Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25105 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 16/09/2021), n.25105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21562/2020 proposto da:

O.U.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Nanula

Valentina, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 540/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 540/2020 depositata l’1-6-2020, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da O.U.A., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, professante la religione cristiana, riferiva che si era rifiutato di prendere il posto del suo defunto padre, capo di una comunità religiosa dedita alla verenerazione di idoli e a sacrifici umani, nonché si era rifiutato di sacrificare sua figlia, denunciando alla polizia gli anziani appartenenti alla comunità religiosa del padre, i quali erano stati prima arrestati ma di seguito liberati, sicché il richiedente decideva di espatriare, temendo di essere ucciso dagli anziani. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della Nigeria – Edo State-, descritta nella sentenza impugnata.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per avere la Corte d’appello escluso la credibilità del suo racconto, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), senza considerare che il richiedente aveva prodotto la denuncia sporta e aveva fatto ogni sforzo per circostanziare la sua domanda, nonché per avere la Corte d’appello affermato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Nigeria, tranne che nella zona Nord, senza citare fonti a suffragio dell’assunto, mentre dal rapporto di Amnesty International 2019, che riporta in ampio stralcio nel ricorso, risultano attacchi di (OMISSIS) nel nord-est, arbitrari arresti dell’esercito, condizioni di detenzione disumane, delinquenza, corruzione della polizia, inefficienza del sistema giudiziario e gravi comportamenti violenti della polizia, che usa indiscriminatamente armi mortali. Richiama diffusamente pronunce di merito con le quali è stata riconosciuta la protezione sussidiaria a cittadini dell’Edo State; (il) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, tenendo conto della sua giovane età, del suo vissuto e del lungo tempo trascorso dalla partenza dal suo Paese, non potendo avere, invece, rilievo decisivo nella valutazione il mancato svolgimento di attività di lavoro e la mancata sua comparizione alle udienze celebrate avanti alla Corte d’appello, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, con cui erano evidenziate dette circostanze al fine di inferirne che nessun aggiornamento sulle condizioni di vita del richiedente era emerso per comprovare profili di vulnerabilità.

2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.1. La censura sul giudizio di non credibilità, espresso con motivazione adeguata dalla Corte d’appello facendo applicazione dei parametri di legge, si risolve in un’impropria richiesta di riesame di merito, contrapponendo il ricorrente la propria versione dei fatti a quella ricostruita dai Giudici. Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018; Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

2.2. Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi in ordine alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), svolge argomentazioni generiche e riporta in ricorso informazioni, sulla corruzione e violenza della polizia, sul sistema giudiziario e carcerario, che non si riferiscono specificamente a situazioni di rilevanza ai sensi del citato art. 14, lett. c) e che non si riferiscono all’Edo State (attacchi di (OMISSIS) nel Nord -est della Nigeria). Secondo il costante orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018), e nella specie il suddetto vizio non può ritenersi ritualmente denunciato, per quanto si è detto.

2.3. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, afferma genericamente di essere soggetto vulnerabile, peraltro riconoscendo di non svolgere attività di lavoro, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). La Corte d’appello ha rimarcato la mancanza di attività di lavoro da parte del ricorrente, la mancata allegazione di fragilità e anche la totale mancanza di informazioni sulle sue condizioni attuali in Italia e rispetto a tali puntuali affermazioni il ricorrente richiama considerazioni astratte e generali, anche sulle condizioni di insicurezza e precarietà del suo Paese, che, di per sé sole, non hanno rilevanza ai fini che qui interessano, in base ai principi di cui alla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2019.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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