Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25086 del 07/12/2016
Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 09/12/2015, dep. 07/12/2016), n.25086
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –
Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7701/2010 proposto da:
CIRCOLO RICREATIVO BALENA ISOLA SACRA, in persona del Presidente Pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA DON MINZONI 9,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che lo rappresenta e
difende giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DI ROMA (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1/2009 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,
depositata il 19/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/12/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato AFELTRA che ha chiesto
l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’avvocato FIORENTINO che ha chiesto
l’inammissibilità;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione tributaria della regione Lazio, con sentenza 19.1.2009 n. 1, ha rigettato l’appello proposto da Circolo ricreativo Balena Isola Sacra e confermato la decisione di prime cure che aveva accertato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Roma della Agenzia delle Entrate avente ad oggetto la determinazione, con metodo induttivo puro, del reddito d’impresa dell’ente associativo in quanto esercente attività commerciale di ristorazione al pubblico – e la liquidazione delle imposte dovute a titolo IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 1998.
La CTR ha ritenuto che correttamente il primo giudice non aveva esaminato le ulteriori questioni dedotte dall’ente con la memoria depositata il 24.1.2007 in primo grado, trattandosi di motivi nuovi come tali preclusi dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24. Nel merito ha ritenuto pienamente provate le circostanze di fatto rilevate dai verbalizzanti nel PVC in data 14.4.2005 che dimostravano l’effettivo esercizio di attività commerciale da parte dell’ente associativo.
La sentenza non notificata è stata ritualmente impugnata per cassazione dall’ente associativo, con un unico motivo concernente vizio di violazione di norma di diritto. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile avendo denunciato la parte ricorrente, con l’unico motivo di ricorso, il vizio di violazione dell’art. 198 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, senza corredarlo del necessario “quesito di diritto” richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile “ratione temporis”.
L’onere della formulazione del “quesito di diritto” a conclusione di ciascun motivo del ricorso per cassazione con il quale si denuncino i vizi di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-4), nonchè l’analogo onere di formulazione del “momento di sintesi” a conclusione del motivo di ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (“chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), sono infatti prescritti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto (e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d)).
Nella specie la sentenza della CTR del Lazio oggetto di ricorso per cassazione risulta pubblicata mediante deposito in segreteria in data 19 gennaio 2009, ricadendo pertanto il ricorso proposto dall’ente contribuente nell’ambito di efficacia della norma processuale sopra richiamata.
Qualora poi la caotica esposizione del motivo, che pare riferirsi ad una molteplicità di vizi di legittimità diversi (processuali, sostanziali, motivazionali) dovesse ritenersi comprensiva anche di una critica alla logicità degli argomenti svolti nella motivazione della sentenza, inerenti la valutazione delle risultanze istruttori, è appena il caso di aggiungere che, quanto al requisito della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione”, è stato chiarito da questa Corte che il complesso normativo costituito dall’art. 366 c.p.c., n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5 – nel testo risultante dalla novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, tenuto conto che il requisito di contenuto-forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio del diritto di accesso al Giudice nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimità della decisione, sicchè il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con lo scopo e con la funzione del giudizio per il quale è stato imposto come onere a carico della parte (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007; id. Sez. 3, Ordinanza n. 2652 del 04/02/2008). Ne segue che la illustrazione del motivo di ricorso, non coincide con la formulazione della indicazione riassuntiva e sintetica del vizio di legittimità, che costituisce un “quid pluris” rispetto alla specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8897 del 07/04/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 28242 del 18/12/2013).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016