Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25101 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 24/10/2017, (ud. 05/04/2017, dep.24/10/2017),  n. 25101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28062-2014 proposto da:

S.G., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato NICOLA ARMANDO VENEZIANO giusta procura a margine

dell’atto di citazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DIFESA (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1220/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI CORRADO che ha concluso

chiedendo la parziale inammissibilità (in relazione al motivo sub

n. 5), art. 360 c.p.c., comma 1), e comunque il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

S.G. ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Catanzaro il Ministero della Difesa al fine di ottenere il risarcimento dei danni per la sofferta violazione della libertà personale a seguito di arresto eseguito dai carabinieri nella insussistenza delle ipotesi criminosa contestata per mancanza di dolo e difettando il presupposto della fragranza.

Il Tribunale di Catanzaro, qualificata la domanda come istanza di riconoscimento dell’indennizzo da ingiusta detenzione di cui all’art. 314 c.p.p. e non ricorrendo un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale art. 2043 c.c., dichiarava la propria incompetenza a favore della Corte d’appello di Catanzaro.

S.G. ha impugnato la suddetta sentenza davanti alla Corte di appello di Catanzaro, che ha dichiarato inammissibile l’appello sul rilievo che le sentenze che decidono solo sulla competenza devono essere impugnate con regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c..

Avverso questa decisione propone ricorso S.G. con un motivo illustrato da successiva memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Difesa.

Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale che aveva deciso unicamente sulla competenza, una volta qualificata la domanda proposta come domanda di indennizzo per ingiusta detenzione di cui all’art. 314 c.p.p..

La Corte di merito ha ritenuto che la qualificazione della domanda è un’attività che non affronta la fondatezza della questione e quindi la decisione nel merito, essendo finalizzata unicamente all’individuazione del giudice competente.

Di qui la decisione di inammissibilità dell’appello essendo proponibile unicamente il regolamento di competenza.

2.Con l’unico motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 42 e 43 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per essere la Corte d’appello pervenuta all’impugnata sentenza mediante una distorta interpretazione delle norme di legge ed erronea valutazione degli atti processuali.

3. Il ricorso è inammissibile.

Infatti il ricorrente, pur denunziando vizio violazione di legge, nella sostanza censura la interpretazione dei giudici di merito che hanno qualificato la domanda proposta come richiesta d’indennizzo da ingiusta detenzione di cui all’art. 314 c.p.c.. Nello svolgimento del motivo non si ascrive alla sentenza impugnata un vizio che possa inequivocabilmente risalire alla norme indicate come formalmente violate.

Si ricorda che l’interpretazione della domanda è un accertamento di fatto che spetta al giudice del merito, impugnabile per cassazione solo per vizio di motivazione.

Difatti è questo il vizio denunciato dal ricorrente che espressamente, con la seconda parte del motivo, denuncia vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 affermando che la sentenza è affetta da grave vizio motivazionale, poichè la Corte di merito non ha neanche preso in considerazione le censure che riguardavano la chiarissima sussistenza di un’ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c. per illegittimo esercizio della funzione pubblica.

4. Si osserva che in virtù della data di pubblicazione della sentenza si applica al procedimento la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.

5 .Nella specie il ricorrente non indica il fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del merito,ma la censura attinge la valutazione degli elementi istruttori che hanno portato i giudici di merito alla qualificazione della domanda,attività che è ormai esclusa dalla possibilità di denunzia in sede di legittimità con il nuovo art. 360 c.p.c., n. 5.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.300,00,oltre Euro 200,00 per esborsi,accessori e spese generali come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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