Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25092 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 23/04/2021, dep. 16/09/2021), n.25092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19017/2020 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in elettivamente domiciliato in

Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione difeso

dall’Avv.to Mannironi Stefano;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 230/2020 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 09/04/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Cagliari con sentenza in data 9/4/2020, ha respinto l’impugnazione avverso il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Cagliari in ordine alle istanze avanzate da B.L. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese perché, dopo la morte dei genitori era andato a vivere con lo zio il quale aveva abusato di lui. Per ottenere i soldi per poter scappare aveva rubato alcuni capi di bestiame appartenenti allo zio e quindi temeva in caso di rimpatrio di essere denunciato ed arrestato per il furto di bovini.

La Corte di Appello di Cagliari in particolare ha ritenuto il ricorrente non credibile ed ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e memoria.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 10, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 1, 3, 19, 20 e 22 Convenzione Diritti Fanciullo New York 20.11.1989 in relazione al regolamento C.E.E. n. 604/2013, D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 18 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4,28 e 32; denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione su fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che è nato il 11.2.1999 ed è arrivato in Italia nell’ottobre 2016, allorché era ancora minorenne, sicché avrebbe dovuto beneficiare del trattamento normativo previsto per i minori di età.

Deduce che la disciplina di riferimento induce ad escludere che la tutela speciale accordata al minore sia destinata a cessare con il raggiungimento della maggiore età; al contempo, che i tempi lunghi del procedimento innanzi alla commissione territoriale ed innanzi al tribunale non possono comportare la menomazione dei diritti correlati alla minore età.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13, ed all’art. 6 della direttiva C.E.E. n. 115/2008; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché la corte di appello di Cagliari non ha tenuto conto che la fattispecie prefigurata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, costituisce ipotesi del tutto autonoma, viepiù che l’art. 6, comma 4, della direttiva C.E.E. n. 115/2008 prevede che gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi “caritatevoli o di altra natura” del tutto autonomi e differenti da quelli umanitari di cui all’art. 5 del medesimo D.Lgs..

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A), B), C); ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché, contrariamente a quanto assunto dalla corte, rilevano con riferimento alle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le circostanze addotte ovvero il rischio pressoché certo che, se rimpatriato, si troverebbe in una situazione di conflitto generalizzato con riferimento all’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); che parimenti la corte per nulla ha tenuto conto delle violenze subite e dei traumi sofferti.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché, contrariamente a quanto assunto dalla corte sussistono nel caso di specie le condizioni perché sia riconosciuta la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, protezione del tutto autonoma e distinta da quella di cui all’art. 5, comma 6, dello stesso D.Lgs.. Deduce in particolare che ben può essergli accordato il permesso di soggiorno ex art. 19 cit., atteso non ha più alcun legame con il suo paese d’origine dove viene applicata la pena di morte in caso di furto.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché, contrariamente a quanto assunto la corte ben avrebbe potuto accordargli il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; che siffatta disposizione fa salva la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario ovvero derivanti dagli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Censura la negazione della protezione umanitaria per non avere il giudice di merito preso in considerazione tutti i profili di vulnerabilità e le condizioni di vita del ricorrente, trascurando di considerare l’integrazione e di svolgere il giudizio di comparazione.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si traduce in una elencazione di norme e sentenze senza indicare il motivo per cui il decreto impugnato è incorso in violazione di legge.

Non si disconosce che B.L. sia entrato in Italia nel luglio del 2016, ancora minorenne, sicché in relazione a tale data si è inizialmente connotato, in rapporto alle diversificate prefigurazioni legislative, il suo diritto alla protezione internazionale. Tuttavia su di un piano propriamente sostanziale, il diritto del minore alla più incisiva protezione internazionale non può che cessare al compimento della maggiore età.

Tanto, evidentemente, giacché al raggiungimento della maggiore età viene meno il bisogno di una più intensa protezione: opinare diversamente comporterebbe inesorabilmente la distorsione del sistema. Per altro verso, su di un piano propriamente processuale, l’astratta titolarità dell’azionato diritto alla più incisiva protezione internazionale del minore, quale condizione (cosiddetta “possibilità giuridica”) dell’azione, se, da un canto, è sufficiente che sussista al momento della decisione (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26769, con riferimento alla legittimazione ad agire), è necessario, d’altro canto, che persista sino al momento della decisione. Ebbene nella fattispecie è indubitabile che la decisione del Tribunale di Cagliari è sopraggiunta il 9.4.2020, allorquando il ricorrente era già divenuto maggiorenne.

Ne’, si aggiunge, riveste valenza, a motivo della piena cognizione all’organo giudiziario devoluta in ordine al diritto soggettivo del richiedente la protezione, la circostanza per cui la commissione territoriale si è pronunciata allorché era ancora minorenne.

Il secondo motivo proposto è inammissibile.

Richiamati gli insegnamenti di questa Corte n. 16362/2016 e n. 11110/2019 deve essere escluso che vi sia margine per far luogo alla protezione umanitaria toutcourt “per motivi caritatevoli o di altra natura”.

Il terzo motivo di ricorso è infondato. Per quanto concerne, invero, la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del Decreto succitato, va osservato che – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte – è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, tuttavia, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312; Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020). A tal riguardo, deve ritenersi che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), o di altre fonti internazionali citate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, da richiedersi agli enti a ciò preposti. La Corte ha adempiuto a tale dovere citando le fonti aggiornate dalle quali ha desunto le informazioni sulla situazione del paese di provenienza.

La Corte di merito non ha riconosciuto al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi. Inoltre il Tribunale ha ampiamente motivato sulla mancanza di credibilità del ricorrente del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), valutando che le dichiarazioni rese non erano coerenti e plausibili e pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre.

L’ipotesi di cui dell’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa da

Dalla Corte la quale, basandosi su fonti di informazione internazionale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”: Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia,grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”.

Il quarto e quinto motivo relativo alla domanda di protezione umanitaria da trattarsi congiuntamente sono fondati e devono essere accolti.

Il ricorrente ha dimostrato con numerosi documenti di aver raggiunto un buon livello di integrazione in Italia paese di accoglienza, in particolare svolge attività nel settore agricolo.

Questa Corte ha più volte chiarito che in materia di protezione umanitaria, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. sez. 1 n. 4455/2018 e S. Unite 29459/2019).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente confermato che “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza” (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019).

Nella fattispecie la Corte di merito ha omesso completamente di esaminare i documenti prodotti ed effettuare un giudizio di comparazione tra la situazione attuale in Italia e quella lasciata dal ricorrente nel suo paese di origine.

Il ricorso deve pertanto essere accolto in ordine al quinto motivo, respinti gli altri motivi, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 23 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

 

 

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