Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 251 del 07/01/2011

Cassazione civile sez. III, 07/01/2011, (ud. 19/10/2010, dep. 07/01/2011), n.251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19846/2006 proposto da:

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avv. PASANISI Alfredo in 74100 TARANTO, Corso Umberto 129

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 25937/2006 proposto da:

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A., in persona del suo dirigente responsabile,

Dott. Ing. N.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIO GIOVANNA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSTI VITTORIO giusta delega in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

G.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 840/2006 del TRIBUNALE di TARANTO, Sezione

Terza Civile, emessa il 29/03/2006, depositata il 03/04/2006 R.G.N.

4300/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/10/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso con il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale

subordinato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 29 marzo – 3 aprile 2006, il Tribunale di Taranto confermava la decisione del locale giudice di pace del 18 maggio 2005, che aveva rigettato la domanda, proposta da G.G., titolare dell’omonimo frantoio, contro l’ENEL, intesa ad ottenere il risarcimento dei danni, per la interruzione della somministrazione di energia elettrica avvenuta durante la lavorazione di ventisette quintali di olive, avvenuta nei giorni (OMISSIS) (dalla quale era derivata la perdita integrale del prodotto della molitura, per la interruzione della gramolatura).

Dopo aver rilevato che la procura del 22 dicembre 2003, rilasciata in primo grado, conferiva certamente a C.G.V. il potere di rappresentare la società convenuta, il Tribunale osservava che la stessa era successiva al conferimento della procura rilasciata al difensore, avv. Vittorio Giusti.

La stessa, pertanto, ad avviso del giudice di appello, non poteva sanare le decadenze nel frattempo intervenute, nel giudizio di primo grado (quanto alla richiesta di prove in ordine alla esistenza di un caso fortuito, dal quale, secondo ENEL, era dipesa la sospensione della erogazione della energia elettrica).

Poichè si era già tenuta, in data 5 dicembre 2003, la prima udienza innanzi al giudice di pace, alla Enel Distribuzione – al momento del rilascio della procura – era oramai inibita la precisazione dei fatti di causa, ovvero la proposizione di domande od eccezioni o la allegazione – a loro fondamento – di nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi non dedotti dallo stesso attore.

Pertanto, la difesa della convenuta doveva ritenersi ammissibile nei limiti in cui era stata semplicemente negata la sussistenza dei fatti addotti a sostegno della domanda del G., ovvero nei limiti in cui era stata dedotta la infondatezza della pretesa attorea di fare conseguire, ai detti fini, gli effetti giuridici dedotti nell’atto introduttivo.

Entro tali limiti, il giudice di appello riteneva la fondatezza del primo motivo di appello, con il quale il G. aveva dedotto la nullità della procura per carenza dei poteri rappresentativi, con la conseguente dichiarazione di contumacia ed inesistenza di tutte le eccezioni sollevate.

Tanto premesso, il giudice di appello osservava che poteva dirsi accertato l’inadempimento contrattuale dell’ENEL Distribuzione, che avrebbe dovuto dedurre per tempo i fatti in base ai quali tale inadempimento sarebbe stato incolpevole.

Tra l’altro, sottolineava ancora il giudice di appello, era risultato del tutto sfornito di prova l’assunto che dall’inadempimento dell’appellata fosse derivato al G. il danno che egli assumeva di avere subito.

“Anche a prescindere dalle nozioni di comune esperienza, che pongono in radice dubbi sulla reale dannosità di qualche ora di fermo nel frantoio del prodotto della molitura – precisava il Tribunale – ad ogni modo, l’attore non ha prodotto in giudizio l’olio che si sarebbe, sia pur solo in parte, qualitativamente deteriorato (o, almeno, un suo campione) nè, come ben avrebbe potuto, ha chiesto espletarsi accertamento tecnico preventivo sullo stesso”.

In buona sostanza, ha concluso il giudice di appello, non era dato sapere “se e come effettivamente l’olio in quel momento nel frantoio si sia deteriorato”.

In conclusione, doveva escludersi che il G. avesse ricevuto un danno diretto a seguito della interruzione della somministrazione della energia elettrica.

Egli sarebbe stato legittimato a chiedere il risarcimento dei danni alla società convenuto solo ove i terzi, ai quali aveva restituito l’olio prodotto, gli avessero chiesto conto del deterioramento del prodotto. La documentazione prodotta non consentiva, invece, di stabilire se l’olio danneggiato fosse proprio di proprietà dell’appellante.

Avverso tale decisione il G. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi.

ENEL Distribuzione resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre innanzi tutto disporre la riunione dei due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione di legge e nullità del procedimento (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) in relazione all’art. 2697 e 1226 c.c., nonchè in relazione agli artt. 61 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo è privo di fondamento.

Il giudice di appello, pur accogliendo le censure del G. in ordine alla decadenza di ENEL dalla possibilità di eccepire – e provare – la esistenza del caso fortuito, aveva rigettato la domanda dell’originario attore osservando che, pur essendo provato l’inadempimento della convenuta alla obbligazione di erogare continuativamente la energia elettrica, era comunque mancata la prova certa di un danno risarcibile.

Ha sottolineato il Tribunale che non era possibile, al di là delle mere valutazioni espresse dai testimoni (peraltro inattendibili), verificare, tramite una consulenza tecnica di ufficio sollecitata a distanza di anni dall’attore danneggiato, l’effettivo decadimento dell’olio, danneggiato perchè sarebbe rimasto a contatto con l’aria per un breve periodo.

I quesiti di diritto proposti con il motivo di ricorso sono i seguenti:

se il principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., consenta all’attore danneggiato la prova del danno e della sua consistenza mediante consulenza tecnica di ufficio deducente e percipiente, laddove per l’accertamento del fatto siano necessarie specifiche cognizioni tecniche;

– se viola gli artt. 61 e 116 c.p.c., il giudice che non ammetta la consulenza tecnica per il solo fatto che non è stato adempiuto l’onere probatorio, alla stessa maniera in cui li viola il giudice che, ammessa ed espletata la consulenza tecnica, rifiuti per il medesimo fatto di tenerne conto;

-se viola l’art. 1226 c.c., il giudice che rigetta la domanda di risarcimento pur in presenza della prova di un fatto potenzialmente dannoso e degli elementi atti a ritenere verosimili e probabili i danni conseguenza, la cui precisa utilità e consistenza non trovi puntuale riscontro probatorio.

La censura di vizio della motivazione e di violazione di norme di legge – anche se, in ipotesi, fondata, per quanto riguarda la mancata ammissione di una consulenza tecnica di ufficio sulla esistenza ed entità del danno – sarebbe in ogni caso priva di pratiche conseguenze, in considerazione della autonoma “ratio decidendi” pure contenuta nella decisione impugnata, secondo la quale il G. non avrebbe fornito la prova della legittimazione a richiedere il risarcimento del danno, ed ancora prima quella della esistenza e dell’ammontare del danno effettivamente subito.

E’ appena il caso di richiamare il principio espresso dalle sezioni unite di questa Corte (s.u. 4 novembre 1996 n. 9522) per cui:

“Il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente).

Nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente.

In questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento”.

Ed ancora: “Il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione; tuttavia, quando la decisione della controversia dipende unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica, poichè i fatti da porre a base del giudizio non possono essere altrimenti provati ed accertati, non può il giudice da un lato non utilizzare le nozioni tecniche di comune conoscenza e neppure disporre (anche d’ufficio) indagini tecniche, e dall’altro respingere la domanda perchè non risultano provati i fatti che avrebbero potuto accertarsi soltanto con l’impiego di conoscenze tecniche, senza incorrere nel vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione”. (Cass. 1 marzo 2007 n. 4853).

Ed infine (Cass. 14 gennaio 1999 n. 321): “la consulenza tecnica, pur avendo, di regola, la funzione d fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già probatoriamente acquisiti al processo, può legittimamente costituire, “ex se”, fonte oggettiva di prova qualora si risolva non soltanto in uno strumento di valutazione, bensì di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche, così che, in tal caso, viola la legge processuale il giudice di merito che ne rifiuti l’ammissione sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ.” 2. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e dell’art. 100 c.p.c..

Il giudice di appello, ad avviso del G., avrebbe violato le norme di legge sopra indicate, affermando che la proprietà dell’olio in capo a terzi gli precludeva la domanda di danni, escludendo la sua posizione di diretto danneggiato.

In effetti, rileva il ricorrente principale, il giudice di appello aveva sollevato la questione del difetto di legittimazione attiva del G. pur in assenza di qualsiasi contestazione – sollevata da ENEL – in ordine alla proprietà del prodotto.

I quesiti sollevati con il secondo motivo del ricorso principale sono i seguenti:

“- se il diritto al risarcimento del danno può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto – reale o personale – che egli abbia all’esercizio di quel potere;

se la posizione di danneggiato diretto in capo all’attore ove non contestata dal convenuto, possa essere negata dal giudice”.

Il motivo è, in parte, fondato, ma l’accoglimento del profilo di censura non può portare alla cassazione della sentenza impugnata, per le ragioni di seguito indicate.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale è legittimato ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno anche il detentore della cosa (non solo il proprietario di essa).

Deve correggersi, pertanto, la osservazione conclusiva cui è pervenuto il giudice di appello, per il quale l’attore avrebbe dovuto fornire la piena prova della proprietà dell’olio per essere legittimato a richiedere il risarcimento dei danni derivati dalla interruzione della somministrazione della energia elettrica.

Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, colui che agisce per il risarcimento dei danni non è tenuto a dare la prova della piena proprietà del bene danneggiato ma solo della titolarità della situazione sostanziale che è oggetto del rapporto giuridico controverso, poichè’ anche un soggetto che si trovi ad esercitare un potere materiale sulla cosa può agire in giudizio per il risarcimento del danno derivante dal danneggiamento della stessa (Cass. 5 luglio 2007 n. 15233).

Nel caso di specie, tuttavia, ciò che ha negato il giudice di appello non è soltanto la qualifica di proprietario del bene danneggiato (olio), quanto la sussistenza e la entità dello stesso e la sua riferibilità in capo al G..

E avverso tale, diversa ed autonoma “ratio decidendi” non è stata proposta specifica censura.

3. Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce la violazione di legge e la nullità del procedimento (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) in relazione all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost..

La questione della insussistenza di un pregiudizio diretto in capo al G. era stata sollevata dal Tribunale solo in sede di decisione.

In tal modo, tuttavia, era stato dato rilievo a circostanze che lo stesso giudice avrebbe dovuto prospettare alle parti, per provocare sulle stesse il contraddittorio e la eventuale prova.

Il giudice che ritenga, dopo l’udienza di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d’ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporla ad esse al fin di provocare il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle opportune difese, dando spazio alle consequenziali attività.

La mancata segnalazione da parte del giudice comporta la violazione del dovere di collaborazione e determina nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione solitaria.

Le censure formulate con questo motivo non colgono nel segno.

La società convenuta aveva, sin dal giudizio di primo grado, contestato che l’originario attore avesse offerto di fornire la prova della entità del danno, negandone persino la sua sussistenza in capo al G..

Deve dunque escludersi che il giudice non potesse decidere la causa, senza averla previamente sottoposta alle parti, (trattandosi di questione rilevata di ufficio e non sollevata dalle parti: cfr. Cass. 31 ottobre 2005 n. 21108, 21 giugno 2007 n. 14385, 9 giugno 2008 n. 15194).

4. Con l’ultimo motivo, il ricorrente denuncia la nullità della decisione e del procedimento ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 2909 c.c., artt. 324, 329 e 346 c.p.c..

Il primo giudice aveva rigettato la domanda del G., accogliendo la eccezione di caso fortuito sollevata dall’ENEL. Poichè la questione della sussistenza dei danni e della loro entità non era stata oggetto di precisa censura da parte della società convenuta, la quale avrebbe avuto il preciso onere di proporre appello incidentale sul punto, la questione della sussistenza dei danni non avrebbe potuto essere riesaminata dal giudice di appello, essendosi sulla stessa formato il giudicato.

I quesiti di diritto proposti con l’ultimo motivo sono i seguenti:

“- se, affermata in primo grado la sussistenza di danni risarcibili e, rigettata la domanda per l’accoglimento dell’eccezione di caso fortuito, viola o meno il giudice di appello l’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., ove, in mancanza di appello incidentale o principale sul relativo capo di sentenza, neghi la sussistenza di danni risarcibili;

– se, proposta in primo grado da parte del convenuto eccezione sulla inesistenza di danni risarcibili e rigettata la domanda per l’accoglimento della eccezione di caso fortuito, con assorbimento della prima eccezione, violi o meno il giudice di appello l’art. 346 c.p.c. ove in mancanza di espressa riproposizione della eccezione assorbita, neghi la sussistenza dei danni risarcibili”.

Anche questo ultimo motivo si rivela del tutto destituito di fondamento.

Nessuna pronuncia in ordine alla insussistenza dei danni era contenuta nella decisione del giudice di pace, che aveva rigettato la domanda del G., ritenendo che la interruzione della energia elettrica non fosse derivata da causa imputabile del fornitore ENEL, ma fosse dovuta a fatto accidentale.

ENEL, totalmente vittorioso in ordine alle domande svolte dall’originario attore, non aveva alcun onere di proporre appello incidentale sul punto relativo alla sussistenza dei danni denunciati, potendo limitarsi – come aveva fatto – a riproporre la questione della insussistenza e della entità dei danni.

Si richiama sul punto Cass. 8854 del 13 aprile 2007 “La parte vittoriosa nel merito in primo grado non è tenuta a riproporre con appello incidentale – difettando il presupposto della soccombenza – le domande e le eccezioni già proposte e respinte o dichiarate assorbite dalla decisione del primo giudice, ma ha solo l’onere di provocare il riesame di tali domande ed eccezioni, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia, di cui all’art. 346 cod. proc. civ., manifestando in maniera chiara e precisa la volontà di riproporle”.

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale della società, relativo alle spese del doppio grado di giudizio (compensate dal giudice di appello sul rilievo che in primo grado si era verificato un difetto di rappresentanza del convenuto e, per altro verso, era stato dimostrato l’inadempimento di ENEL, pur tuttavia senza la dimostrazione dei danni connessi) ed al difetto di rappresentanza del procuratore nominato nel giudizio di primo grado: sul quale cfr. di recente Cass. S.U. 19 aprile 2010 n. 9217.

Sussistono giusti motivi, in relazione alle questioni dibattute, per disporre la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011

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