Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25096 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 30/05/2019, dep. 10/11/2020), n.25096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui riuniti ricorsi iscritti ai nn. 4813/2018, 4816/2018 e 4819/2018

R.G. proposto da:

M.C. Bolt s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Tullio Elefante, con domicilio

eletto presso il suo studio, sito in Roma, via Cardinal de Luca, 17;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della

Campania, nn. 6397/17, 6398/17 e 6399/17, depositate tutte il 7

luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio

2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la M.C. Bolt s.r.l. propone ricorso per cassazione, iscritto al n. 4819/18, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 7 luglio 2017, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha rigettato il ricorso introduttivo dalla medesima proposto per l’annullamento dell’avviso di rettifica dell’accertamento emesso per mancato versamento di un dazio antidumping relativo ad un’operazione di importazione;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo traeva origine da una missione OLAF, nell’ambito della quale veniva accertata l’origine e provenienza cinese dei prodotti importati (elementi metallici di fissaggio) e non quella, dichiarata, thailandese;

– il giudice di appello ha accolto il gravame dell’Amministrazione finanziaria evidenziando che gli accertamenti compiuti dall’OLAF possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali, presentando valenza probatoria privilegiata, e che la contribuente non aveva fornito prova contraria dell’effettiva provenienza tailandese della merce;

– il ricorso è affidato a sette motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– con distinti atti, iscritti ai nn. 4813/18 e 4816/18, la ricorrente propone ricorso per cassazione avverso due sentenze della Commissione tributaria regionale della Campania, depositate entrambe il 7 luglio 2017, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, hanno rigettato i ricorsi introduttivi dalla medesima proposti per l’annullamento di avvisi di irrogazione di sanzioni emessi in relazione al mancato versamento del dazio antidumping contestato con l’atto impositivo oggetto del diverso giudizio iscritto al n. 4819/18;

– i ricorsi presentano un contenuto pressochè identico tra loro e a quello del ricorso introduttivo di quest’ultimo giudizio;

– resiste con distinti controricorsi l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– occorre preliminarmente dare atto della riunione dei giudizi, disposta per ragioni di opportunità, avuto riguardo sia all’unicità dell’operazione economica oggetto degli atti impositivi impugnati, sia all’identità dei motivi in cui sono articolati i distinti ricorsi, sia, infine, del contenuto sostanzialmente identico delle sentenze impugnate;

– con il primo motivo la società contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, e artt. 137 e ss., artt. 325,327 e 330 c.p.c., per aver le sentenze impugnate omesso di dichiarare l’inammissibilità degli appelli per mancato rispetto del relativo termine decadenziale;

– il motivo è, in parte, infondato e, in parte, inammissibile;

– si rileva dagli atti che le sentenze di primo grado, non notificate, sono state depositate il 9 settembre 2015, e, a seguito dell’infruttuoso tentativo di notifica dei relativi appelli per sopravvenuto trasferimento dello studio dell’avvocato presso cui la parte aveva eletto domicilio, questa ha chiesto di essere rimessa in termini ai fini del regolare svolgimento del procedimento notificatorio;

– sul punto della tempestività degli appelli, le sentenze di appello hanno evidenziato che i procedimenti notificatori erano stati riattivati “senza sostanziale interruzione”, ragione per cui il fatto impeditivo del perfezionamento della notifica costituiva una “causa di rimessione in termini”;

– in proposito, hanno espressamente richiamato il principio – espresso da questa Corte, a Sezioni Unite, del 5 aprile 2016, n. 14594 secondo cui in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa;

– in considerazione di tale richiamo, deve ritenersi che il contestuale riferimento alle fattispecie – non coincidenti – della riattivazione del procedimento notificatorio e della rimessione in termini deve interpretarsi nel senso che la tempestiva ripresa dei procedimenti notificatori abbia evitato, nella ricostruzione della CTR, il maturarsi della (eccepita) decadenza dall’impugnazione;

– ciò posto, la contribuente contesta, in primo luogo, la sussistenza dei presupposti per la ripresa dei procedimenti notificatori, allegando che le notifiche erano state eseguite presso un indirizzo del destinatario, il procuratore domiciliato in primo grado, non più attuale – e, in quanto tale, errato – a seguito della variazione dello stesso;

– si osserva, tuttavia, che la notifica presso il procuratore costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio da lui eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, altrimenti, nel suo domicilio effettivo, previo riscontro, da parte del notificante, delle risultanze dell’albo professionale (cfr. Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2009, n. 3818);

– pertanto, il notificante ha l’onere di controllare che l’indirizzo dello studio del procuratore domiciliatario, destinatario della notifica, sia mutato rispetto a quello dichiarato nel corso del giudizio e riportato nell’intestazione della sentenza impugnata solo qualora il difensore svolga le sue funzioni nel circondario di assegnazione e non anche quando eserciti al di fuori di esso ed abbia proceduto all’elezione di domicilio ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il mancato perfezionamento della notifica non è imputabile alla parte notificante;

– dalla documentazione prodotta in giudizio non emergono elementi da cui poter desumere – in assenza di un accertamento sul punto da parte del giudice di merito – che il procuratore domiciliatario in primo grado esercitasse il proprio ufficio nel circondario di assegnazione, per cui non viene in rilievo il vizio di sussunzione dedotto dalla contribuente;

– può rilevarsi, sul punto, che mentre nel ricorso la parte riferisce della variazione del “secondo studio” da un indirizzo ad un altro di Napoli e che l’altro studio era situato in Milano, nel controricorso si riferisce che il procuratore risultava iscritto all’Ordine degli avvocati di Milano;

– il contribuente contesta, inoltre, la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto che il notificante avesse riattivato i procedimenti notificatori “senza sostanziale interruzione”;

– sotto tale profilo, la doglianza è inammissibile, atteso che si risolve nella contestazione di un accertamento fattuale operato dal giudice di merito, non sindacabile davanti al giudice di legittimità se non mediante la formulazione di un vizio motivazionale, non prospettato in questa sede;

– con il secondo motivo dei tre ricorsi la ricorrente deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione all’applicabilità dello jus superveniens di cui al regolamento di esecuzione (UE) n. 2016/278 e del principio del favor rei;

– rileva, in proposito, che con le controdeduzioni all’appello erariale aveva allegato l’insussistenza della pretesa impositiva per effetto dell’abrogazione dei dazi in oggetto disposta con il menzionato regolamento unionale;

– pur rispondendo al vero che la Corte territoriale non si è pronunciata sull’eccezione di ricorso avente ad oggetto l’estinzione della pretesa erariale per sopravvenuta abrogazione dei dazi pretesi, ciò non giustifica l’accoglimento del motivo, in relazione all’infondatezza della questione non esaminata;

– in proposito, si rammenta che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass., ord., 19 aprile 2018, n. 9693; Cass. 28 giugno 2017, n. 16171; Cass., sez. un., 2 febbraio 2017, n. 2731);

– orbene, a seguito del rilevato contrasto di alcune disposizioni contenute nelle disposizioni unionali in tema di dazio antidumping sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese con le disposizioni dell’accordo antidumping e del GATT 1994, la Commissione, con il richiamato Reg. di esecuzione (UE) n. 2016/278, ha disposto l’abrogazione di tale dazio;

– per espressa previsione contenuta nell’art. 2 di tale atto normativo l’abrogazione “prende effetto a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, come disposto all’art. 3, e non consente il rimborso dei dazi riscossi prima di tale data”;

– la irretroattività dell’abrogazione del dazio antidumping, inequivocabilmente desumibile dal riportato tenore letterale dell’art. 2, è stata di recente sancita da questa Corte (Cass. 7 novembre 2019, n. 18668), che ha ripreso le statuizioni della sentenza, resa a Sezioni Unite, n. 1542 del 21 gennaio 2019, cui va prestata piena adesione;

– pertanto, non può trovare applicazione l’invocato principio del favor rei, attesa l’espressa previsione normativa di irretroattività della disciplina fiscale più favorevole per il contribuente;

– con il terzo motivo dei tre ricorsi la società si duole della nullità delle sentenze, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione alla violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale;

– il motivo è fondato;

– la parte ha allegato, offerto idonea dimostrazione di aver prospettato la violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale con il primo motivo del ricorso introduttivo e di aver riproposto la questione nelle controdeduzioni in appello, al terzo motivo;

– le sentenze impugnate non recano menzione del fatto, nè provvedono, nella motivazione, ad esaminare l’eccezione, avente carattere preliminare rispetto a quella affrontata attinente al merito della pretesa erariale e, in quanto tale, astrattamente idonea, laddove ritenuta fondata, a condurre ad un diverso esito del giudizio;

– con il quarto motivo la ricorrente lamenta la nullità delle sentenze, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un punto decisivo delle controversie, in relazione all’eccepita illegittimità della pretesa erariale per carenza della cd. motivazione rafforzata, allegando che l’Ufficio aveva disatteso le difese della contribuente nella fase endoprocedimentale senza esporre le relative argomentazioni;

– anche questo motivo è fondato per le medesime ragioni esposte con riferimento al terzo motivo;

– con il quinto motivo si criticano le sentenze di appello per omesso esame di fatti controversi e decisivi per i giudizi, individuati nel lasso temporale intercorso tra le importazioni in oggetto e l’inizio dell’indagine OLAF posta a fondamento dell’atto impugnato;

– il motivo è inammissibile, in quanto investe non già l’omesso esame di un fatto – peraltro, non controverso – quanto la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice;

– con il sesto motivo si allega la nullità delle sentenze, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione omessa o, comunque, apparente, in relazione alle difese svolte dalla contribuente in ordine alla valenza probatoria dell’indagine OLAF;

– il motivo è infondato;

– nella motivazione delle sentenze la Commissione regionale procede ad una esaustiva ricostruzione dello svolgimento del processo, corredata dall’indicazione dei motivi di gravame interposti, e illustra le ragioni in base alle quali tali motivi sono infondati;

– perviene, quindi, alla conclusione della fondatezza degli appelli e, dunque, della legittimità degli atti impugnati all’esito della valutazione degli elementi probatori e della rilevanza annessa agli accertamenti compiuti dall’OLAF, ritenuti idonei a giustificare, anche da soli, gli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali;

– siffatta motivazione appare idonea ad evidenziare l’iter logico giuridico seguito dal giudice, rendendo in tal modo possibile il controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento;

– con l’ultimo motivo dei ricorsi la società contribuente deduce la nullità delle sentenze, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione omessa o, comunque, apparente, in relazione alla valutazione delle prove contrarie offerte in ordine all’origine della merce importata;

– il motivo è infondato, in quanto, attraverso il riferimento all’esito degli accertamenti compiuti dall’OLAF, la motivazione consente l’individuazione dell’iter logico seguito dal giudice;

– le sentenze impugnate vanno, dunque, cassate con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte dispone la riunione dei ricorsi nn. 4813/18, 4816/18 e 4819/18, accoglie il terzo e quarto motivo dei ricorsi, dichiara inammissibile il quinto e rigetta i restanti; cassa le sentenze impugnate con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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