dell’avvocato COMMITTERI ALONZO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SERENA GIGLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2429/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con sentenza in data 1.4.2019 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, accoglieva l’appello proposto da Cora Banche s.r.l. avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della quota pari al 90% dell’IRPEF versata per gli anni 1990, 1991 e 1992 dal contribuente, residente in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e dal giudice di appello ritenuto spettante sulla base del regolamento c.d. de minimis.

Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18,19 e 21, per non avere la CTR dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente – rilevabile in ogni stato e grado del giudizio – per mancanza nell’istanza di rimborso della indicazione del quantum richiesto e della connessa prova di aver versato al Fisco la somma chiesta in restituzione.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto nel ricorso il contenuto dell’istanza di rimborso, ovvero indicato in quale fase del giudizio di merito la stessa sia stata prodotta, nè depositato la suddetta istanza unitamente al ricorso.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, della VI Dir. n. 77/388/CEE come interpretata dalla Corte di giustizia con sentenza del 17 luglio 2008 in causa C-132/06, dell’ordinanza della Corte di giustizia del 15 luglio 2015 in causa C-82/14, nonchè della decisione 5549 final del 14 agosto 2015 della Commissione Europea nonchè dell’art. 107 e 108, par. 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, violazione del Reg. Ce n. 1407/2013 e del regolamento Cen. 717/2014.

Censura la sentenza impugnata per avere la CTR riconosciuto il rimborso al contribuente, titolare di redditi di impresa, pur non ricorrendo i presupposti giustificativi dell’applicazione del c.d. regime de minimis.

Il motivo è infondato.

Va osservato che lo svolgimento di un’attività di impresa costituisce, ai sensi della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, un limite all’applicabilità del beneficio in esame. Il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento, previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’O.M. per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, art. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990” è espressamente escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea”, atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla L. n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.

Orbene, anche che con riferimento al beneficio di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, della la Commissione UE, con la decisione del 14/08/2015, C (2015) 5549 final – impugnata da una società siciliana dinanzi al Tribunale di primo grado UE, che l’ha confermata con sentenza del 26 gennaio 2018 e che, pertanto, è vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante (Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017) – ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni (…) e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopra citate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, par. 3, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal Reg. (CE) n. 1407/2013 o dal Reg. (CE) n. 717/2014”, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 Dec.) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’art. 1 Reg. (CE) n. 994/98” (sull’applicazione degli artt. 92 e 93 (ora 87 e 88) Trattato a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).

Ha precisato al riguardo la Commissione UE che “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a “soggetti che non svolgono un’attività economica” e che pertanto “non vanno considerati come imprese” oppure perchè il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perchè il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (p. 134).

Da tali statuizioni discende, anzitutto, la necessità di individuare la categoria di “impresa comunitaria”, dato che soltanto l’appartenenza a tale categoria rende di per sè inapplicabile, salvo le precisazioni di cui ai citati artt. 2 e 3 Dec. (di cui si dirà in prosieguo), il beneficio in esame.

Soccorrono, al riguardo, le pronunce con le quali questa Corte ha chiarito che: “In tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, a seguito dell’intervento della commissione Ue con la decisione del 14 agosto 2015, C (2015) 5549, non è applicabile ai soggetti che esplicano attività di “impresa comunitaria”, rispetto alla quale rileva esclusivamente lo svolgimento di attività economica volta a fornire beni o servizi, essendo invece irrilevante l’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette), sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo, soggetto di diritto privato o pubblico), rilevando esclusivamente lo svolgimento di una attività economica volta a fornire beni o servizi” (Cass. n. 29905 del 2017); “In tema di aiuti di stato, la nozione Euro-unitaria di impresa include come confermato dalla normativa Europea in tema di individuazione del soggetto passivo dell’iva nonchè da quella sugli appalti pubblici – qualsiasi entità che eserciti un’attività economica consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della stessa, sicchè vi rientrano anche le libere professioni regolamentate che si estrinsecano nello svolgimento di prestazioni intellettuali, tecniche e specialistiche” (Cass. n. 10450 del 2018).

Una volta accertato lo svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale) da parte del contribuente come nel caso di specie -, il giudice di merito è tenuto, poi, a verificare che il beneficio individuale rispetti il regolamento de minimis (artt. 2 e 3 citata Dec.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92 T.F.U.E., n. 1, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (cfr. Cass. n. 22377 del 2017, cit.). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta Dec. della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibile gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107 T.F.U.E., par. 2, lett. b), ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (p. 150, lett. b), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (p. 136), il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: p. 148 della decisione della Commissione). Inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dal diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. n. 14465 del 2017; cass 2020 n. 15856). Al riguardo, occorre precisare che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017, cit., l’applicazione dello ius superveniens (alla cui stregua va ricondotta la decisione della Commissione UE) consente, in sede di rinvio, l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998).

Nella specie, la CTR ha accertato in concreto la sussistenza dei presupposti di applicabilità del regolamento de minimis, rilevando che l’importo complessivo del rimborso richiesto e riconosciuto era inferiore a quello limite (Euro 200.000,00 nel triennio) fissato dal legislatore comunitario per poter usufruire del beneficio.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, come modificato dal D.L. n. 91 del 2017, art. 16-octies, convertito dalla L. n. 123 del 2017. Sostiene il ricorrente che lo ius superveniens di cui al suddetto D.L. sarebbe estensibile all’odierno giudizio poichè l’art. 16-octies dovrebbe applicarsi a tutti i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore, nella parte in cui riduce in percentuale le somme da corrispondere (o addirittura esclude che si proceda al rimborso) nel caso in cui gli importi complessivamente dovuti eccedano le risorse stanziate in bilancio.

La censura è infondata, in quanto, prospettando l’applicabilità della nuova normativa al presente giudizio, si pone in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui “in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione di limiti quantitativi al procedimento di rimborso da parte di una legge sopravvenuta (nella specie, la L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, lett. b, di conv. del D.L. n. 91 del 2017), attuata con provvedimento amministrativo, in quanto la stessa non incide sul titolo del diritto alla ripetizione, che si forma nel relativo processo, ma esclusivamente sull’esecuzione del medesimo” (Cass. n. 6213 del 2018; nello stesso senso: Cass. n. 227 del 2018; Cass. n. 29899 del 2017).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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