Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25087 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 09/11/2020), n.25087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30715-2019 R.G. proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 48,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA RUSSO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato UMBERTO OLIVA;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO, 28, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO LIVIO ALESSI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO ALESSI;

– intimata –

e contro

D.M.E.F., C.M.M.A.,

D.M.M., M.V., rappresentate e difese dall’Avv.

Michele Fino, elettivamente domiciliate in Roma presso lo Studio

dell’Avv. Cristina Mancini, via Marianna Dionigi, n. 43;

– ricorrenti incidentali-

e contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO, 28, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO LIVIO ALESSI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO ALESSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 707/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

letta la requisitoria del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Soldi Anna Maria, che si è espresso per il parziale

accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e per il

rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Avverso la sentenza n. 707/2018 della Corte d’Appello di Lecce, pubblicata il 2 luglio 2018, ricorrono M.C. (con ricorso notificato il 19 ottobre 2018), formulando cinque motivi, ed D.M.E.F., C.M.M.A., D.M.M., M.V. (con ricorso notificato il 19 ottobre 2018), avvalendosi di due motivi. A quest’ultimo ricorso replica Sara Assicurazioni S.p.a.

La vicenda processuale è legata all’incidente stradale verificatosi l'(OMISSIS), sulla provinciale (OMISSIS), nel quale perdeva la vita D.M.T., trasportato a bordo del ciclomotore Piaggio, di proprietà di M.C., assicurato dalla Sara Assicurazioni e condotto da T.P..

La vittima decedeva presso l'(OMISSIS) in data (OMISSIS), a seguito delle gravi lesioni derivanti dall’urto violento contro il guardrail, provocato dall’uscita di strada del ciclomotore a bordo del quale viaggiava come trasportato.

I familiari della vittima – la madre, M.C., le sorelle, M.V., C.M.M.A., D.M.M., ed i fratelli, C.S. e D.M.C. – con più raccomandate sollecitavano il risarcimento dei danni alla compagnia di assicurazioni ed alla proprietaria del ciclomotore nonchè ai genitori di T.P..

Sara Assicurazioni, anzichè rispondere alle richieste citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, M.C. e i genitori di T.P., affinchè il giudice:

a) accertasse: 1) la responsabilità esclusiva del minore alla guida nella causazione dell’incidente; 2) il diritto di M.C. ad ottenere, a titolo risarcitorio, a tacitazione di ogni sua pretesa, Euro 45.000,00, quello di ciascun fratello della vittima a vedersi riconosciuta la somma di Euro 17.669,64; 3) il suo diritto di rivalersi, D.Lgs. n. 209 del 1995, ex art. 144, n. 2 in applicazione dell’art. 2.2., punto 6, delle norme che regolano le garanzie di responsabilità civile, nei confronti di M.C. e di T.P.;

b) dichiarasse estinto il diritto al risarcimento del danno spettante a M.C. ex art. 1241 c.c.

c)condannasse M.C., i genitori di T.P., T.A. e G.C. a corrisponderle in solido la somma di Euro 88.348, 30, da essa loro versata, ed al pagamento delle spese di lite.

In particolare, quanto alla domanda di rivalsa, Sara Assicurazioni, a suo supporto, adduceva di avere corrisposto a ciascuno dei fratelli della vittima la somma di Euro 17.669,64, così assolvendo al proprio obbligo risarcitorio, e di avere agito in rivalsa al fine di recuperare dette somme nei confronti di M.C., propria assicurata, ai sensi dell’art. 144, comma 2 CdA, e dei genitori del conducente, responsabili ai sensi dell’art. 2048 c.c., comma 1, e di non avere corrisposto alcunchè a M.C. per compensazione tra il credito di quest’ultima e quanto dovutole a titolo di rivalsa.

M.C., costituitasi in giudizio, eccepiva l’improcedibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza in fatto ed in diritto delle pretese della Sara Assicurazioni. In particolare, sosteneva che l’esercizio dell’azione di rivalsa doveva considerarsi improponibile, improcedibile o inammissibile, in assenza della previa instaurazione dell’azione diretta da parte dei danneggiati, sè compresa, e della estinzione dell’obbligazione principale e, in ogni caso, dell’avvenuto risarcimento integrale del danno, ed infondato, data la mancanza di prova della irregolarità del trasporto, del nesso di causa tra l’irregolarità del trasporto e il sinistro stradale, della verifica della sua responsabilità nella causazione del sinistro, della prova che l’evento di danno fosse da parte sua prevedibile/evitabile, della riconducibilità a sè di alcun inadempimento contrattuale.

S. e C.M.M.A., M.V. e D.M.M. chiedevano il rigetto delle domande attoree, oltre all’accertamento della loro improcedibilità ed inammissibilità.

T.A. e G.C., genitori di T.P., chiedevano ed ottenevano di essere autorizzati a chiamare in giudizio il Comune di Villa Castelli, cui veniva imputato di non aver approntato le necessarie misure di sicurezza sul tratto di strada interessato dall’incidente, perchè ne fosse accertata la responsabilità esclusiva e/o concorrente nella causazione del sinistro, e instavano per il rigetto, per infondatezza in fatto e in diritto, della domanda attorea nei loro confronti.

Il Comune di Villa Castelli, costituitosi in giudizio, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo di essere estromesso dal giudizio.

Il Tribunale di Brindisi, con sentenza n. 2112/2014, respingeva integralmente, giudicandole improponibili ed inammissibili, l’azione e la domanda di rivalsa formulate dalla società attrice, condividendo la tesi della necessità del previo esercizio dell’azione diretta da parte dei danneggiati, escludeva che l’autoliquidazione unilaterale delle somme operata dalla debitrice avesse estinto la sua obbligazione nei confronti dei danneggiati, considerando detta estinzione condicio sine qua non dell’esercizio dell’azione di rivalsa.

La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, investita del gravame, in via principale, da Sara Assicurazioni, e, in via incidentale, da M.C., dai fratelli della vittima, dai genitori di T.P. e dal Comune di Villa Castelli, accoglieva parzialmente l’appello principale e condannava in solido M.C., T.P., T.A. e G.C. a corrispondere all’appellante la somma di Euro 88.348,30, oltre agli interessi legali dal 3 marzo 2009 al saldo; dichiarava compensato, ex art. 1241 c.c., il credito vantato da M.C. nei confronti dell’appellante con il diritto di quest’ultima derivante dall’esercizio dell’azione di rivalsa; condannava M.C., P. e T.A. e G.C. a corrispondere a Sara Assicurazioni le spese del giudizio di appello; compensava le spese del grado tra le altre parti costituite.

La Corte d’Appello si pronunciava a favore dell’ammissibilità dell’azione di rivalsa, ritenendo che, a fronte di una formale richiesta risarcitoria nei confronti della impresa di assicurazioni, quest’ultima non dovesse attendere l’instaurazione del giudizio, ma potesse/dovesse eseguire la propria prestazione, entro il massimale di legge, pure in presenza di eccezioni derivanti dal contratto o di clausole relative all’eventuale contributo dell’assicurato a lei opponibili; che era stata accertata la responsabilità esclusiva del conducente minorenne nella causazione del sinistro, che i danneggiati non avevano spiegato domanda riconvenzionale per contestare il quantum debeatur, essendosi solo riservati di agire in altra sede, con la conseguenza che la somma pagata doveva considerarsi congrua, che l’improcedibilità rileva solo per i danni a cose, ma non per i danni alla persona, ostandovi l’unicità e l’infrazionabilità dell’azione.

Va dato atto che la trattazione della controversia, fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c. per il giorno 7 aprile 2020, rinviata d’ufficio per effetto della legislazione emergenziale relativa alla pandemia da coronavirus, è stata fissata per l’odierna adunanza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Stante il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza – a mente del quale: a) una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo; b) perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; c) fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale – e considerato che nel caso in esame, in cui i due ricorsi risultano essere stati notificati nella stessa data, questo Collegio individua quello di M.C. come ricorso principale, perchè depositato in data anteriore. Di conseguenza, quello proposto da D.M.E.F., C.M.M.A., D.M.M. e M.V. è da reputarsi ricorso incidentale.

Ricorso Principale di M.C..

2. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata per omessa pronuncia in merito all’eccezione di nullità e/o inammissibilità dell’atto di appello, asseritamente sollevata nella comparsa di costituzione e risposta in appello, riproposta nella comparsa conclusionale, nelle memoria di replica e nel foglio di precisazione delle conclusioni.

Nei suddetti atti difensivi la ricorrente afferma di aver lamentato l’assenza dei requisiti minimi di forma, prescritti a pena di inammissibilità dell’atto di appello dall’art. 342 c.p.c., non avendo l’appellante indicato il petitum immediato, cioè la riforma della sentenza impugnata, essendosi limitata a chiedere al giudice a quo di dare risposta alle domande formulate nell’atto di citazione di primo grado, e non avendo soddisfatto, avendo solo riprodotto pedissequamente l’atto di citazione in primo grado, la prescrizione richiedente la formulazione di specifici motivi di censura con l’indicazione delle corrispondenti parti della sentenza gravata di cui veniva chiesta la riforma. La Corte d’Appello, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., non si sarebbe pronunciata sulla eccezione così formulata.

Il motivo è inammissibile.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Peraltro, deve ritenersi che il thema decidendum nel giudizio di secondo grado sia delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex art. 342 e 434 c.p.c., per l’individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata; tuttavia, allorquando sia impugnata una sentenza di totale reiezione della domanda originaria, poichè il bene della vita richiesto non può che essere, in linea di massima, quello negato in primo grado, ovvero delimitato dagli stessi motivi di impugnazione così che, ove questi siano “specifici” e chiaramente rivolti contro le argomentazioni che avevano condotto il primo giudice al rigetto della domanda, va escluso che, pur in mancanza di conclusioni precise, possa ravvisarsi acquiescenza alla reiezione di essa, dovendosi ravvisare la riproposizione della domanda negli identici termini iniziali, con le eventuali delimitazioni evidenziate dalla specificazione dei motivi di gravame e dalla eventuale incompatibilità rispetto ad essi.

In aggiunta, ed in maniera ancor più conducente va rilevato che la Corte di appello avendo deciso l’accoglimento dell’appello, ha implicitamente ma inequivocamente rigettato l’eccezione, sollevata dagli appellati, di inammissibilità dell’appello. Comunque il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (principio pacifico e da ultimo ribadito da Cass. 04/03/2020, n. 6084).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 144, comma 2, secondo periodo, Cod. ass. e/o dell’art. 1299 c.c. e/o dell’art. 2697 c.c. e/o degli artt. 1223,1226,2056 e 2059 c.c. e/o degli artt., 100,112,115 e 116 c.p.c., per avere dichiarato procedibile, proponibile, ammissibile l’esercizio dell’azione di rivalsa da parte della Sara Assicurazioni, in assenza dei presupposti giuridici e di fatto. In particolare, la ricorrente lamenta che la decisione della Corte d’Appello contrasti con la giurisprudenza, secondo cui il diritto di rivalsa può essere esercitato dall’assicuratore solo a seguito dell’azione di danni esperita napropri confronti dal danneggiato per incidente stradale, non si sia fatta carico di ricostruire diversamente dal giudice di prime cure il quadro normativo di riferimento, abbia violato l’art. 1299 c.c., il quale legittima all’esercizio del regresso solo il condebitore solidale che abbia pagato l’intero debito, a meno che il condebitore non sia convenuto in giudizio e quindi promuova l’azione di regresso anticipata. Secondo la tesi formulata, dunque, Sara Assicurazioni non era legittimata a promuovere l’azione di rivalsa/regresso nè aveva interesse ad agire, non avendo eseguito per l’intero il pagamento nei confronti del danneggiato, estinguendo l’obbligazione.

A ritenere integrata tale condizione sostanziale e/o processuale non bastava a far ritenere congrui i pagamenti effettuati, perchè congruità non è sinonimo di integralità e perchè tutti i danneggiati avevano contestato il quantum liquidato, raffrontandolo almeno con i minimi tabellari.

Il motivo è infondato.

La premessa in iure del ragionamento della ricorrente è che l’azione di rivalsa sia riconducibile al genus dell’azione di regresso e sia sottoposta alle medesime regole operative.

In verità, si tratta di una assimilazione che non trova univoci riferimenti normativi, stante la innegabile polisemia del termine rivalsa e del termine regresso, accomunati da una finalità lato sensu recuperatoria, rappresentando entrambi strumenti a disposizione del solvens per rimuovere il depauperamento patrimoniale risentito. Nessuno dei due strumenti viene disciplinato come azione di carattere generale nel sistema del codice civile.

Può osservarsi infatti che, da punto di vista normativo, ricorre una pluralità di ipotesi del tutto eterogenee – regresso, rivalsa, pagamento con surrogazione – il cui unico denominatore comune risulta la ratio che le ispira, costituita dall’attribuzione al solvens di una facoltà di recuperare, secondo i casi, in tutto o in parte, quanto pagato. Infatti, non sempre il solvens è il titolare o il titolare esclusivo dell’interesse passivo sottostante l’obbligazione adempiuta, sicchè l’esercizio della facoltà di recuperare quanto corrisposto deve essere conformato alla specificità della fattispecie, sì da redistribuire il sacrificio patrimoniale fra i soggetti, in modo che ciascuno risponda in misura correlata al proprio interesse nella vicenda obbligatoria. In altri termini, volta per volta, l’esercizio della facoltà recuperatoria deve essere calibrato in modo da tener conto tanto del fatto che il solvens può avere eseguito nei confronti del creditore la prestazione dovuta posta “anche” a suo carico in quanto contitolare, allo stesso titolo o per titoli diversi, dell’interesse debitorio quanto dei casi in cui non vi sia coincidenza, bensì dissociazione, tra il titolare dell’interesse passivo ed il solvens, il quale interviene nella vicenda obbligatoria, eseguendo il pagamento dovuto da altri, per contratto o per legge.

Il regresso dunque può essere considerato lo strumento-prototipo utilizzabile dal solvens in chiave recuperatoria, ma questo non significa che l’esercizio in concreto di tale strumento debba essere sottoposto a regole operazionali che non tengano conto della diversità sotto il profilo funzionale delle fattispecie di riferimento. Nè deve trarre in inganno la promiscuità delle espressioni regresso e rivalsa, rectius: il loro utilizzo talvolta atecnico, dovendolo ritenere meramente descrittivo dell’effetto finale che si concretizza nel rendere reversibile il depauperamento patrimoniale del solvens; così come occorre avere ben chiaro che un conto è occuparsi della facoltà recuperatoria (diritto) altro dell’esercizio della medesima (azione).

A tal fine è utile ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte “l’azione di rivalsa presuppone che l’obbligazione gravante su un soggetto possa essere trasferita ad un terzo tenuto, per legge o per contratto, a rivalere il soccombente di quanto egli sia tenuto a pagare al creditore; la medesima non è pertanto ipotizzabile nel caso di più debitori tenuti in solido a risarcire il danno derivante da un fatto ad essi imputabile, in quanto ciascuno è obbligato nei confronti del danneggiato per l’intero, salva l’azione di regresso di colui che abbia corrisposto l’intero credito nella misura determinata”; di conseguenza, è stato ritenuto che debba escludersi la “possibilità di rivalsa in presenza di un’obbligazione risarcitoria di natura solidale, dal momento che eventuali azioni di regresso presuppongono l’avvenuto pagamento dell’intera somma liquidata a titolo di risarcimento da parte di uno solo degli obbligati solidali, dopo che sia stato accertato definitivamente il vincolo di solidarietà (…) in relazione alle peculiarità dell’illecito consumato ai danni dell’attore, dalla gravità delle rispettive colpe e dalle conseguenze da esse derivanti” (Cass. 20/06/2000, n. 8371).

Va aggiunto che questa Corte, di recente, occupandosi dell’azione di rivalsa nell’ambito della responsabilità sanitaria ha stigmatizzato la sua riconduzione all’azione di regresso senza differenze, facendo leva sulla necessità di distinguere le ipotesi di concorso tra responsabili senza colpa e colpevoli (Cass. 11/11/2019, n. 28987).

Altrettanto opportuno si rivela ricordare che proprio nel solco della distinzione tra diritto ed azione si colloca la tendenza ad equiparare l’esercizio del regresso al pagamento con surrogazione: molto esplicitamente è stato affermato che “l’azione di regresso spettante al debitore solidale che abbia effettuato il pagamento è in sostanza un’azione di surrogazione, mediante la quale egli subentra nei diritti del creditore soddisfatto nelle stesse condizioni di questo (Cass. 02/03/1973, n. 577; Cass.18/03/1982, n. 1762; Cass. 28/11/2019, n. 31062).

Tanto basta a ritenere che il ragionamento della ricorrente sia inficiato in iure dalla pretesa erronea che l’esercizio dell’azione di rivalsa dell’assicuratore debba essere ricondotto senza aggiustamento alcuno all’esercizio dell’azione di regresso spettante ad uno dei condebitori solidali e che perciò esso debba essere sempre subordinato all’estinzione dell’obbligazione; condizione, peraltro, tutt’altro che pacifica: cfr. in caso di parziale pagamento del debito solidale Cass. 13/02/2018, n. 3404, secondo cui il condebitore solvente, ove la somma pagata ecceda la sua quota nei rapporti interni, può esperire l’azione di regresso ex art. 1299 c.c. nei confronti degli altri condebitori e nei limiti di tale eccedenza, atteso che la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori, assumendo rilievo, al riguardo, il depauperamento del suo patrimonio oltre il dovuto ed il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori; in caso di esercizio del regresso prima dell’estinzione dell’obbligazione per Cass. 19/05/2008, n. 12691 il condebitore solidale, convenuto in giudizio dall’unico creditore, può promuovere l’azione di regresso di cui all’art. 1299 c.c. nei confronti degli altri coobbligati anche prima di aver pagato la propria obbligazione.

Non conducente è, invece, la pronuncia n. 382/1994 invocata dalla ricorrente in maniera inconferente a supporto della propria tesi, perchè essa ritiene “dovuto” il pagamento effettuato dall’assicuratore che prima aveva risarcito il danno al terzo trasportato e “poi” aveva tempestivamente proposto l’azione di rivalsa nei confronti dell’assicurato, deducendo che a carico del conducente della moto erano state accertate due violazioni di disposizioni di legge che comportavano la non operatività della garanzia assicurativa in quanto alla data del sinistro (a lui imputabile) egli non aveva ancora ottenuto la prescritta patente, ed inoltre perchè, pur non avendo ancora compiuto il diciottesimo anno di età, aveva guidato un motoveicolo di cilindrata fino a 125 cmc trasportando altra persona in violazione dell’art. 79 T.U. sulla circolazione stradale vigente all’epoca dei fatti.

Vanno invece valorizzati i profili che differenziano il diritto recuperatorio a favore dell’assicuratore da quello riconosciuto al condebitore solidale, partendo da quello dell’apprezzabilità dell’interesse dell’assicuratore ad adempiere, essendo egli esposto all’azione del creditore. L’assicuratore ha interesse al pagamento proprio come ogni debitore ha interesse a liberarsi dal vincolo; nè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio dell’azione di rivalsa può essere paralizzato dall’asserita incongruità della somma offerta, posto che rassicurato può formulare “tutte le possibili eccezioni in ordine alla sua responsabilità ed alla entità del risarcimento” (Cass. 12/10/2018, n. 25429, in motivazione, che ribadisce un orientamento consolidato): eccezioni che, come correttamente sottolineato dalla Corte territoriale, possono essere fatte valere anche stragiudizialmente. Tanto basta a privare di pregio l’argomento, anch’esso speso dalla ricorrente, secondo cui l’azione di rivalsa dovesse essere esercitata solo nel corso di un giudizio azionato dal danneggiato. In maniera espressa questa Corte ha rilevato che l’assicurato può intervenire nella procedura stragiudiziale, chiedere l’accesso agli atti e formulare mezzi di prova sulla dinamica e riguardo ai criteri di quantificazione del danno (Cass. 12/10/2018, n. 25429, cit.).

4. Con il terzo motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 144, comma 2 CdA e dell’art. 3 dir. 72/166/CEE, dell’art. 1 e dell’art. 2 della dir. 84/5/CEE e dell’art. 1 della dir. 90/332/CEE, ora art. 13 dir. 2009/13/CEE, dell’art. 2697 c.c. e/o dell’art. 100 c.p.c., avendo dato per presupposte la sua legittimazione passiva all’esercizio dell’azione di rivalsa e quella attiva della Sara Assicurazioni.

Il motivo è infondato. Tutto il ragionamento proposto ruota attorno al convincimento erroneo che la vicenda in corso di causa, ponendo il problema dell’esercitabilità dell’azione di rivalsa nei confronti della madre della vittima, che in quanto assicurata veniva a cumulare la veste di danneggiata avente diritto al risarcimento del danno da parte dell’assicurazione, potesse far prevalere la qualità di danneggiata su quella di assicurata, in linea con la giurisprudenza di questa Corte – sent. n. 19/01/2018, n. 1269 – che, facendo applicazione dei principi della giurisprudenza della Corte di Giustizia (così sintetizzabili: i. ai fini del diritto ad ottenere il risarcimento dall’assicuratore, la qualità di vittima – avente diritto al risarcimento prevale su quella di assicurato – responsabile. Ne consegue che, allorchè esse qualità si concentrino sulla medesima persona, la prima prevale sulla seconda e deve pertanto riconoscersi all’assicurato il diritto ad essere risarcito dalla compagnia assicurativa, come se si tratti di qualsiasi altro passeggero vittima dell’incidente; ii. ai fini della copertura assicurativa è irrilevante il fatto che la vittima si identifichi con il proprietario del veicolo (il quale, al momento del sinistro si trovi a viaggiare sullo stesso come passeggero, dopo avere autorizzato un’altra persona a mettersi alla guida), la cui posizione giuridica va assimilata a quella di qualsiasi altro passeggero vittima dell’incidente; iii. il diritto alla copertura assicurativa dell’assicurato-proprietario del veicolo che abbia preso posto nel medesimo come passeggero, non può essere escluso in ragione della sua corresponsabilità nella causazione del danno, salva, ovviamente, la necessità di tenere conto del suo eventuale concorrente comportamento colposo in funzione della diminuzione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227 c.c.; iv. la prevalenza della qualità di vittima-avente diritto al risarcimento sulla qualità di assicurato-responsabile rileva anche in relazione alla legittimazione passiva all’azione di regresso, eventualmente attribuita dalle disposizioni nazionali alla compagnia assicurativa, in funzione di consentirle di ottenere dall’assicurato il rimborso di quanto eventualmente pagato alla vittima a titolo di risarcimento; v. l’esclusione della legittimazione passiva all’azione di regresso dell’assicurato-responsabile, che sia anche vittima del sinistro, vale anche nell’ipotesi in cui l’assicuratore intenda opporre la clausola di esclusione dalla copertura assicurativa fondata sul fatto che il veicolo era condotto da persona non abilitata o in stato di ebbrezza, residuando tale legittimazione – soltanto nell’ipotesi in cui la vittima stessa fosse a conoscenza del fatto che il veicolo era stato rubato) ha inteso garantire alla vittima del sinistro, indipendentemente dal fatto che fosse proprietaria del veicolo, la quale al momento del sinistro viaggiava sullo stesso come trasportata, il diritto di ottenere dall’assicuratore il risarcimento del danno derivante dalla circolazione del mezzo.

Nel caso di specie, invece, M.C. era sì proprietaria del mezzo, ma non era rimasta coinvolta nell’incidente stradale. La sua qualità di vittima avente diritto al risarcimento del danno derivava infatti dal venir meno del rapporto parentale con il figlio deceduto nell’incidente, mentre era trasportato da terzi a bordo del mezzo di cui lei era proprietaria.

In altri termini, i principi di diritto di cui ha fatto applicazione Cass. n. 269/2018 non sono pertinenti, perchè non ricorrono i presupposti di fatto per la loro applicazione nella vicenda in corso, non potendosi dire che con l’azione di rivalsa l’assicuratrice mirasse a riversare il costo del sinistro su chi cumulava la posizione di vittima e di passeggero danneggiato.

Ne consegue l’infondatezza del motivo e l’assorbimento delle altre questioni ad esso collegate.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentati dai presupposti di fatto per l’esercizio dell’azione di rivalsa: trasporto irregolare, incidenza causale sul decesso di D.M.T., responsabilità dell’assicurata per inadempimento contrattuale.

Il motivo è inammissibile, in ragione delle caratteristiche e dei limiti del vizio dedotto nonchè degli oneri di allegazione da esso sottesi.

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto, in quanto il sindacato demandato a questa Corte non concerne l’esistenza di un logico e complessivo apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, non potendo oramai verificare l’adeguatezza o l’inconferenza fattuale delle argomentazioni di cui il giudice di merito si sia avvalso per formare il proprio convincimento.

Più che un vizio di motivazione sembra, d’altra parte, che la ricorrente lamenti l’omessa pronuncia su una propria eccezione che, indipendentemente dalla emendabilità dell’errore di sussunzione cui questa Corte potrebbe procedere d’ufficio, avrebbe richiesto, da parte dalla ricorrente, la prova dell’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito.

Peraltro, la decisione della Corte territoriale, pur non contenendo un’espressa statuizione sull’eccezione, contiene una motivazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione di rivalsa – va rilevata, osserva la Corte a p. 10, “in punto di fatto, la responsabilità esclusiva, nella causazione del sinistro, del conducente ( T.P.) ed, in quanto minore di età, dei genitori esercenti la potestà genitoriale sullo stesso ( T.- G.), i quali non hanno in alcun modo provato l’imputabilità dei fatti all’amministrazione comunale chiamata in manleva, quale proprietaria della strada sulla quale viaggiava il motorino” – che induce a ravvisarvi, risultando essa incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della sentenza, una statuizione di implicito rigetto dell’eccezione asseritamente non esaminata.

6. Con il quinto ed ultimo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 144, comma 2 CdA e dell’art. 3 dir. 72/166/CEE, dell’art. 1 e dell’art. 2 della dir. 84/5/CEE e dell’art. 1 della dir. 90/332/CEE, ora art. 13 dir. 2009/13/CEE, e/o dell’art. 1119 c.c. e/o dell’art. 2697 c.c. e/o degli artt. 1223,1226,2056 e 2059 c.c. e/o degli artt. 112,116 e 116 c.p.c., per avere esaminato ed accolto la domanda di rivalsa di Sara Assicurazioni in assenza di prova che il trasporto fosse irregolare e che avesse avuto incidenza causale sul decesso di D.M.T., senza la dimostrazione di alcuna responsabilità dell’assicurata per inadempimento contrattuale.

Erroneamente – come già censurato con il motivo numero tre – la Corte d’Appello avrebbe ritenuto legittimata passivamente all’esercizio dell’azione di rivalsa l’odierna ricorrente e, per contro, legittimata attiva Sara Assicurazioni, facendo leva sulla clausola 2.2. della polizza escludente la copertura assicurativa per i danni subiti da terzi trasportati, ove il trasporto non sia effettuato in conformità con le disposizioni vigenti e con la carta di circolazione. La decisione si sarebbe posta in contrasto con il diritto unionale indicato in epigrafe, come interpretato dalla Corte di Giustizia nelle pronunce Candolin (30 giugno 2008, C573/03), Churchill Insurance Company Limited (1 dicembre 2011, C-442/10), le quali hanno ritenuto che l’art. 2 della dir. 84/5/CEE, che impone agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinchè, a certe condizioni, le clausole di esclusione dell’assicurazione siano senza effetto nei confronti dei terzi vittime di un sinistro, debba essere interpretato nel senso di includere tra i terzi, cui sono inopponibili le cause di esclusione dell’assicurazione, i trasportati danneggiati ed i congiunti.

Anche questa Corte regolatrice, nella pronuncia n. 1269/2018, in un caso sovrapponibile a quello per cui è causa, facendo leva su tale giurisprudenza, avrebbe ritenuto che la chiamata in giudizio dei congiunti del passeggero/proprietario al fine di esercitare nei loro confronti l’azione di rivalsa di cui all’art. 144 CdA, adducendo l’esclusione della copertura assicurativa nel caso di sinistri causati da conducenti non abilitati alla guida o in stato di ebbrezza, non fosse ammissibile, perchè si sarebbe tradotta in una limitazione del diritto al risarcimento da parte del terzo danneggiato, a nulla rilevando la circostanza che il richiedente il risarcimento cumulasse la qualità di vittima/danneggiato e quella di proprietario/assicurato.

In subordine, la ricorrente fa istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, con sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo in corso, in ordine al se osti agli artt. le 2 dir. 84/5/CEE e all’art. 1 della dir. 90/232/CEE l’ammissione, da parte della legislazione degli Stati Membri, della legittimazione passiva della persona che cumuli il ruolo di contraente-assicurato e vittima in qualità di madre del trasportato deceduto a bordo del mezzo assicurato all’azione di rivalsa dell’assicuratore, il quale alleghi che il trasporto sia avvenuto irregolarmente e se detto riconoscimento comporti non solo l’esclusione del diritto al risarcimento del danno da parte di detto soggetto, ma anche il suo obbligo di reintegrare la compagnia assicuratrice delle somme corrisposte agli altri danneggiati.

Il motivo è assorbito per le ragioni derivanti dal rigetto del terzo motivo di ricorso.

Ricorso incidentale di D.M.E.F., C.M.M.A., D.M.M., M.V..

7. Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 199 c.c. e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144 nonchè degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello riformato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato improponibile l’azione di rivalsa esperita dalla Sara Assicurazioni.

Secondo le ricorrenti, stante che l’azione di rivalsa è strettamente connessa, per comunanza di titolo e per collocazione normativa, all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa assicuratrice del responsabile civile e poichè il suo petitum dipende dalla definizione dell’azione diretta, anche per ragioni di economia processuale, l’azione diretta dovrebbe precedere quella di rivalsa, potendo semmai la rivalsa esercitarsi, in senso anticipatorio rispetto al completamento dell’azione diretta, nel procedimento instaurato dal danneggiato. Nel caso di specie, in aggiunta, l’azione di rivalsa non avrebbe potuto esercitarsi anche per la estinzione dell’obbligazione asseritamente solidale e per l’avvenuto integrale pagamento del risarcimento dei danni ai danneggiati. La prospettazione delle ricorrenti si basa sull’orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’azione di rivalsa è inquadrabile nello schema dell’azione di regresso, per ciò al fine di esercitarla occorrerebbe avere estinto l’obbligazione solidale a carico del responsabile civile e della sua compagnia assicuratrice, da parte di uno dei condebitori solidali, cioè che il pagamento, nel caso di contestazioni circa il quantum, sia avvenuto in conformità ad una pronuncia giudiziale che abbia determinato il quantum debeatur, non potendo un’autoliquidazione unilateralmente operata dal debitore produrre l’effettivo estintivo dell’obbligazione risarcitoria.

Nè la Corte d’Appello, in assenza di una domanda della Sara Assicurazioni di contestazione della riserva di azione immediatamente formulata da tutti i danneggiati e/o di eccezione circa l’eventuale improponibilità di successive domande giudiziali di risarcimento, avrebbe potuto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, dichiarare che i danneggiati che non avevano svolto domanda riconvenzionale sarebbero andati incontro ad una dichiarazione di improponibilità della propria successiva domanda. Del tutto erroneamente la Corte d’Appello avrebbe richiamato il principio dell’infrazionabilità del credito, essendo evidente che i convenuti non avevano inteso frazionare la domanda risarcitoria, limitandosi a non spiegare nel giudizio in corso domanda riconvenzionale, e riservandosi di agire in altro giudizio per la tutela unitaria del proprio diritto di credito.

Il motivo contiene più censure: la prima è relativa all’improponibilità dell’azione di rivalsa. Essa è inammissibile, perchè i ricorrenti incidentali risultano carenti di interesse, atteso che detta azione non era stata proposta nei loro confronti e che l’eventuale accoglimento non potrebbe in alcun modo pregiudicarli.

La seconda censura riguarda, invece, i riflessi che la Corte d’Appello ha fatto discendere dalla mancata formulazione di una domanda riconvenzionale onde ottenere, a titolo risarcitorio, una somma maggiore di quella accettata quale acconto con riserva di agire per il recupero della differenza in un altro giudizio.

Sin da Cass. n. 28286/2011, si è osservato che il dovere di solidarietà, ex art. 2 Cost., e l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza permeano ormai i comportamenti dei consociati, anche in ambito processuale, e non possono ritenersi relegati al solo ambito privatistico. Sulla base di tali premesse – in un caso in cui criteri identificativi delle due domande consecutivamente proposte erano identici, così come identici erano il rapporto e il fatto illecito causativo del danno, e le conseguenze dannose si erano definitivamente materializzate, sia per i danni patrimoniali che non patrimoniali – la Corte ha quindi affermato che “non è giustificabile la disarticolazione della tutela giurisdizionale richiesta mediante la proposizione di distinte domande. E ciò, neppure con la riserva di far valere ulteriori e diverse “voci di danno” in altro procedimento, che l’attuale ricorrente aveva inserito nella domanda proposta con il primo giudizio.

La strumentalità di una tale condotta frazionata è (…) evidente, ma non è consentita dall’ordinamento che le rifiuta protezione per la violazione di precetti costituzionali e valori costituzionalizzati, concretizzandosi, in questo caso, la proposizione della seconda domanda, in un abuso della tutela processuale, ostativa al suo esame. (…).

Per le caratteristiche del caso in esame (…) il consentire un uso parcellizzato della tutela processuale colliderebbe con i principi ricordati, nel mutato, ed attuale, assetto dei valori costituzionali, cui deve necessariamente ispirarsi anche il processo civile”.

In linea con detta pronuncia, la successiva decisione n. 21318/2015 ha affermato che “In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito, lesivo di cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente innanzi al giudice di pace e al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale.

Un ulteriore profilo emerge da Cass., Sez. Un., n. 4090/2017, riguardo al problema della frazionabilità di crediti pecuniari (si trattava, nella specie, di più crediti derivanti da un unico rapporto di durata, ossia di lavoro subordinato). E’ stato affermato che “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, sebbene relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2”.

Come si evince da quest’ultima pronuncia (specie in motivazione), non solo non può giungersi ad una categorica affermazione del divieto di frazionamento dell’azione, occorrendo comunque valutare l’interesse del creditore che è posto alla base della scelta di agire in modo parcellizzato, ma, anche là dove ricorressero i presupposti di un abuso del processo, la conseguenza del rilievo non potrebbe essere quella fatta propria dalla Corte d’Appello. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, oltre all’eccezione della parte interessata, superabile con dimostrazione della sussistenza di un interesse rilevante ex art. 100 c.p.c., è data facoltà al giudice di rilevare d’ufficio la mancanza di una ragione idonea a giustificare la proposizione di distinte domande e stimolare il contraddittorio delle parti sul punto, fino a permettere al medesimo giudicante di procedere alla declaratoria di “improponibilità” della domanda.

In altri termini, il giudice d’Appello avrebbe potuto stimolare il contraddittorio sulla questione e rimettere in termini le parti, ove avesse ritenuto ricorrenti gli estremi dell’abuso del processo, ma non formulare un giudizio prognostico di improcedibilità di eventuali future domande.

Tale valutazione prognostica risulta, dunque, sicuramente errata e meritevole di correzione, ma non dà luogo ad un vizio che giustifichi la cassazione della sentenza, risultando ininfluente ai fini della definizione della controversia; perciò, il mezzo impugnatorio che lo propone va rigettato.

8. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Raggiunta dalla presente censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che i danneggiati non avessero, nel giudizio di appello, contestato l’ammontare delle somme ottenute a titolo risarcitorio, traendone la conseguenza che dette somme fossero congrue e che fosse ammissibile la originaria domanda dell’attrice.

Le ricorrenti, adempiendo alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, affermano di avere contestato la congruità delle somme con la comparsa di costituzione e risposta in appello, pp. 8 e 9, per avere ritenuto gli importi offerti di gran lunga inferiori a quelli loro spettanti sulla base delle tabelle in uso quanto al danno da perdita del rapporto parentale e per il fatto che la liquidazione non aveva tenuto conto del danno esistenziale.

Le ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 2697 c.c., ritenendo implicitamente provata la congruità delle somme liquidate da Sara Assicurazioni ai danneggiati, giacchè, pur non avendo formulato domanda riconvenzionale, essi avevano contestato la congruità di tali somme riservandosi azione in separato giudizio per ottenere il loro maggior credito, ponendo a carico della Compagnia assicuratrice l’onere di provare che le somme versate avessero garantito l’integrale risarcimento del danno.

Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha negato il diritto di far valere in altro giudizio la richiesta del danno nella misura effettivamente spettante ai ricorrenti principali. In altri termini, con la domanda formulata in giudizio le parti si riservavano di agire in altra sede per ottenere il dovuto, perciò non contestavano nel giudizio in corso la congruità delle somme. Questo è stato il ragionamento della Corte d’Appello che non è stato ben colto dai ricorrenti.

Nessun pregio ha, di conseguenza, la tesi secondo cui il loro contegno processuale, di accettazione delle somme offerte a titolo di acconto, avrebbe dovuto provocare un’inversione dell’onere delle prova, ponendo a carico dell’assicurato l’onere di provare la congruità dell’offerta. Il che in aggiunta sarebbe anche erroneo, essendo onere dell’assicurato formulare tutte le possibili eccezioni in ordine alla sua responsabilità ed alla entità del risarcimento, con conseguente assunzione del relativo peso probatorio (Cass. n. 25429/2018, cit.).

9. In definitiva, la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

10. Nei rapporti tra la ricorrente principale e quelR incidentali non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese di lite, non sussistendo soccombenza tra dette parti.

11. Compensa le spese tra le ricorrenti incidentali e Sara Assicurazioni, dato l’esito alterno dei giudizi di merito.

12 Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Nulla per le spese fra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali.

Compensa le spese tra le ricorrenti incidentali e Sara Assicurazioni, dato l’esito alterno dei giudizi di merito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quelle incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

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