Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25094 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 16/09/2021), n.25094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14523/2019 proposto da:

M.M.M., elettivamente domiciliato in Udine, alla via

Giusto Muratti, 64, presso lo studio dell’avv. Martino Benzoni, in

virtù di nomina e procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/05/2021 da Dott. MACRI’ BALDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Lecce ha rigettato la domanda di M.M.M., di origine bengalese, di riconoscimento della protezione internazionale, della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari, così confermando la decisione della Commissione territoriale di Lecce notificata il 7 giugno 2018. Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti di legge per accordare la protezione richiesta e ha specificato che la certificazione prodotta in giudizio era relativa ad un rapporto di lavoro risalente al 2018, che non presentava patologie di rilievo né vi erano elementi di radicamento sul territorio italiano ostativi al rimpatrio.

La parte ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Lecce sulla base di cinque motivi.

Con il primo lamenta la violazione degli art. 156 e 126 c.p.c., perché il verbale recante le sue dichiarazioni era stato redatto senza l’ausilio del cancelliere e non recava timbri.

Con il secondo eccepisce l’erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9, perché il Tribunale non aveva verificato le condizioni di gravissima indigenza in cui era stato costretto dal disastro ambientale né gli eventuali aiuti di Stato per fronteggiare la calamità.

Con il terzo deduce l’erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in merito alla sua condizione di “rifugiato ambientale”.

Con il quarto denuncia l’erronea o falsa applicazione dell’art. 16 Direttiva UE 32/2013 per la superficiale valutazione degli elementi rappresentati.

Con il quinto eccepisce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dal momento che era un soggetto certamente vulnerabile.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

Il primo motivo di ricorso è infondato, perché la mancata redazione del verbale dell’audizione del richiedente la protezione internazionale da parte del cancelliere non è sanzionata da nullità e, comunque, ben può ritenersi raggiunto lo scopo dell’atto processuale ai sensi dell’art. 156 c.p.c., considerato che non sono contestate le dichiarazioni rese.

I motivi di merito sono invece infondati, perché la parte ricorrente ha allegato una condizione d’indigenza dovuta all’inondazione del fiume che aveva distrutto la sua abitazione, ma aveva al contempo fatto riferimento a periodiche inondazioni che si verificavano nel luogo di residenza e avevano distrutto la sua casa, e non aveva parlato di carestia. Nel complesso, quindi, la prospettazione non pone un problema di accertamento delle condizioni di “rifugiato ambientale”, ma ha ad oggetto solo le gravi difficoltà economiche, comuni alle popolazioni locali, non giustificanti il riconoscimento della protezione invocata (Cass., Sez. 1, n. 16119 del 2020, Rv. 658603-01). Il ricorso non si confronta specificamente con l’accertamento compiuto nel decreto impugnato, secondo cui la parte ricorrente non aveva documentato di lavorare in modo regolare, né patologie di rilievo o situazioni indicative di un effettivo radicamento in Italia. Di qui l’esito negativo della valutazione comparativa effettiva. Nulla per le spese stante la contumacia del Ministero dell’Interno.

Sussistono invece, nella specie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

 

 

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