Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25090 del 07/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 25090 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 16528-2011 proposto da:
COOPERATIVA COSVIR DI SVILUPPO REGIONALE
01953870712, in persona del legale rappresentante, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE CAMILLO SABATINI 150, (V.B. 5/1)
presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CEPPARULO,
rappresentata e difesa dall’avvocato AMATUCCI ANDREA giusta
mandato a margine del ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controrkorrente –

Data pubblicazione: 07/11/2013

nonchè contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580;

intimato

TRIBUTARIA REGIONALE di BARI, SEZIONE DISTACCATA
di FOGGIA del 30/11/2010, depositata il 22/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

Ric. 2011 n. 16528 sez. MT – ud. 09-10-2013
-2-

avverso la sentenza n. 487/25/2010 della COMMISSIONE

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Bari ha respinto l’appello della “Cosvir cooperativa di sviluppo
regionale”, appello proposto contro la sentenza n.24/03/2008 della CTP di Foggia
che aveva respinto il ricorso della società contribuente avverso il provvedimento di
silenzio-rifiuto sull’istanza volta al riconoscimento, per gli anni 2001-2003 (in
relazione alle nuove assunzioni effettuate nel corso dei detti anni e per la parte
eccedente la somma limite di € 100.000,00) dell’ulteriore credito di imposta ai sensi
dell’art.7 comma 10 della legge n.388/2000.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che l’art.7 anzicitato prevede in
modo esplicito che il credito di imposta per il triennio non poteva superare il limite
pecuniario anzi indicato, ciò che non trova deroga allorquando si tratta di assunzione
di prestatori di lavoro svantaggiati. E d’altronde, come rilevato anche dal giudice di
primo grado, la parte contribuente non aveva provato che i lavoratori assunti fossero
soggetti vantaggiati, onere incombente sull’anzidetta parte.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si è difesa tzlintr-errerrorssl.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di censura (sostanzialmente improntato alla violazione
dell’art.7 della legge n.388/2000 e dell’art.63 della legge n.289/2002 ) la ricorrente
si duole del fatto che il giudice di appello (con motivazione apodittica) ha ritenuto
che il comma 10 dell’art.7 stabilisce espressamente l’applicazione della regola “de
minimis”, secondo cui il beneficio non può essere goduto oltre il predetto limite,

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letti gli atti depositati

senza considerare che la anzidetta regola (di fatto conosciuta come “de minimis”)
derivando dal diritto comunitario in materia di aiuti di stato non opera nel caso in cui
si tratti di sovvenzioni di importo minimo e che integrino aiuti a favore
dell’occupazione, e ciò perché i predetti aiuti non sono capaci di creare effetto
distorsivo.

Il comma 10 dell’art.7 or ora citato prevede infatti espressamente che: “All’ulteriore
credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis

di

cui alla comunicazione della Commissione delle Comunita’ europee 96/C68/06,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita’ Europee C68 del 6 marzo
1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della
predetta comunicazione purche’ non venga superato il limite massimo di lire 180
milioni nel triennio”.
Non vi è ragione per ritenere che la disciplina in questione sia da disapplicarsi (così
come sostanzialmente ritiene la parte ricorrente, allorchè attribuisce carattere
“speciale” al regolamento comunitario 2204/2002 rispetto alla disciplina nazionale),
non potendosi ravvisare in essa alcun contrasto con la disciplina comunitaria, che
non impone al legislatore nazionale di escludere limiti alla concessione del beneficio,
siccome è stato appunto previsto con la norma sopra trascritta, nell’esercizio della
legittima discrezionalità che compete al legislatore italiano. Nel medesimo senso si è
di recente pronunciata la sezione quinta di questa Corte (Cass. Sentenza n. 21797 del
20/10/2011) che, nel fare applicazione della disciplina di proroga della predetta
previsione di legge, ha ritenuto che:”In tema di agevolazioni fiscali, è illegittima la
disapplicazione da parte del giudice nazionale della norma dell’art. 63, comma 1,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui, rinnovando il regime di
incentivi alle assunzioni, mantiene ferma la disposizione di cui all’art. 7, comma 10,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che circoscrive il riconoscimento del credito di
imposta nei limiti della regola “de minimis” – e cioè nell’importo di Euro 100.000 nel
triennio, quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di stato non incorrono

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Il motivo è infondato e da respingersi.

nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87) del Trattato CE – sul presupposto che il beneficio
in questione non configuri un aiuto di Stato, in quanto incorre nella violazione della
normativa comunitaria il legislatore soltanto se concede aiuti di Stato in misura
eccedente alla regola “de minimis” e non se circoscrive, nell’ambito dei suoi legittimi
poteri discrezionali, benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate “per

La pronuncia impugnata ha fatto dunque corretta applicazione della norma nazionale
e non merita cassazione.
Consegue da ciò l’assorbimento del secondo motivo perché la pronuncia impugnata si
reggerebbe comunque su quella delle due rationes decidendi che è stata esaminata in
relazione al motivo anzidetto.
In definitiva, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta infondatezza.
Roma, 30 dicembre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa
non si è costituita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 9 ottobre 2013
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

relationem” rispetto a norme dell’ordinamento comunitario”.

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