Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2510 del 01/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 2510 Anno 2018
Presidente: DIDONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

sui ricorso 23534/2012 proposto do!

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., non in proprio ma in nome e
per conto della Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.a., subentrata alla
MPS Commerciale Leasing S.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via
Bosio n.2, presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo,
rappresentata e difesa dall’avvocato Moschiano Eugenio, giusta
procura a margine del ricorso;
-ricorrente –

–Lz13

Data pubblicazione: 01/02/2018

contro
Fallimento di Villa Russo S.p.a. in liquidazione, in persona dei
Curatori avv. Antonio Nardone, dott. Giuseppe Castellano e dott.
Massimo Di Pietro, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

controricorso;
-controricorrente avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il
30/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/09/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Rilevato che:
la Mps leasing & factoring s.p.a. chiese di essere ammessa al passivo
del fallimento di Villa Russo s.p.a. in ragione, tra l’altro, e per quanto
in effetti ancora rileva, di un credito di oltre euro 12 milioni per un
saldo debitore avente base in un contratto di factoring; produsse, in
sede di verifica, il saldo passivo del suddetto contratto, certificato ai
sensi dell’art. 50 del T.u.b.;
il credito, considerata la documentazione come integrata il 1-7-2011,
tra cui in particolare “il contratto di factoring in data certa”, non
venne ammesso perché in ogni caso non era stato esibito il contratto
di conto corrente in cui erano regolati gli interessi a debito e perché
nessuna prova era stata fornita in ordine alle erogazioni effettuate
dalla MPS e alla loro coerenza ai debiti ceduti;

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dall’avvocato Aurelio Marino, giusta procura a margine del

l’opposizione di MPS leasing & factoring s.p.a. veniva respinta dal
tribunale di Napoli con decreto in data 30-7-2012, avverso il quale è
ora proposto ricorso per cassazione in base a sei motivi;
la curatela del fallimento ha resistito con controricorso;
le parti hanno depositato memorie.

col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 117 del T.u.b. e della I. n. 52 del 1991, nonché il
vizio di omessa o insufficiente motivazione del decreto, per avere il
tribunale apoditticamente affermato di non poter accogliere la
domanda in quanto il rapporto di factoring non era stato documentato
con atto avente forma scritta; di contro, il contratto di factoring,
regolamentato dalla speciale normativa ex lege n. 52 del 1991, non
sarebbe soggetto, secondo la ricorrente, agli oneri di forma prescritti
dal T. u. b. ;
il motivo è infondato dovendo affermarsi il principio per cui anche il
contratto di factoring, ove stipulato da una banca in relazione a
crediti derivanti da rapporti bancari, è soggetto alla disciplina della
trasparenza bancaria e rientra nell’alveo dell’art. 117 e seg. del
T.u.b.;
infatti, tutti i contratti aventi a oggetto la prestazione di servizi
bancari e finanziari devono essere, secondo la citata norma, redatti
per iscritto a pena di nullità;
i contratti ai quali si riferisce l’art. 117 del T.u.b. sono quelli (tutti
quelli) stipulati dai soggetti ai quali è applicabile la disciplina sulle
operazioni e sui servizi bancari e finanziari contenuta nel citato testo
unico; sicché l’insieme di tali contratti designa la corrispondente
categoria che – come emerge dall’art. 115 del medesimo T.u.b. (“le
norme del presente capo si applicano alle attività svolte (..) dalle
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Considerato che:

banche e dagli intermediari finanziari”) – va ricostruita in base
all’elemento soggettivo;
tale elemento assume rilievo prevalente rispetto alla tipologia di
operazione volta a volta identificata nell’oggetto;
nel caso di specie è pacifico, perché indicato dalla stessa ricorrente,

suo tempo stipulato tra la s.p.a. Villa Russo e la banca Monte dei
Paschi di Siena (il cui ramo d’azienda è stato, poi, ceduto alla MPS
leasing & factoring s.p.a.)”;
del resto non è seriamente dubitabile la natura nel tempo
concretamente assunta dal factoring quale mezzo di finanziamento
dei crediti commerciali dell’imprenditore (il cd. smobilizzo, per usare
un’espressione corrente del diritto bancario): al centro del factoring a fronte della spesso sottolineata prevalente funzione di scambio (v.
Cass. n. 3829-13) – vi è l’affidamento della gestione di un cd.
portafoglio clienti dietro pagamento di un compenso, con
conseguente prestazione, da parte del factor, di una serie di servizi
collegati, tesi a comprendere tutti gli adempimenti della gestione
commerciale;
in simile prospettiva il factoring è un contratto atipico complesso (v.
di recente Cass. n. 16850-17) nel quale tuttavia la forma di
anticipazione di denaro, corrispondente ai crediti a scadere, identifica
e qualifica la stessa funzione di scambio, sì da rivelarne l’aspetto di
finanziamento contro cessione dei crediti;
in tal modo viene disvelata la sottostante vera finalità di erogazione
di credito che progressivamente si è imposta, nella pratica, quale
caratteristica propria del contratto;
anche da questo punto di vista, pertanto, rimane definitivamente
avvalorata

la

conclusione

per
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cui

il

factoring,

eseguito

che il credito di cui si discute trovò causa nel “contratto di factoring a

professionalmente da parte di un’impresa bancaria, rientra
nell’ambito delle connesse attività finanziarie, così da non poter
sfuggire all’art. 117 del T.u.b.;
il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere
considerati unitariamente;

applicazione degli artt. 117 e 127 del T.u.b. e 1350, 1418 e 1421
cod. civ., 4, terzo comma, del d.lgs. n. 141 del 2010 e 3, quarto
comma, del d.lgs. n. 218 del 2010, oltre che il vizio di motivazione,
mentre col terzo motivo ulteriormente denunzia la violazione e la
falsa applicazione anche dell’art. 112 cod. proc. civ.;
in sintesi sostiene che, ove anche il contratto di factoring fosse da
ritenere soggetto ai requisiti di forma di cui al citato art. 117 del
T.u.b., le conseguenze tratte dal tribunale di Napoli sarebbero errate:
(a) perché la nullità in questione, essendo annoverabile nello schema
della nullità di protezione, non poteva esser rilevata d’ufficio ma
opposta solo dal cliente; (b) perché il contratto, ove sottoscritto
appunto dal cliente, non poteva ritenersi invalido sol perché non
sottoscritto anche dalla banca; (c) perché la curatela fallimentare,
all’esito dell’integrazione documentale evidenziata nel decreto del
giudice delegato, aveva preso atto della produzione del contratto di
factoring – peraltro non soggetto ratione temporis alle previsioni di
cui all’art. 127 del T.u.b. nel testo novellato dai d.lgs. del 2010 sopra
citati – e niente aveva eccepito in ordine alla mancanza di forma
scritta, donde l’eccezione non poteva essere formulata ex novo per la
prima volta nel giudizio di opposizione al passivo;
nel quarto motivo la ricorrente lamenta, infine, il vizio di motivazione
del decreto impugnato perché era da ritenere pacifico che i due

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col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa

contratti erano stati redatti e stipulati nelle medesime forme
dell’unico contratto di factoring sottoscritto dalla società Villa Russo;
i motivi sono infondati per la ragione che segue;
innanzi tutto, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa della
ricorrente, nel giudizio d’impugnazione proposto contro il decreto di

dal d.lgs. n. 5 del 2006 e poi riformato, a decorrere dal 1° gennaio
2008, dal d.lgs. n. 169 del 2007, il curatore è ammesso a proporre, a
norma dell’art. 99, comma settimo, legge fall., eccezioni processuali e
di merito non rilevabili d’ufficio, anche nuove rispetto a quelle
sollevate in sede di verifica dello stato passivo (cfr. Cass. n. 7918-12,
nonché, altrettanto esplicitamente, Cass. n. 8246-13 e Cass. n.
25728-16);
inoltre, secondo quanto precisato in termini generali dalle sezioni
unite di questa Corte con riferimento al giudizio ordinario di
cognizione, la domanda di accertamento della nullità di un negozio
proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345,
primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del
gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile
causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi
dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. – di convertirla ed
esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata
dall’appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345. (Cass.
Sez. U n. 26243-14);
dal combinato operare di codesti principi si ricava agevolmente che è
sempre consentito al curatore del fallimento opporre in via di
eccezione la nullità di un contratto: lo è sia per la prima in appello,
sia e a maggior ragione per la prima volta nell’ambito del
procedimento di opposizione allo stato passivo;
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esecutività dello stato passivo del fallimento, nel regime introdotto

nel caso di specie, peraltro, neppure può sostenersi che il tribunale
abbia direttamente posto a base dell’esclusione del credito la nullità
del contratto di factoring per difetto di forma, rilevata d’ufficio o
comunque per la prima volta eccepita in sede di opposizione;
è vero che il collegio partenopeo ha affermato che la suddetta nullità

associato il rigetto dell’opposizione non risulta confinato nel contesto
di simile questione ma associato alla mancanza di prove in ordine al
titolo dedotto in lite;
a tal riguardo la tesi sostenuta dal tribunale è corretta, venendo in
questione la prova dei fatti costitutivi della domanda di accertamento
che la ricorrente aveva avanzato nei riguardi della massa, allo
specifico fine di partecipare al concorso;
il tribunale ha messo in evidenza che la curatela si era opposta
all’ammissione “in assenza di documentazione idonea a dimostrare la
pretesa creditoria”; sicché ha deciso confermando codesta obiezione
poiché i certificati di saldaconto, depositati dall’opponente in funzione
della prova del credito, si riferivano a un contratto di factoring
sottoscritto in data 9-9-2000, mentre della conclusione di tale
specifico contratto non era stata fornita alcuna prova, considerandosi
la necessità della stipulazione in forma scritta richiesta dalla legge a
pena di nullità; da questo punto di vista, il documento prodotto in
giudizio, recante le condizioni generali per future operazioni di
factoring con timbro del 14-11-2000, non consentiva – attesa la
diversità di data – di apprezzare una relazione di identità col contratto
richiamato a sostegno dell’insinuazione;
la censura di cui al quarto motivo di ricorso, circa la pretesa
insufficienza o incoerenza motivazionale del decreto su tale versante,
è generica nella sua assertorietà, così da rivelarsi inammissibile;
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può essere rilevata d’ufficio, e tuttavia il profilo al quale è stato

le altre doglianze non colgono l’aspetto che rileva;
questa Corte ha già avuto modo di affermare, per esempio in tema di
revocatoria fallimentare di rimesse di conto corrente bancario in cui
sia stata dalla banca eccepita la natura non solutoria della rimessa
per l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che, appunto a

la stipulazione del contratto richiamato; tale prova – si è detto – può
essere fornita per facta concludentia nel (solo) caso in cui risulti
applicabile la deroga al requisito della forma scritta, prevista nelle
disposizioni adottate dal Cicr e dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art.
117 del T.u.b. (e, anteriormente, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 154
del 1992) (v. Cass. n. n. 19941-06, Cass. n. 14470-05);
l’insegnamento riflette il principio per cui, nei rapporti con la curatela
del fallimento, che è soggetto terzo rispetto al fallito, l’onere della
prova deve essere assolto in considerazione delle caratteristiche del
titolo di volta in volta richiamato;
ne segue che non giova insistere sulla natura di protezione della
nullità dettata dall’art. 117 del T.u.b., non venendo in questione,
nella presente causa, il rapporto banca-cliente sebbene il fondamento
dell’insinuazione fallimentare; per modo che a niente rileva il principio
secondo cui una simile nullità non può che essere rilevata dal cliente
nel contesto del comune rapporto bancario: ove un contratto bancario
sia posto a fondamento dell’insinuazione al passivo del fallimento, è
sempre onere della banca fornire la prova dell’esistenza di un titolo
conforme al requisito di forma per esso prescritto dalla legge, salve le
deroghe eventualmente disposte dal Cicr, per motivate ragioni
tecniche, in ordine alle (diverse) forme di particolari contratti;
il rigetto dei sopra riportati quattro motivi di ricorso assorbe le
questioni prospettate coi restanti due motivi, il quinto e il sesto, a
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fronte di tale eccezione, la banca medesima ha l’onere di dimostrare

proposito delle concorrenti ragioni dal tribunale spese per
disattendere la domanda; viene in agio il consolidato principio per cui
qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni,
tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul
piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse

difetto di interesse, le censure relative alle altre esplicitamente fatte
oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero
comunque condurre alla cassazione della decisione stessa (v. Cass. n.
2108-12; Cass. Sez. U n. 7931-13);
spese alla soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese
processuali, che liquida in euro 25.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella
percentuale di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione

a una delle suddette ragioni rende inammissibili, per sopravvenuto

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