Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25099 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27415/2013 R.G. proposto da:

Studio Berardo, Ragionieri Commercialisti Associati Guido e Paolo

Berardo, elettivamente domiciliato in Roma, via Crescenzio n. 91,

presso lo studio dell’avv. Claudio Lucisano, che con l’avv. Maria

Sonia Vulcano lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Equitalia Nord S.p.A., già Equitalia Nomos S.p.A., elettivamente

domiciliata in Roma, via delle Quattro Fontane n. 161, presso lo

studio dell’avv. Sante Ricci, che con gli avvocati Maurizio Cimetti

e Giuseppe Parente la rappresenta e difende, giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 79/34/12, depositata il 16 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 13 giugno 2019

dal Pres. Biagio Virgilio.

Fatto

RILEVATO

che:

con l’impugnata sentenza la C.T.R. del Piemonte ha confermato la prima decisione che aveva respinto il ricorso proposto dallo Studio Berardo, Ragionieri Commercialisti Associati Guido e Paolo Berardo, avverso cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis;

il giudice d’appello ha ritenuto valida – comunque in ogni caso sanata ex art. 156 c.p.c. – la notifica della cartella, eseguita ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, ex art. 14; e, in secondo luogo, insussistenti i dedotti vizi dell’atto di riscossione;

il contribuente propone ricorso sulla base di sei motivi;

Equitalia Nord s.p.a., già Equitalia Nomos s.p.a., resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il contribuente, denunciando, fra l’altro, violazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 (conv. dalla L. n. 248 del 2005) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, censura la sentenza impugnata per non avere il giudice rilevato il difetto di “legittimazione ad causam ed ad processum di Equitalia Nord S.p.A. sotto tre distinti profili”: cioè, sia perchè dalla soppressione del sistema di affidamento in concessione della riscossione sarebbe derivata la perdita di interesse giuridico dell’agente della riscossione, sia perchè l’attività di riscossione poteva semmai esercitarsi soltanto dalla capogruppo, sia, infine, perchè l’agente della riscossione non avrebbe potuto essere difeso da un avvocato del libero foro (bensì per mezzo dei propri dipendenti o, in subordine, per tramite del patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato);

il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato: è inammissibile quanto ai primi due profili di censura perchè la C.T.P. di Torino aveva accertato che l’agente della riscossione era legittimato a resistere, senza che questa statuizione fosse stata oggetto di gravame, con il conseguente formarsi del giudicato interno sul punto; è infondato con riguardo alla questione della difesa ad opera di avvocati del libero foro, poichè, da un lato, le società del gruppo Equitalia s.p.a. restano società di capitali in forma privatistica, la cui funzione strumentale alla riscossione nazionale non vale a tramutarle in pubbliche amministrazioni con patrocinio erariale, e, dall’altro, ad eccezione dei casi tassativamente contemplati dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 41 (come modificato dal D.L. n. 262 del 2006, convertito dalla L. n. 286 del 2006), estranei al giudizio tributario, il concessionario del servizio di riscossione non è abilitato alla difesa diretta, per mezzo di propri dipendenti, dinanzi al giudice tributario (Cass. nn. 5437 del 2017, 10886 e 21663 del 2015, 21773 del 2014);

con il secondo motivo, formulato sia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è denunciata la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 12, comma 4, dell’art. 480 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c.: il contribuente censura il fatto che il giudice a quo non ha dichiarato la nullità della cartella perchè non sottoscritta;

il motivo è infondato in base al consolidato principio secondo il quale la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (da ult., Cass. nn. 21290 e 21844 del 2018);

con il terzo, quarto e quinto motivo, formulati anch’essi con riferimento sia all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, viene denunciata la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, dell’art. 148 c.p.c., della L. n. 890 del 1982, art. 3 e dell’art. 112 c.p.c.: il ricorrente censura la sentenza per non avere il giudice d’appello pronunciato, ovvero per aver apparentemente pronunciato, sulle eccezioni di inesistenza o nullità della notifica della cartella – e comunque per non averle dichiarate – a causa della mancanza di relata, della mancanza di potere del notificatore e della mancanza del registro cronologico e del sigillo sulla busta di consegna; sostiene inoltre che tali vizi non potevano essere sanati ex art. 156 c.p.c.;

i motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati, in base al consolidato principio secondo cui, in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal cit. art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (tra altre, Cass. nn. 6395 del 2014, 17248 del 2017, 4275 del 2018, 27561 del 2018; cfr. anche, in tema, Corte Cost. n. 175 del 2018);

ciò, peraltro, senza considerare la piena operatività della sanatoria conseguente alla proposizione del ricorso avverso la cartella, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., trattandosi comunque, e in via di mera ipotesi, di nullità e non certo di inesistenza della notifica dell’atto;

il sesto motivo, infine, col quale è dedotta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile perchè non rivolto a censurare un error eventualmente commesso dalla C.T.R., bensì a suggerire alla stessa le conseguenze che sulla cartella sarebbero dovute derivare dall’eventuale accoglimento dell’appello “sul ruolo”;

il ricorso deve essere in conclusione rigettato;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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