Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25103 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 16/09/2021), n.25103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17976/2020 proposto da:

O.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Rosaria

Tassinari, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 722/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 722/2020 depositata il 18-2-2020, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da O.M., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese in quanto era stato nominato successore di un re del villaggio, che era stato ucciso dai consiglieri anziani, e temeva di fare la stessa fine. La Corte territoriale, condividendo il giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione del Paese di origine, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza (pag. 5 sentenza US department 13-3-2019). In particolare, quanto al diniego della protezione umanitaria, la Corte di merito ha affermato che non fossero ravvisabili elementi di vulnerabilità oggettiva, non emergendo un’incolmabile ed effettiva sproprozione rispetto al contesto di vita del Paese di origine, né di vulnerabilità soggettiva, avuto riguardo all’età (32 anni) del richiedente e al fatto che il disturbo psicotico allegato, peraltro non come patologia in atto, era ricondotto nell’atto d’appello non alle vicende migratorie, ma all’esclusione dal sistema di accoglienza, non essendo infine decisiva l’attività di lavoro documentata, peraltro a tempo determinato, svolta in Italia, effettuata la comparazione con le condizioni in cui egli si troverebbe in caso di rimpatrio.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello assolto all’onere di cooperazione istruttoria al fine di verificare la verosimiglianza della vicenda personale narrata, in relazione agli studi sulle successioni al trono in Nigeria, nonché lamentando la violazione del principio dell’onere probatorio attenuato e l’errata valutazione dei parametri di credibilità, essendo comprensibili, anche in relazione al basso livello di scolarità del richiedente, le lacune del suo racconto, per essere egli arrivato in Italia dopo un lungo viaggio in luoghi pericolosi e “in mano a trafficanti”; (ii) con il secondo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere verificato la Corte d’appello la sussistenza nel suo Paese di una situazione di violenza indiscriminata mediante concreta ed attuale indagine, in base a quanto risulta dal sito (OMISSIS) della Farnesina con riferimento a fatti del settembre 2016 e da report di Amnesty International, nonché in base a quanto è dato evincere da pronunce di questa Corte e di merito; (iii) con il terzo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, tenendo conto della suo comportamento irreprensibile e della sua positiva integrazione in Italia, raggiunta tramite svariate attività di lavoro, come da contratti e buste paga prodotti in allegato al ricorso.

2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché difettano di specificità, non si confrontano con le ragioni della decisione e sollecitano una rivisitazione del merito.

2.1. Il giudizio di non credibilità è stato espresso, con motivazione adeguata, dalla Corte d’appello, che, in applicazione dei parametri di legge, ha evidenziato le discrepanze e contraddittorietà del racconto del richiedente (cfr. pag. 3 sentenza impugnata – due versioni contraddittorie, non giustificate con l’atto d’appello), effettuando un accertamento di fatto che, nella specie, neppure è stato specificamente e ritualmente sindacato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018; Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza, risalenti al 2019, non al 2017 come afferma il ricorrente (pag. n. 5 sentenza impugnata), ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, il quale richiama altre fonti in relazioni a fatti del 2016 (pag. n. 9 ricorso) o di data non precisata (pag. n. 11 ricorso).

2.3. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, afferma genericamente di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019), nonché senza confrontarsi con il decisum. La Corte d’appello ha affermato che non fosse decisiva l’attività di lavoro, peraltro a tempo determinato, del richiedente in Italia, all’esito della comparazione con la situazione del Paese di origine in caso di rimpatrio, facendo applicazione dei principi di cui alla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2019.

Il ricorrente non censura specificamente dette argomentazioni ed afferma di svolgere attività di lavoro come da documenti che allega al ricorso per cassazione, senza specificare di averli allegati nel giudizio in appello e senza descriverne il contenuto.

La produzione della documentazione di lavoro allegata al ricorso e’, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non rientrando in alcune delle ipotesi previste da detta ultima norma.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

 

 

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