Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25105 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 24/10/2017, (ud. 05/04/2017, dep.24/10/2017),  n. 25105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30246-2014 proposto da:

AZETA SERVICE SRL, in persona del legale rappresentante,

l’amministratore unico Z.A., che ha incorporato per

fusione la AZETA MULTISERVICE SRL, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CHIUSI 31 INT 11, presso lo studio dell’avvocato FABIO

SEVERINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

SERGIO TOGNON, JACOPO TOGNON giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE PADOVA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VINCENZO MIZZONI, MARINA LOTTO, PAOLO

BERNARDI giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2646/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Padova, con sentenza del 14 marzo 2006, pronunciando sulla causa promossa da Azeta Multiservice S.r.l. – la quale, utilizzatrice in leasing di un capannone e di alcuni locali abiti ad uffici, siti in (OMISSIS), condotti in locazione dalla ditta Z. Gomme e dalla Rds Service S.r.l., aveva chiesto la condanna del Comune di Padova e/o dell’Azienda Padova Servizi S.p.a. e/o del Consorzio Zona Industriale, in solido tra loro o chi tosse stato ritenuto responsabile, all’esecuzione dei lavori necessari per la manutenzione e l’adeguamento della rete fognaria ed al risarcimento dei danni subiti e subendi a seguito degli allagamenti verificatisi nell’estate del 2002 nel capannone, negli uffici e nel piazzale antistante, determinati, ad avviso dell’attrice, dall’insufficienza del sistema fognario e pubblico e/o alla carenza di manutenzione delle condotte e degli scarichi della Zona industriale – rigettò la domanda e condannò l’attrice alle spese di lite in favore delle convenute, mentre compensò dette spese nei confronti di Milano Assicurazioni S.p.a. e Assitalia S.p.a., chiamate in causa in manleva rispettivamente dal Comune di Padova e dall’Azienda Padova Servizi.

Avverso tale decisione Azeta Multiservice S.r.l. propose appello, cui resistettero tutte le parti appellate, alcune delle quali proposero pure appello incidentale.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza depositata il 30 ottobre 2013, accolse per quanto di ragione il ricorso principale, rigettò gli appelli incidentali e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, che confermò nel resto, anche integrandone la motivazione, condannò il Comune di Padova a pagare ad Azeta Multiservice S.r.l., a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva attualizzata di Euro 21.804,00, oltre interessi come precisato nel dispositivo della sentenza di secondo grado, rigettò la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ. dal Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova e regolò le spese di lite tra le parti.

Avverso la sentenza della Corte di merito e nei confronti del Comune di Padova, Azeta Service S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo, illustrato da memoria.

Il Comune di Padova ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. in data 27 marzo 2017 e, quindi, fuori termine (Cass. 30/06/2014, n. 14767; Cass., ord., 4/01/2011, n. 182), sicchè detta memoria è inammissibile.

2. Non sussiste l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto dell’esposizione sommaria del fatto, in quanto nel predetto atto sono sufficientemente riportati, sia pure in modo molto sintetico, i fatti di causa e va, pertanto, disattesa l’eccezione sollevata al riguardo dal controricorrente.

3. L’unico motivo del ricorso è così rubricato: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., sub 3 per violazione di legge e n. 5 per omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti in causa, in relazione agli artt. 2043 e 2051 c.c.; ed altresì artt. 100 e 112 c.p.c. non essendo mai entrato in causa il tema della insindacabilità delle scelte della P.A. in materia di strade”.

La ricorrente ha precisato (v. p. 3 e sgg. del ricorso) che l’impugnazione proposta in questa sede si riferisce alla domanda proposta da detta parte e volta ad ottenere la condanna del Comune di Padova ad eseguire i lavori necessari per la manutenzione e l’adeguamento della rete fognaria di quel Comune, in (OMISSIS), Zona Industriale,e al capo della sentenza di secondo grado relativo al rigetto di tale domanda.

Con il mezzo all’esame Azeta Service S.r.l. ha in particolare censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non consentita la condanna del Comune ad un facere, per la genericità della domanda, per la necessità di dover aver riguardo a molteplici interessi in gioco, oltre a quelli dell’attuale ricorrente, e perchè una statuizione di condanna coinvolgerebbe molteplici interessi pubblici, interferendo con scelte della P.A. nella specifica materia. Ad avviso di Azeta Service S.r.l., tale motivazione sarebbe erronea, generica, tanto da non consentire di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte nel rigettare la domanda in parola, e si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza in materia; inoltre, la ricorrente contesta che la domanda non sia specifica circa i lavori da eseguire, sostenendo che sul punto è specifica e chiara la c.t.u. e che comunque non spetta al privato suggerire “i sistemi di intervento dovendo provvedervi l’obbligato, o… il Giudice in sede di esecuzione ex art. 612 c.p.c.”; deduce che la Corte di appello sarebbe andata ultra ed extra petita, non avendo sollevato il Comune alcuna eccezione circa la possibilità di una sua condanna ad un facere; lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe “sommaria, generica, composta di frasi fatte, con violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c.” oltre che “in contraddizione, con quanto, a proposito della responsabilità del Comune”, affermato a p. 16 e 17.

3.1. Il motivo non può essere accolto.

3.2. E’ pur vero che questa Corte ha più volte affermato che l’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacchè la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere; nè è di ostacolo il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 come sostituito della L. n. 205 del 2000, art. 7 là dove devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia giacchè, a seguito dell’intervento parzialmente caducatorio recato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, nell’attuale assetto ordinamentale, la giurisdizione esclusiva nella predetta materia non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento degli interessi pubblici alla cui tutela sia preposta (Cass., sez. un., ord., 14/03/2011, n. 5926; Cass., sez. un., ord., 13/12/2007, n. 26108). Pertanto la motivazione della sentenza impugnata, a p. 19, righi 13,14 e 15 va corretta in senso conforme alla richiamata giurisprudenza di legittimità, secondo cui appunto deve ritenersi, in via generale, che l’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacchè la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.

3.3. Quanto precede, tuttavia, non comporta l’accoglimento del ricorso, atteso che la Corte di merito, nella specie, ha comunque rigettato la domanda di condanna ad un facere della P.A. sulla base di un accertamento in fatto, evidenziando peraltro che nel caso all’esame si verte in tema di un’attività discrezionale della P.A.; e tale accertamento non è censurabile in questa sede.

3.4. Va rimarcato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla società ricorrente, il Comune, già nella comparsa di costituzione in primo grado ha, nella specie, comunque eccepito l’insussistenza dei presupposti per la condanna dell’Amministrazione comunale ad un facere, come rappresentato nel controricorso a p.11.

3.5. Resta assorbito l’esame di ogni altra censura veicolata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.6. Si rileva, infine, che risultano inammissibili le censure motivazionali proposte, evidenziandosi al riguardo che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 13 novembre 2013, nel caso all’esame trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 cod. proc. civ., n. 4) (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario – nel caso all’esame neppure specificamente indicato -, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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