Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25109 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 07/12/2016), n.25109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22270-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PAOLO EMILIO

34, presso lo studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI DI BIASE

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 185/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

PESCARA, depositata il 25/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle entrate ricorre nei confronti di P.I. (ginecologa, che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza n. 185/10/09 con la quale, in relazione ad impugnazione del silenzio rifiuto su istanza di rimborso dell’Irap versata per gli anni dal 2001 al 2004, la C.T.R. dell’Abruzzo ha respinto l’appello dell’Agenzia confermando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con i primi due motivi, deducendo omessa pronuncia e violazione di legge, l’Agenzia ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello non abbia considerato che la contribuente aveva chiesto di fruire del condono per le annualità 2001e 2002.

La censura è fondata nei termini che seguono.

Secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) la presentazione dell’ istanza di condono fiscale preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, anche nell’ipotesi di asserito difetto del presupposto, giacchè il condono – determinando la formazione di un titolo giuridico nuovo in forza del quale il contribuente volontariamente sceglie di versare le somme risultanti dall’applicazione di parametri predeterminati – costituisce una modalità di definizione “transattiva” della controversia, da cui consegue il componimento delle opposte pretese e quindi l’azzeramento, a fronte di eventuali ulteriori rivendicazioni del Fisco, della richiesta del contribuente al rimborso (v. tra le altre cass. n. 4566 del 2015). Quanto all’ammissibilità della censura, è appena il caso di evidenziare che: nella parte narrativa del ricorso l’Agenzia ha riportato testualmente tra virgolette gran parte dell’atto d’appello ed in tale parte risulta chiaramente evidenziata la presentazione di istanza di condono per gli anni 2001 e 2002; nè dalla sentenza d’appello nè tanto meno dal controricorso risulta contestata la circostanza dell’adesione al condono per gli anni in questione; secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale, con la conseguenza che l’esclusione del diritto al rimborso, derivante dall’adesione del contribuente al condono, può essere dedotta per la prima volta anche in appello dall’Amministrazione finanziaria, trattandosi di questione che, pur non esclusivamente processuale, partecipa a tale natura ed è, dunque, rilevabile d’ufficio, essendo questione di ordine pubblico rilevabile dal giudice senza che occorra neppure una specifica deduzione ad opera della parte interessata a farla valere (v. tra le altre cass. nn. 21197 del 2014 e 20650 del 2015).

Col terzo motivo, deducendo omessa pronuncia e violazione di legge, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di considerare che D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis disciplina la dichiarazione integrativa che evidenzi esiti favorevoli per il contribuente e tale dichiarazione non può essere presentata oltre il termine previsto per la dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

La censura è infondata alla luce della copiosa e recente giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. da ultimo SU 13378 del 2016 e, tra numerose precedenti conformi, Cass. nn. 1932 del 2011 e 6253 del 2012) secondo la quale in base al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8 bis, come introdotto dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2 il contribuente è titolare della generale facoltà di emendare i propri errori mediante apposita dichiarazione integrativa, la quale, agli effetti dei termini di decadenza e stante la mancanza di modifiche allo specifico e autonomo regime delle restituzioni, non interferisce sull’effettivo esercizio del diritto al rimborso, atteso che l’ultimo inciso della disposizione citata, nel prevedere come termine ultimo per la presentazione della dichiarazione integrativa quello prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, correla al rispetto di detto limite temporale la sola possibilità di portare in compensazione il credito eventualmente risultante, con la conseguenza che l’istanza di rimborso può essere proposta anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione del periodo imposta successivo.

Col quarto motivo, deducendo violazione di legge, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di considerare ai fini Irap che la professionista, pur utilizzando una struttura ospedaliera, era pur sempre una lavoratrice autonoma e aveva dichiarato quote di ammortamento per beni strumentali.

La censura è da ritenersi inammissibile prima che infondata per l’estrema genericità del motivo e del suo quesito oltre che per la prospettazione di questioni di fatto in ordine alle quali peraltro non si forniscono (nè nel motivo nè tanto meno nel quesito) elementi idonei ad evidenziarne rilevanza e decisività, posto che non tutti i lavoratori autonomi che abbiano dichiarato l’ammortamento di beni strumentali sono, per ciò solo, assoggettabili ad Irap.

Devono essere pertanto accolti i primi due motivi di ricorso e respinti gli altri. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e, non necessitando ulteriori accertamenti in fatto, si può decidere nel merito dichiarando non dovuto il rimborso per gli anni 2001 e 2002. Atteso l’esito della lite si dispone la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione i primi due motivi di ricorso e respinge gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito dichiara non dovuto il rimborso per gli anni 2001 e 2002. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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