Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25107 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 24/10/2017, (ud. 24/05/2017, dep.24/10/2017),  n. 25107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23115-2014 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato COSTANZA ACCIAI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORLANDO NAVARRA giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE VALLE D’AOSTA,

D.B.M.E., D.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 286/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

B.E. ha evocato in giudizio l’Azienda USL Valle d’Aosta, D.B.M.E. e D.S. davanti al Tribunale di Aosta chiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa dell’erronea condotta dei sanitari del Pronto Soccorso presso il quale si era recata in data 2 settembre 2002, in seguito ad un incidente domestico rappresentati dalla mancata rimozione di tutti i frammenti di vetro che aveva rotto nella caduta, nonchè per la parziale rimozione di essi in sede di successivo intervento chirurgico e il conseguente meniscopatia;

il Tribunale, con sentenza n. 117 del 2010, aderendo agli esiti della consulenza tecnica che aveva escluso il nesso di causalità tra l’intervento e la meniscopatia, ritenendolo, invece, sussistente rispetto alla necessità di rimozione di frammenti di vetro colposamente non rinvenuti dal medico del Pronto Soccorso, ha rigettato la domanda ritenendo satisfattiva del danno colposamente provocato, la somma di Euro 5000 già corrisposta in data 16 dicembre 2005, con condanna dell’attrice alla rifusione delle spese di controparte;

avverso tale decisione proponeva appello B.E. e l’Azienda Ospedaliera spiegava appello incidentale, mentre la Corte d’Appello di Torino con sentenza pubblicata il 12 febbraio 2014, in parziale modifica della sentenza impugnata, dichiarava compensate le spese del primo grado tra B.E. e l’Azienda USL Valle d’Aosta ed D.B.M.E., nella misura del 50%, condannando B.E. al rimborso della residua metà nei confronti dei predetti convenuti, confermando nel resto la sentenza impugnata e ponendo le spese relative al giudizio di appello a carico di B.E., nei rapporti con D.S. e compensandole nei rapporti tra B.E., da un lato, e l’Azienda USL Valle d’Aosta ed D.B.M.E., dall’altro, nella misura di un quinto e condannando, per il resto, la B. al rimborso delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione B.E. sulla base di due motivi. Resistono con separati controricorsi C.A. e l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari.

Diritto

CONSIDERATO

che:

La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione;

con il primo motivo B.E. lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 113,115,116 e 167 c.p.c., nonchè agli artt. 2729,2697,1223,1226,1227,2043,2056,2059,1218 e 1176 c.c. rilevando che la liquidazione del danno si fondava su una perizia nulla per violazione del diritto al contraddittorio e sulla base di una quantificazione del danno secondo equità, fondata su errori nella valutazione dei danni effettivi subiti dalla ricorrente. In particolare, rileva che la liquidazione del danno era rimessa alla valutazione equitativa del giudice ma che, nel caso di specie, l’importo risultava decisamente sproporzionato per difetto “come descritto nella parte relativa alla critica della sentenza impugnata” e, nel caso di specie, vi sarebbe una “omissione della valutazione di materiale probatorio acquisito sotto il profilo dell’errore di diritto e dell’omissione dell’esame di un fatto provato”, concludendo che la valutazione equitativa del danno è suscettibile di rilievi in sede di legittimità quando difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge o si discosti in maniera macroscopica dei dati di comune esperienza e sia radicalmente contraddittoria. “Alla luce delle considerazioni svolte deve ritenersi errato il calcolo meramente matematico al quale è giunto il giudice “di merito, “dovendosi farsi opera di liquidazione equitativa”;

il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni. In primo luogo, difetta di autosufficienza, perchè le articolate e poco lineari deduzioni rinviano ad atti processuali, motivi di appello, censure contenute nei verbali di causa e negli atti difensivi che non vengono in alcun modo trascritti o individuati nell’ambito del fascicolo del presente giudizio. In secondo luogo, attraverso la non chiara formulazione della prima doglianza la ricorrente, sotto l’apparente rilievo di violazione di una pluralità di norme, sembra lamentare (pagina 45 del ricorso) il difetto di giustificazione della decisione e la contraddittorietà della motivazione, con ciò chiaramente riferendosi all’ipotesi prevista dal precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, relativo al vizio di motivazione, disposizione che nel testo vigente, applicabile al caso di specie, non consente in alcun modo una siffatta valutazione che, invece, è limitata soltanto (come si legge nel secondo motivo) all’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Inoltre, le richieste finali della ricorrente fanno riferimento alla diversa ipotesi di errore matematico, e quindi ad un errore di calcolo, senza individuare le norme violate, poichè l’ampia argomentazione posta a sostegno del primo motivo si riferisce ai principi generali in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale. Vi è poi il riferimento alla “omissione dell’esame di un fatto provato” (pagina 41 del ricorso), fattispecie anche questa estranea all’ipotesi della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè si riferisce ad una valutazione di un fatto e non di una questione di diritto. Per il resto, il rinvio contenuto nella prima parte dell’atto alle contestazioni genericamente riferibili alla sentenza di appello, non consente di individuare le censure oggetto del primo motivo poichè si tratta di un riferimento generico ad argomentazioni vastissime, non lineari e varie (pagine da 9 a 38 del ricorso) che contengono una serie di censure che non sono neppure riprodotte nei due motivi di ricorso e che, per quello che è dato comprendere, con riferimento alla paventata ipotesi di errata liquidazione del danno, sembrerebbero riferirsi ad una non adeguata considerazione del danno da invalidità temporanea e all’omessa valutazione del danno morale ed estetico, relativo alla maggiore estensione della cicatrice conseguente all’intervento dei sanitari. Si tratta di profili che non possono essere sottoposti al sindacato del giudice di legittimità, trattandosi valutazioni discrezionali in tema di liquidazione equitativa, di esclusiva pertinenza del giudice di merito;

con il secondo motivo lamenta omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale omesso di constatare che le manovre manuali della dottoressa D.B.M.E. hanno determinato lo spostamento dentro le carni dei frammenti di vetro, nonchè per avere trascurato l’incidenza della meniscopatia

sull’aggravamento del danno, legato al consiglio di deambulare dopo il primo intervento;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza; oltre a riferirsi ad una valutazione in fatto, che non può essere sottoposta al giudice di legittimità, censura in maniera assolutamente generica e immotivata la valutazione operata dalla Corte territoriale, non richiamando puntualmente alcuno degli atti sui quali si fonderebbe una siffatta censura, omettendo di trascriverne il contenuto o di individuarne, almeno, la natura (atti di parte, consulenza tecnica di ufficio, consulenza di parte, motivi di appello, eccetera);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto dell’insussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, perchè la parte è stata ammessa al gratuito patrocinio.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascun controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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