Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25108 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. I, 08/10/2019, (ud. 08/04/2019, dep. 08/10/2019), n.25108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 765/2018 proposto da:

F.B., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei Consoli n.

62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, rappresentato

e difeso dall’avvocato Paolinelli Lucia, con procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 977/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

pubblicata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/04/2019 dal cons. rei. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.B. propose appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 30.5.16 con la quale fu rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Ancona che gli aveva negato ogni forma di tutela internazionale.

Il primo giudice aveva rilevato che: il racconto reso dal F. innanzi alla Commissione non era credibile perchè presentava una serie di incongruenze e non aveva allegato specifiche informazioni sulla sua attività politica in Gambia, Paese non interessato da un conflitto armato; ai fini del permesso umanitario, non erano stati allegati gravi motivi umanitari nè essi potevano desumersi dalla generica situazione del Paese di provenienza.

La Corte d’appello di Ancona rigettò l’appello, osservando che: non era credibile che il ricorrente all’età di nove anni avesse potuto aiutare il padre nell’attività grafica, e che dopo diversi anni corresse un effettivo rischio di essere arrestato per le sue opinioni politiche, non avendo fornito alcun elemento specifico a dimostrazione di un suo diretto coinvolgimento nel partito UDP all’epoca del suo allontanamento dal Gambia; era altresì da escludere il pericolo di tortura o trattamenti inumani se il ricorrente fosse rientrato nel Gambia; dal rapporto annuale di Amnesty International si desumeva l’insussistenza di indici specifici di pericolosità (quali la presenza di gruppi armati, la difficoltà di accesso della popolazione a forme di assistenza umanitaria, etc.) come conseguenza di una violenza generalizzata nel Paese, in una situazione di conflitto armato, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); non risultavano specifiche situazioni soggettive che giustificassero la protezione umanitaria.

Il F. ha proposto ricorso in cassazione affidato a due motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Conv. di Ginevra, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 oltre al vizio di motivazione.

Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia applicato i parametri normativi di credibilità delle dichiarazioni rese innanzi alla Commissione territoriale, avendo il ricorrente allegato tutte le circostanze rilevanti in maniera plausibile e coerente, omettendo di esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi al fine di verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti della protezione internazionale.

In particolare, il ricorrente lamenta che: il giudice d’appello, pur avendo ritenuto la sussistenza in Gambia di violazioni dei diritti umani, abbia però escluso la situazione di violenza generalizzata, pur dopo l’insediamento del nuovo Presidente B., non ostante secondo fonti informative (viaggiare sicuri.it, sito ministeriale) la soglia di attenzione per attacchi terroristici era alta in tutto il Paese; era stato escluso anche il permesso umanitario, avendo la Corte d’appello omesso di accertare e valutare la condizione personale complessiva del ricorrente per la situazione di grave instabilità politica e sociale in Gambia, senza tener conto che il F. viveva ormai da tre anni in Italia, ben inserito nel contesto sociale, alla ricerca di una stabile occupazione (avendo lavorato dapprima con rapporto di apprendistato e poi coma saldatore, senza possibilità di formalizzare il rapporto).

Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, nonchè vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale omesso di considerare la natura del conflitto armato in Gambia – e la stessa aggressione delle Autorità statali verso alcune categorie di cittadini inermi – e le relative conseguenze persecutorie nei confronti del ricorrente, e di verificare la corrispondenza tra la situazione rappresentata con quella effettivamente in atto nel Paese, limitandosi a considerare lacunosa e generica la narrazione dei fatti da parte dell’istante, non ostante le deduzioni e le allegazioni fornite.

Il primo motivo è in parte infondato, e in parte inammissibile.

La Corte d’appello ha motivato la valutazione di non credibilità della narrazione del ricorrente in conformità dei criteri di legge; quanto alla situazione generale del paese di provenienza del ricorrente, ha svolto gli accertamenti officiosi di sua competenza concludendo in senso contrario all’assunto dell’appellante sulla scorta del rapporto annuale di Amnesty International.

Per il resto le censure del ricorrente configurano critiche di merito inammissibili in sede di legittimità.

Quanto alla critica relativa al mancato riconoscimento del permesso umanitario, infine, essa non supera la genericità della richiesta già evidenziata dalla Corte d’appello, tanto più considerato il mancato accoglimento, di cui sopra, delle censure rivolte alla valutazione di non credibilità del racconto della vicenda personale del ricorrente. Peraltro, non è stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità del ricorrente, il quale ha solo affermato di svolgere attività lavorativa in Italia, di per sè insufficiente ai fini del riconoscimento del permesso in questione (Cass., n. 4455/2018).

Il secondo motivo è inammissibile perchè non viene in realtà indicato alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame da parte della Corte territoriale, nè le ragioni della eventuale decisività, ma si svolgono critiche di merito.

Le spese seguono la soccombenza. Data l’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio, non è applicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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