Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25098 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 10/10/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 10/10/2018), n.25098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21235-2014 proposto da:

DAB PUMPS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ELEFANTE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIAMPIERO FALASCA e FRANCESCO CERASI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

e contro

C.O.;

– intimato –

Nonchè da:

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

94, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CARDILLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MORO, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

DAB PUMPS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ELEFANTE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIAMPIERO FALASCA e FRANCESCO CERASI, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 16/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/04/2014, R.G.N. 370/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza resa pubblica in data 8/4/2014 la Corte d’appello di Venezia confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva accertato l’irregolarità del primo dei contratti di somministrazione di lavoro stipulati fra la Adecco s.p.a. e la Dub Pumps s.p.a. ai sensi dell’art.20 c.4 d. Igs. n.276/2003, per “esigenze di carattere organizzativo legate all’implementazione delle linee di montaggio pompe idrauliche”, in relazione al quale C.O. aveva prestato attività lavorativa in favore dell’utilizzatrice Dub Pumps s.p.a. dal 20 febbraio al 31 marzo 2006. Confermava altresì la statuizione con la qualè era stato costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice, e condannata quest’ultima alla riammissione in servizio del lavoratore con mansioni proprie di operaio metalmeccanico addetto a montaggio di 3^ categoria.

In parziale riforma di tale decisione, la Corte di merito condannava la società appellante al pagamento in favore di controparte di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge, a titolo di indennità omnicomprensiva L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5.

Nel proprio iter motivazionale la Corte distrettuale muoveva dalla considerazione della sufficiente specificità della causale sottesa al primo dei contratti stipulati fra le parti, in quanto consentiva in astratto di accertare se la ragione addotta fosse esistente e se il lavoratore fosse stato effettivamente impiegato per farvi fronte. Tuttavia, nella specie, le istanze istruttorie formulate dalla società non potevano ritenersi idonee a dimostrare che il lavoratore fosse stato impiegato per le ragioni per le quali era stato assunto, anche considerato che la allegazione del lavoratore in ordine all’assegnazione a tutte le linee di produzione, non era stata oggetto di contestazione da parte aziendale.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dalla Dab Pumps s.p.a. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimato il quale ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi cui la società ha opposto difese ex art. 371 c.p.c., comma 4.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,244 e 420 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3 ex art. 306 c.p.c., comma 1, n. 3.

Argomenta in ordine alla coessenzialità della prova testimoniale articolata nel giudizio di merito ed alla dimostrazione dell’effettiva sussistenza delle ragioni di cui, al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, poste a fondamento del contratto di somministrazione di lavoro; deduce che, nello specifico, diversamente da quanto accertato dai giudici del gravame, i capitoli di prova – il cui contenuto analiticamente riproduce – sono stati articolati in modo sufficientemente preciso e tale da consentire uno scrutinio in sede giudiziale, della effettività della causale negoziale, rimarcando come le circostanze oggetto del capitolato di prova, fossero suffragate da dati documentali ritualmente versati in atti, che attestavano gli incrementi di attività produttiva registrati nel periodo rilevante ai fini del decisum.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c..

Si deduce che il giudice avrebbe comunque dovuto ammettere le prove, pur generiche, alla luce degli spunti di indagine derivanti dai capitoli di prova e dalla documentazione connessa, versata in atti.

3. Il terzo motivo è formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5. Ci si duole che la Corte abbia ignorato i plurimi riscontri prodotti in sede istruttoria dalla ricorrente, limitandosi ad asserire l’inidoneità delle prove offerte, in quanto inadeguate.

4. Le censure possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse.

Esse non possono trovare accoglimento per i motivi di seguito esposti.

In via di premessa non può tralasciarsi di considerare che l’astratta ammissibilità della causale indicata nel contratto di somministrazione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, non è sufficiente a rendere legittima l’apposizione d’un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto stesso, vale a dire una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti (in questi sensi, vedi Cass. 9/9/2013 n. 20598).

L’accertamento in fatto della ricorrenza delle condizioni che giustificavano il ricorso al lavoro in somministrazione, attraverso la valutazione e l’apprezzamento del complessivo materiale probatorio, appartiene, poi, alla competenza esclusiva del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità.

Nello specifico la Corte distrettuale ha confermatò il giudizio di carenza probatoria in ordine alla sussistenza effettiva delle esigenze sostitutive sottese al contratto di somministrazione già espresso dal giudice di prima istanza, sotto profilo della genericità dei capitoli di prova articolati dalla società, per le ragioni indicate nello storico di lite.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, la statuizione si sottrae, dunque, alle critiche formulate, ribadendosi, con riferimento ai dati di natura documentale ed alla dedotta non contestazione degli stessi da parte del lavoratore rilevata da parte ricorrente (in particolare con il primo motivo), il principio affermato da questa Corte secondo cui l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria, la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è sottratta allo scrutinio in sede di legittimità (vedi Cass. 22/9/2017 n. 22055, Cass. 21/06/2016 n. 12748, Cass. 6/4/2016 n. 6606).

5. Il ricorso va, peraltro, disatteso anche con riferimento alla censura di cui al secondo motivo, relativa all’uso dei poteri istruttori d’ufficio. Ed invero, se è da ritenere ormai principio acquisito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., essi non hanno più carattere discrezionale, ma si presentano come un potere dovere, del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto (Cass. S.U. 17/6/2004, n. 11353), è però anche vero che al fine di poter censurare con il ricorso per Cassazione l’inesistenza di alcuna motivazione circa la mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, poichè diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema totalmente nuovo rispetto a quelli dibattuti nelle fasi di merito. L’omesso esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice di merito, non può essere stigmatizzato in sede di legittimità ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (vedi Cass. 25/10/2017 n. 25374, Cass. 23/10/2014 n. 22534); e nella specie, ciò non risulta sia stato fatto, essendosi la ricorrente limitata, solo in questo giudizio, a prospettare la necessità dell’integrazione istruttoria ad opera del giudice.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale, il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno qualificato come specificà la causale sottesa al contratto di lavoro inter partes deducendo che nella fattispecie considerata, la causale era priva del necessario carattere oggettivo suscettibile di essere scrutinato al momento della instaurazione del rapporto.

7. Esso è infondato per quanto di seguito esposto.

Come da questa Corte è stato più volte osservato, in tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, a sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’ utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con I’ utilizzatore della prestazione(Cass. 15/7/2011 n. 15610, Cass. 9/9/2013 n, 20598).

E’ stato altresì considerato che “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore” (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4) e che l’articolo successivo, 21, statuisce che il contratto di somministrazione di manodopera dève essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi.

Secondo i principi consolidati nella giurisprudenza- di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 15/7/2011 n. 15610, Cass. 8/5/2012 n. 6933, Cass. 9/9/2013 n. 20598, Cass. 1/8/2014 n. 17540, Cass. 27/10/2016 n. 21919) è, dunque, necessario che venga esplicitato il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta. E detto collegamento è stato ritenuto sussistente, con motivazione del tutto congrua e conforme a diritto, dalla Corte distrettuale la quale ha affermato che il motivo indicato nel primo contratto “…implementazione delle linee di montaggio pompe idrauliche” fosse sufficientemente specifico perchè, come fatto cenno nello storico di lite, consentiva in astratto di accertare se la ragione addotta fosse esistente e se il lavoratore fosse stato effettivamente impiegato per farvi fronte.

Esse possono, quindi, essere correttamente ascritte nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, il riferimento alle stesse ben potendo costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c) medesimo decreto legislativo (cfr. Cass. 21/2/2012 n. 2521 cui adde Cass. 6/10/2014 n. 21001 in tema di clausole riferite a “punte di più intensa attività”).

8. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. Si critica la sentenza impugnata per aver disposto condanna del ricorrente a restituire la somma ricevuta a seguito della sentenza di primo grado nonostante il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva liquidato le retribuzioni spettanti al lavoratore.

9. Il motivo è, del pari, privo di fondamento.

La Corte di merito congruamente ha posto a fondamento del decisum i dettami di cui all’art. 336 c.p.c., comma 2 a norma del quale “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”, disposizione. in cui la dottrina e la giurisprudenza ravvisano il c.d. effetto espansivo esterno del giudicato. In applicazione del suddetto principio, la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha stabilito che la riforma della sentenza concernente l’accertamento del diritto, pone nel nulla la sentenza che abbia deciso sul quantum, ancorchè sulla stessa si sia formato il giudicato formale, ed anche nei casi in cui tale pronuncia sia stata emessa in un altro processo, in quanto l’una costituisce il presupposto logico-giuridico dell’altra (ex plurimis, vedi Cass. 12/11/2007 n. 23483).

Tali principi, sono stati poi ribaditi anche in recenti approdi di questa Corte, secondo cui l’effetto espansivo esterno del giudicato previsto dall’art. 336 c.p.c., comma 2, opera anche nel caso in cui diritto posto alla base di un decreto ingiuntivo – ottenuto in base ad una sentenza immediatamente esecutiva sulran debeatur” – sia stato negato a seguito della riforma o cassazione della sentenza che l’aveva accertato e travolge gli effetti anche esecutivi del decreto stesso (vedi Cass. 13/6/2014 n.13492).

La pronuncia impugnata, coerente con il ricordato insegnamento, si sottrae alle censure all’esame.

In definitiva, ai lume delle superiori argomentazioni, anche il ricorso incidentale va rigettato.

La situazione di reciproca soccombenza giustifica, infine, l’integrale compensazione fra e parti, delle spese inerenti al presente giudizio.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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