Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25085 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 09/11/2020), n.25085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11378-2018 R.G. proposto da:

C.E., e CA.EL., in proprio e quali eredi di

CA.MA., rappresentati e difesi dall’Avv. Fabrizio Miracolo, con

domicilio eletto in Roma presso lo Studio dell’Avv. Lorenzo

Porcacchia, via B. Tortolini, n. 13;

– ricorrenti –

contro

F.R., e F.M., rappresentati e difesi

dall’Avv.to Nicola Romano, con domicilio eletto in Roma presso lo

Studio dell’Avv. Stefano Latella, via Tortona n. 4;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL

LAVORO, in persona del Direttore della Direzione Centrale Rapporto

Assicurativo, c.a., rappresentato e difeso dagli Avv.ti

Andrea Rossi, e Letizia Crippa, e presso lo Studio degli stessi,

elettivamente domiciliato in Roma, via IV Novembre n. 144;

– controricorrente –

e contro

S.M., in proprio e nella qualità di titolare della

responsabilità genitoriale nei confronti della minore

M.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Pietro Pecorini, con

domicilio eletto in Roma presso lo Studio dell’Avv. Alessio Lotti,

via Delle Milizie, n. 22;

– controricorrente –

e contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, già FONDIARIA SAI SPA, in persona del

procuratore, ca.an.ro., rappresentata e difesa dall’Avv.

Cesare de Fabritiis, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio

dell’Avv. Saverio Gianni, via Pompeo Magno, n. 3;

– controricorrente –

e contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, in persona di O.G., e T.N.T. TELE

NETWORK TECHNOLOGIES S.R.L., in persona del rappresentante legale

pro-tempore, G.M., rappresentate e difese dall’Avv.

Michelangiolo Panebarco, con domicilio ex lege presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

e contro

ALLIANZ SPA, già LLOYD ADRIATICO SPA, in persona del legale

rappresentante, Co.Pi.An., rappresentata e difesa dall’Avv.

Michele Clemente ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo

Studio di quest’ultimo, via Crescenzio n. 17/A;

– controricorrente –

e contro

M.A., M.F. e MI.CL.;

– intimati –

e contro

C.C., C.G. e C.U.;

– intimati –

e contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, già Milano Assicurazioni SPA;

– intimata –

e contro

GI.DO.;

– intimato –

e contro

SI.BR.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 369/2018 della Corte d’Appello di Firenze,

depositata il 14 febbraio 2018 e notificata il 16 febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 21 luglio

2020 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.A. (trasportato) e M.G. (conducente) decedevano per causa di un incidente stradale verificatosi in località (OMISSIS) il (OMISSIS).

L’incidente vedeva coinvolti più veicoli: l’Alfa Romeo, condotta da Gi.Do., assicurata con la Assicurazioni Milano, il Fiat Iveco, di proprietà di F.R., condotto da F.M., a bordo del quale erano trasportati F.R. e F.C., assicurato dalla Lloyd Adriatico, l’Opel Astra, condotta da Si.Br., assicurata con la Fondiaria Sai, oltre alla Citroen XSara, di proprietà di Tele Network Technologies S.r.l. (TNT S.R.L.), assicurata dalla Sara Assicurazioni, a bordo della quale si trovavano le due vittime decedute.

I congiunti C. – Ca.Ma., E., L., G., U. e C.C., rispettivamente, moglie, figli e fratelli di C.A. – convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze, M. e F.R. e la Lloyd Adriatico, la TNT S.R.L. e la Sara Assicurazioni, per sentirli condannare, ex artt. 2054 e 2055 c.c., al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in seguito al decesso del proprio congiunto, adducendo la responsabilità concorsuale dei conducenti dell’autocarro Iveco e della Citroen XSara.

TNT S.R.L. e Sara Assicurazioni, costituitesi in giudizio, contestavano la ricorrenza di ogni responsabilità a carico di M.G. nella causazione del sinistro e chiedevano il rigetto della pretesa attorea. TNT S.R.L., in aggiunta, domandava la condanna di R. e F.M. e della Lloyd adriatico al risarcimento del danno arrecato al mezzo di sua proprietà.

M. e F.R. negavano ogni loro responsabilità e indicavano Si.Br. e Gi.Do. quali unici responsabili dell’incidente.

Si costituivano in giudizio la Fondiaria SAI, assicuratrice dell’Opel Astra guidata da Si.Br., e Gi.Do. per negare ogni addebito.

La Milano Assicurazioni, assicuratrice dell’Alfa Romeo, condotta da Gi.Do., interveniva volontariamente per chiedere il rigetto della domanda formulata dai F. nei confronti del proprio assicurato.

Si costituiva anche la Lloyd Adriatico che chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Inail, di S.M. nonchè di A. e M.F., eredi di M.A., quali litisconsorti necessari ai fini del riparto proporzionale del massimale di polizza.

Si costituivano S.M., in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale nei confronti di M.M., e Mi.Cl., eredi di M.G., che, con domanda riconvenzionale, chiedevano di ottenere l’integrale risarcimento dei danni subiti per la perdita del congiunto.

Intervenivano volontariamente anche Inail, che precisava le somme corrisposte ai congiunti di M.G., vittima del sinistro in itinere, e F. e M.A., rispettivamente, sorella e fratello di M.G..

Si.Br. restava contumace.

Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1432/2016, riconosceva unico responsabile del sinistro F.M. che, in solido con il proprietario del mezzo e con la Lloyd adriatico Spa, veniva condannato a risarcire il danno non patrimoniale ai sette congiunti di C.A. (pari ad Euro 976.552,00), oltre al danno patrimoniale per le spese funerarie; non accoglieva la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da contributo alla famiglia perchè la vittima, da poco in pensione, aveva un lavoro precario ed occasionale e non erano state provate le sue future occasioni di lavoro. Disponeva altresì la condanna di F.M. e della sua compagnia assicuratrice al risarcimento del danno nei confronti di S.M., di M.M., di Mi.Cl. (pari ad Euro 577.284,00) e di A. e M.F. (pari ad Euro 160.000,00).

Il Tribunale ripartiva proporzionalmente, nei termini che seguono, il massimale messo a disposizione da Lloyd Adriatico tra i danneggiati vittoriosi, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 27: Euro 421.266,85 a favore dei congiunti C., Euro 249.029,85 a favore di S.M. e Mi.Cl., Euro 69.021,10 a favore di A. e M.F., Euro 35.682,20 a favore di Inail.

La sentenza veniva impugnata, in via principale, dagli eredi di C.A. che ne chiedevano la riforma: a) per aver ritenuto la esclusiva responsabilità di F.M. nella causazione del sinistro, escludendo quella di M.G.; b) per non avere accolto la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da perdita del contributo economico; c) per aver ripartito proporzionalmente la somma messa a disposizione da Lloyd Adriatico a titolo di massimale di polizza, suddividendola tra gli eredi C., gli eredi M. ed Inail.

In via incidentale proponevano appello anche M. e F.R., Sara Assicurazioni, S.M., quest’ultima in proprio e nell’interesse della figlia minore M.M., e TNT S.r.l.

I F. censuravano l’interpretazione del giudice di prime cure quanto al massimale di polizza.

S.M. sosteneva che il massimale di polizza dovesse essere aumentato di rivalutazione ed interessi e chiedeva di avvalersi della mala gestio propria in surroga dell’assicurato F.M..

TNT S.r.l. deduceva l’omessa/erronea valutazione delle prove documentali e la laconicità della motivazione, per avere il giudice di prime cure respinto la domanda risarcitoria del danno all’autovettura Citroen XSara, ritenendo che difettassero elementi utili per una sua valutazione anche equitativa, nonostante fosse stata fornita prova documentale della rottamazione, e disatteso la domanda avente ad oggetto il danno da fermo tecnico. Chiedeva, in aggiunta, di rimediare tramite correzione di errore materiale o riformando la sentenza alla omessa condanna di Lloyd Adriatico al pagamento delle spese di lite a suo favore.

Sara Assicurazioni lamentava, condizionatamente al riconoscimento di un concorso di colpa di M.G., l’ultra petitum sulla liquidazione a favore di Ca. e C., e l’eccessiva liquidazione dei danni non patrimoniali, sostenendo che la produzione di un certificato di convivenza non bastasse a provare la ricorrenza del legame affettivo.

La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 369/2018, prestava adesione alla ricostruzione del sinistro fornita dal CTU; di conseguenza, giudicava provato che:

a) il furgone Iveco aveva tamponato con l’angolo anteriore destro la parte posteriore sinistra della Opel Astra, facendola ruotare in senso orario e mandandola fuori strada sulla destra;

b) nel corso di questa rotazione l’angolo posteriore destro dell’Alfa Romeo era stato colpito dalla Opel Astra;

c) il furgone Iveco aveva sterzato verso sinistra, invadendo la opposta corsia di marcia e andandosi a scontrare con la Citroen in arrivo che si incuneava nel frontale del furgone e roteava in senso antiorario;

d) i due passeggeri a bordo della CITROEN decedevano e i tre occupanti del furgone IVECO riportavano lesioni personali.

Confermava l’esclusiva responsabilità di F.M. nella causazione del sinistro, reputando che l’Alfa Romeo si trovasse regolarmente al centro strada in attesa di svoltare a sinistra, che la Opel Astra fosse ferma al momento del primo tamponamento, e che quindi F.M. non avesse rispettato la distanza di sicurezza, non avesse esercitato un’azione frenante, non avesse adeguato la velocità di guida allo stato dei luoghi ed alla distanza di sicurezza. Nessuna responsabilità veniva ascritta al conducente della Citroen, M.G., perchè, indipendentemente dalla velocità tenuta non avrebbe potuto evitare l’impatto frontale.

Accoglieva parzialmente l’appello di TNT S.r.L. e condannava M. e F.R., in solido, al pagamento a titolo risarcitorio di Euro 8.450,00 pelli danni riportati dalla Citroen XSara; dichiarava inammissibile il gravame dei due F. per irritualità della domanda di manleva; dichiarava inammissibile l’impugnazione di TNT S.r.L. verso Lloyd Adriatico, ora Allianz, per improponibilità della domanda. Respingeva tutte le altre impugnazioni, con corrispondente conferma della sentenza di prime cure. Regolava le spese di lite e di CTU.

Affidandosi a tre motivi, illustrati con memoria, E. ed Ca.El., in proprio e quali eredi di Ca.Ma., ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

Resiste con controricorso S.M.; propongono controricorso altresì Sara Assicurazioni e TNT Tele Network Technologies S.R.L.

Resistono e propongono ricorso incidentale, basato su dieci motivi, R. e F.M.. Resistono con controricorso SARA Assicurazioni e TNT Tele Network Technologies S.R.L..

Inail, Unipolsai Assicurazioni nonchè Allianz Assicurazioni, con separati controricorsi, resistono al ricorso principale ed a quello incidentale. Allianz si avvale della facoltà di depositare memoria.

Va dato atto che la trattazione della presente controversia, fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. per il giorno 7 aprile 2020, dopo essere stata rinviata d’ufficio per effetto della legislazione emergenziale relativa alla pandemia da coronavirus, veniva fissata per l’odierna adunanza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale C..

1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 141, in combinato disposto con l’art. 145 C.d.S. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Giudice d’Appello escluso la responsabilità di M.G., conducente della Citroen.

In particolare, la Corte d’Appello non avrebbe considerato che il conducente della Citroen, indipendentemente dal rispetto del limite di velocità, non aveva adeguato la guida allo stato dei luoghi e alle circostanze di fatto; egli percorreva una strada stretta e segnalata come tale, si trovava in prossimità di una intersezione, sotto la pioggia battente, vi erano altre auto ferme sulla careggiata che avrebbe dovuto presumere intente a svoltare verso sinistra sì da intralciare le rispettive traiettorie di marcia, avrebbe dovuto scorgere il furgone Iveco che sopravveniva, stante il rettilineo.

Nè avrebbe tenuto conto che non era stato provato che avesse tentato la benchè minima manovra di emergenza e tantomeno della disfasia tra la velocità rilevata dal proprio CTU e quella individuata dal perito del PM nel giudizio penale di primo grado a carico di F.M..

Di conseguenza, non avrebbe fatto corretta applicazione delle norme del Codice della Strada, in particolare degli artt. 141 e 145, ma avrebbe violato l’art. 2054 c.c., il quale pone a carico dei soggetti coinvolti in un incidente stradale, una presunzione di corresponsabilità che può essere vinta in via diretta, provando di avere tenuto un comportamento del tutto conforme alle regole del Codice della strada, o, in via indiretta, dimostrando la responsabilità esclusiva del danneggiato.

Il motivo è inammissibile.

L’ubi consistam della censura, sebbene introdotta attraverso la denuncia di un error in iudicando, nella sostanza si risolve nella richiesta di una diversa valutazione della dinamica del sinistro e quindi delle condotte tenute dai soggetti coinvolti, al fine di far emergere la responsabilità del conducente del mezzo della TNT che la Corte d’appello aveva escluso, ritenendo accertato che egli non aveva superato i limiti di velocità, non era venuto meno all’obbligo di adeguare la velocità di guida allo stato dei luoghi, non poteva essergli rimproverato nulla quanto all’evitabilità dell’urto (pp. 19-20 della sentenza).

La rivalutazione degli accertamenti fattuali è estranea al perimetro del sindacato di legittimità perchè incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali; l’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi – evidentemente non graditi – al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con propri desiderata, rendendo, in ultima analisi, fungibile la ricostruzione dei fatti e le valutazioni di merito con il sindacato di legittimità avente ad oggetto i provvedimenti di merito.

2.Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, e della L. n. 990 del 1969, art. 27 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo ritenuto non adeguatamente provati i presupposti della richiesta avente ad oggetto i fatti costitutivi fatti valere con la domanda risarcitoria.

Secondo i ricorrenti, posta la condotta di guida non esente da colpa di M.G., per le ragioni enucleate con il precedente mezzo impugnatorio, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenerlo responsabile in solido con F.M. dei danni cagionati e ripartire il massimale della polizza a favore degli eredi M. solo dopo aver loro assicurato l’integrale risarcimento del danno.

Il motivo è assorbito dal mancato accoglimento del precedente mezzo di impugnazione, essendo le argomentazioni ivi sottese logicamente subordinate all’accoglimento della tesi che M.G. non fosse esente da responsabilità nella causazione dell’incidente mortale.

3. Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata di aver violato e/o falsamente applicato il combinato disposto dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere ritenuto adeguatamente provati i fatti costitutivi alla base della richiesta risarcitoria avente ad oggetto il danno patrimoniale costituito dalla perdita del contributo stipendiale del congiunto.

Nonostante la prova documentale che C.A., la vittima, avesse continuato, dopo il pensionamento, a prestare la propria attività lavorativa come tecnico con alta specializzazione nel montaggio di ripetitori televisivi e telefonici, percependo un corrispettivo mensile di Euro 3.000,00, la Corte d’Appello non avrebbe loro riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da lucro cessante, corrispondente alla perdita dell’apporto economico del congiunto per almeno altri 5 anni, presumendo che avrebbe continuato a lavorare almeno fino al raggiungimento del settantesimo anno di età.

Anche in questo caso la censura, sia pure deducendo un error in iudicando, invero neppure individuato, si rivolge contro un accertamento in fatto, operato dalla Corte d’Appello che si pretende di censurare con un’argomentazione, peraltro, contraddittoria: l’asserita prova documentale che la vittima continuasse a lavorare dopo il pensionamento – la Corte d’appello riferisce, a p. 21, che gli stessi impugnanti ammettevano che la prova documentale offerta non dimostrava l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente nè un impiego di lunga durata – e il fatto che egli lavorasse in nero. Non può che concludersi che le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito, dovendosi ribadire che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.

Ricorso incidentale F..

4. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale sollevata da INAIL nel proprio controricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. (p. 16).

Il Collegio ritiene che il controricorso soddisfi le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè consente di individuare il fatto sostanziale e processuale, le domande e le eccezioni formulate con le argomentazioni a supporto, le motivazioni della decisione di primo e di secondo grado.

L’eccezione non merita, dunque, accoglimento, e si può passare allo scrutinio dei singoli motivi formulati con il ricorso incidentale.

5. Con il primo motivo R. e F.M. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 183 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere ritenuto il giudice a quo inammissibile l’appello incidentale verso gli eredi M., TNT S.r.l. e Sara Assicurazioni, per irritualità della domanda di manleva, basandosi sull’erroneo presupposto della tardività della domanda, proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado.

La Corte d’Appello avrebbe ritenuto inammissibile la domanda di manleva erroneamente, giacchè essa sarebbe stata proposta, ex art. 183 c.p.c., u.c., con la memoria autorizzata, riportata nel ricorso al fine di soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Essa sarebbe, invece, secondo la prospettazione dei ricorrenti, in linea con quanto stabilito dalle Sezioni unite di questa Corte, sent. n. 12310/2015, che consente di apportare modifiche alla domanda originaria, formulando domande nuove, conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto, nonchè domande modificate e domande precisate. Ebbene, nel caso di specie, la domanda di manleva era stata formulata in risposta alla domanda riconvenzionale proposta nei loro confronti dagli eredi di M.G. – riportata anch’essa nel ricorso – e avrebbe dovuto essere ammessa.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, vi è carenza di interesse a proporlo, poichè la Corte d’Appello ha escluso ogni responsabilità del M. nella causazione del sinistro.

In secondo luogo, la questione dell’astratta ammissibilità della domanda di manleva va risolta proprio sulla scorta della decisione a Sezioni Unite del 2015 (Cass. 15/06/2015, n. 12310), richiamata dai F., che è opportuno sintetizzare nei suoi snodi argomentativi essenziali. Tale pronuncia si è fatta carico di un resettaggio delle “pre-cognizioni in materia, onde sgombrare il campo di analisi da preconcetti e suggestioni linguistiche prima ancora che giuridiche, soprattutto con riguardo ad espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei mantra ripetuti all’infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato”. Ciò ha portato al superamento della “coppia retorica emendatio/mutatio libelli e della connessa convinzione di ammissibilità della prima ed inammissibilità della seconda”. La giurisprudenza, infatti, era solita ammettere le modificazioni della domanda introduttiva non incidenti nè sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o sulla qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) nè sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere) ed a giudicare inammissibili, per contro, quelle modificazioni della domanda che dessero luogo ad una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, per diversità e/o ampiezza del petitum o della causa petendi.

Sulla scorta del nuovo corso giurisprudenziale, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., devono ritenersi oggi non ammesse solo le domande che si “aggiungono” alla domanda proposta nell’atto introduttivo, cioè quelle che sono “altro” da quella domanda; sono, ex adverso, ammesse le domande “modificate” non perchè non possono incidere sul petitum e sulla causa petendi, ma perchè non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”. Insomma, si ritiene che il legislatore abbia consentito, prima dell’inizio della trattazione della causa, “correzioni di tiro” e cambiamenti anche rilevanti per non frustrare la funzionalità del processo e dei suoi valori fondanti.

Chiarito il quadro dei principi giurisprudenziali applicabili alla fattispecie in esame, questo Collegio osserva che i ricorrenti non hanno fornito a questa Corte, come imponeva loro il principio consacrato nell’art. 366 c.p.c., n. 6, gli elementi necessari per verificare se fosse intenzione dei ricorrenti aggiungere la domanda di manleva nei confronti dei M. a quella inizialmente formulata ovvero la sostituisse, modificandola nei termini chiariti, cioè quelli ammessi dall’indirizzo giurisprudenziale inaugurato da questa Corte con la pronuncia n. 12310/2015.

Il che rende il mezzo impugnatorio inammissibile anche sotto tale profilo, giacchè non mette questa Corte nella condizione di verificare l’esatto contenuto della domanda di manleva, rispetto alla domanda precedentemente formulata, e di trarne le conclusioni in ordine alla sua ammissibilità.

6. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la sentenza gravata osservato il principio di mancata contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., omettendo di ritenere provato il sorpasso dell’autocarro Iveco da parte dell’Opel Astra, l’improvviso rientro della OPEL Astra che quindi aveva tagliato la strada al furgone, l’improvviso arresto della Opel Astra in modo obliquo dietro l’Alfa Romeo che si era improvvisamente fermata al centro della strada per svoltare a sinistra, senza l’uso degli indicatori di direzione.

Nessuna delle controparti avrebbe contestato in tempo utile, cioè con le memorie di replica ex art. 183 c.p.c., u.c. – che sono riportate nel ricorso al fine di soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 – nè successivamente tale ricostruzione dell’incidente; ciò avrebbe dovuto essere interpretato dal giudice a quo quale accondiscendenza alla narrata dinamica con la conseguenza di ritenere implicitamente pacifici i fatti non contestati, seppure non specificamente provati.

6.1. Va disattesa in via preliminare l’eccezione di inammissibilità del motivo formulata nel controricorso proposto da Unipolsai Assicurazioni (p. 12) per avere i ricorrenti incidentali proposto in sede di legittimità una questione non dedotta nei precedenti gradi di giudizio, in quanto la violazione in questione è imputata alla Corte d’Appello, perciò non poteva essere dedotta precedentemente.

Il motivo, ad ogni modo, non merita accoglimento, perchè il principio di contestazione serve a delimitare il thema probandum, escludendo dal relativo perimetro i fatti non controversi, cioè le circostanze di fatto allegate dall’attore a sostegno della sua pretesa non contestate o non contestate specificamente.

Ebbene, nella vicenda per cui è la causa la ricostruzione della dinamica dell’incidente ha fatto sempre parte del thema probandum, essendo la stessa tutt’altro che pacifica. E’ sufficiente rilevare quanto riportato nel ricorso incidentale a p. 32, a proposito della memoria della Fondiaria Sai S.p.A., nella parte in cui denuncia la infondatezza della ricostruzione del sinistro operata dai F., con una contestazione specifica che rinviava alla ricostruzione della dinamica dell’incidente operata dagli agenti intervenuti sul posto dopo il sinistro e nella relazione peritale svolta in sede penale.

Mette conto aggiungere che il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato e non anche in relazione a fattispecie che richiedono un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull’evento e sul pregiudizio a carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al thema probandum come disciplinato dall’art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice (Cass. 19/08/2019, n. 21460).

7. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2700 c.c., artt. 101,115,116,246 c.p.c. e artt. 2 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere ritenuto prevalenti le dichiarazioni rese dai terzi chiamati in causa, Si.Br. e Gi.Do., verbalizzate dai carabinieri di Altamura rispetto agli altri elementi di prova di segno antitetico – CTU, la mancata comparizione a rendere l’interrogatorio formale – pur essendo state rese senza il contraddittorio e in violazione dell’art. 246 c.p.c., in quanto Si.Br. e Gi.Do. risultavano titolari di un interesse che avrebbe legittimato la loro partecipazione al giudizio.

7.1. Va dato atto dell’eccezione di inammissibilità del motivo per cumulo di censure sollevate dal controricorso di Unipolsai (p. 15).

La tesi rappresentata fa leva sul fatto che la proposizione di motivi multipli o cumulativi – in questo caso la dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – viola la specificità del motivo d’impugnazione nei casi in cui, come in quello di specie, nell’ambito della parte argomentativa del ricorso non sia possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure.

E’ opportuno rilevare che la giurisprudenza di questa Corte, pur indirizzata verso un approccio sostanzialistico che esclude l’inammissibilità del motivo solo perchè con esso siano dedotte plurime censure, riconducibili a differenti categorie logiche, reputa necessario che le argomentazioni a supporto del motivo indichino con chiarezza le doglianze proposte onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ed enucleati (così Cass., Sez. Un., 31/03/2009, n. 7770).

Nel caso di specie, in verità, non è in questione la mera inestricabilità dell’iter argomentativo, che rende impossibile distinguere quanto rilevi ai fini del censurato error in iudicando e quanto invece sia ascrivibile ad un error in procedendo; vengono infatti in considerazione:

a) la totale assenza di argomentazioni riconducibili al dedotto error in procedendo, il quale è stato sì indicato nell’epigrafe del mezzo impugnatorio, ma non risulta affatto coltivato, sì da fornire a questa Corte, dopo averla sollecitata a verificare se vi era stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito e a giudicare il fatto processuale, gli elementi per procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo, di cui è stata denunciata la violazione;

b) la genericità del motivo quanto alla violazione delle nome di diritto indicate, in quanto il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa, introdotto attraverso specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16/01/2007, n. 828).

Esaminando la sostanza delle censure mosse alla sentenza impugnata, se ne conclude che esse risultano quasi per intero orientate a contestare l’apprezzamento delle risultanze probatorie e quindi sconfinano in un ambito che è sottratto allo scrutinio di legittimità, in quanto incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali. La valutazione delle emergenze probatorie, la prevalenza attribuita ad alcune prove a scapito di altre, il giudizio sull’attendibilità dei testimoni sono tutte attività ascrivibili alla competenza del giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità, se non sotto il profilo del difetto di motivazione.

Più specificamente, l’errore attribuito alla sentenza gravata, consistente nell’avere negato efficacia confessoria alle dichiarazioni rese ai carabinieri da Si.Br. e Gi.Do. nell’immediatezza dei fatti per la loro mancata comparizione all’interrogatorio formale, è frutto in parte di una erronea percezione della ratio decidendi del provvedimento impugnato e in parte di un error in iure alla base delle prospettazioni formulate. In primo luogo, va chiarito che l’art. 232 c.p.c., a differenza dell’effetto automatico di ficta confessio ricollegato a tale vicenda dall’abrogato art. 218 codice di rito, riconnette al comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. 09/09/2014, n. 19883; Cass. 26/04/2013, n. 10099; Cass. 12/07/2018, n. 18342). Su tale questione questa Corte ha costantemente affermato che la mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio formale costituisce fatto processuale che permette in via inferenziale di ritenere ammessi i fatti che formano oggetto di interrogatorio, purchè concorrano anche altri elementi (Cass. 14/11/2003, n. 17249). La disposizione dell’art. 232 c.p.c. non ricollega, infatti, automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Cass. 14/02/2007 n. 3258; Cass. 10/03/2006, n. 5240).

Ed è esattamente quanto ha fatto il giudice a quo che, dopo aver richiamato le conseguenze astrattamente riconducibili alla mancata risposta all’interrogatorio formale, ha escluso in concreto, valutando l’intero compendio probatorio, che nel caso di specie fossero integrati gli elementi per ritenere ricorrenti gli effetti della confessione (p. 16 della sentenza). Rientrava, dunque, tra i poteri discrezionali del giudice del merito il ritenere, o no, come ammessi, valutando ogni altro elemento probatorio, i fatti dedotti nel mezzo istruttorio. L’esercizio di tali poteri sfugge a ogni possibilità di sindacato da parte di questa Corte. L’inciso contenuto nell’art. 232 c.p.c. – secondo il quale il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, se la parte non si presenta o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo valutato ogni altro elemento di prova – implica, in altri termini, che la mancata risposta, se non equivale a una ficta confessio, può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c.), il quale può trarre motivi di convincimento in tale senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche dalla mancata proposizione di prove in contrario. Ciò significa che il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio formale non reso non se confermati solo da prove dirette (altrimenti l’interrogatorio sarebbe superfluo), ma anche utilizzando, per l’appunto, elementi di prova di carattere meramente indiziario.

In concreto, il Giudice d’Appello ha escluso di poter ritenere raggiunta la piena prova a carico di Si.Br. e Gi.Do. della segnalazione tardiva dell’intenzione di svoltare a sinistra da parte dell’Alfa Romeo, del rapido rientro della Opel in corsia tagliando la strada all’autocarro dopo il sorpasso ad oltre 100 km orari e con frenata a fari spenti, della manovra di emergenza dell’autocarro, come preteso dai ricorrenti incidentali, spiegandone le ragioni: mancata conferma dei fatti dedotti nell’interrogatorio formale con le dichiarazioni rese dai contumaci ai carabinieri nell’immediatezza dei fatti, mancata proposizione di prove contrarie, attesa la contraddittorietà e l’inverosimiglianza della deposizione di F.C., contrastante con circostanze di fatto, le tracce lasciate dai veicoli (p. 15 della sentenza).

8. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2054,2727,2729 c.c. e art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza di appello violato il principio della responsabilità concorrente, di cui all’art. 2054 c.c., relativamente ai conducenti dell’Opel Astra e dell’Alfa Romeo.

La Corte d’Appello, pur dopo aver accertato la responsabilità di F.M., prima di ritenerlo l’esclusivo responsabile, avrebbe dovuto verificare se il comportamento alla guida di Si.Br. fosse stato irreprensibile, giacchè egli aveva eseguito un sorpasso su carreggiata stretta e problematica, con striscia di mezzeria continua, per poi repentinamente rientrare a seguito dell’improvvisa frenata dell’Alfa Romeo, condotta da Gi.Do., e, infine, svoltare a sinistra, riducendo ai danni del furgone Iveco lo spazio per evitare collisioni.

Il motivo è inammissibile.

La censura non riguarda affatto la violazione o falsa applicazione delle norme epigrafe, si risolve invece in una contestazione della ricostruzione della dinamica dell’incidente e dei comportamenti ascritti ai conducenti dei mezzi coinvolti. La Corte territoriale ha escluso ogni responsabilità a carico del conducente dell’Opel Astra (p. 16 della sentenza) con un accertamento di fatto puntuale e analiticamente motivato, insuscettibile di essere rimesso in discussione, non potendosi considerare quello di legittimità come un terzo grado di merito (valgono le stesse considerazioni già espresse per disattendere il motivo numero uno del ricorso principale, da intendersi qui richiamate).

9. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice a quo omesso la valutazione di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dall’assenza di tracce di frenata sull’asfalto per il manto stradale bagnato dalla pioggia.

Il motivo è inammissibile perchè formulato e prospettato senza il soddisfacimento degli oneri di allegazione che avrebbero dovuto supportarlo: indicazione del fatto storico asseritamente omesso, il dato testuale o extratestuale da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando nel quadro processuale sia stato discusso dalle parti, la decisività. Ciò non consente di attribuire al fatto omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass., Sez. un., 07/04/2014, n. 8053 e successiva giurisprudenza conforme).

10. Con il sesto motivo i ricorrenti ritengono che il giudice a quo sia incorso nella violazione dell’art. 2054 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del principio della concorrente responsabilità in capo a M.G., conducente della Citroen, non avendo accertato se egli avesse fatto tutto il possibile per evitare la collisione, rallentando all’incrocio, adeguando la guida alla condizione dei luoghi.

Il motivo riproduce le argomentazioni del motivo n. 2 del ricorso principale e ne condivide le sorti.

11. Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 652 c.p.p., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4, per non avere considerato l’efficacia di giudicato esterno della sentenza penale della Corte d’Appello di Bari n. 1019/2013, divenuta irrevocabile il 16 luglio 2014, che, avendo assolto F.M. con la formula perchè il fatto non costituisce reato, avrebbe contenuto uno specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto o l’impossibilità di attribuirlo all’imputato.

Il motivo è infondato.

Ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) c.p.p., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2; inoltre l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perchè il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall’esito del processo penale (ex plurimis cfr. Cass. 11/03/2016, n. 4764).

In aggiunta, come precisato dal Collegio di merito, la decisione era stata da questa Corte annullata, sia pure ai soli effetti civili, con rimessione alla Corte d’Appello territorialmente competente (p. 12 della sentenza) e questa circostanza non era stata neppure riferita dai ricorrenti.

12. Con l’ottavo motivo i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo interpretato il contratto di polizza del 21 luglio 2003, relativamente al massimale per persona, senza indagare la comune intenzione delle parti ed il loro comportamento complessivo dopo la conclusione del contratto in relazione alla volontà di estendere la garanzia.

La censura è oltremodo generica ed imprecisa e ciò contrasta con i caratteri di specificità che deve possedere il motivo cassatorio, richiedendo allo stesso che si articoli nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo, giacchè chi vuol sostenere che la decisione è erronea deve indentificare l’errore e fornirne la rappresentazione. Trattandosi poi di un tentativo di censurare l’attività interpretativa di una clausola contrattuale, deve, in aggiunta, rilevarsi che la contestazione non si confronta affatto con la giurisprudenza di questa Corte, ferma nel ritenere che quella del giudice non debba essere l’unica interpretazione possibile, ma solo una delle interpretazioni possibili e che oggetto di censura non può essere l’esito dell’attività ermeneutica, bensì il percorso interpretativo, scandito dalla violazione dei canoni ermeneutici, seguito dal giudice a quo per approdare a detto risultato. E’ evidente che nel caso di specie i ricorrenti censurano appunto l’approdo interpretativo, opponendogliene confusamente uno diverso, ma non l’utilizzo dei canoni ermeneutici per addivenire alla decisione. Se ne conclude che è stata prospettata una censura insufficiente e generica e non basta a colmare tale genericità il richiamo al comportamento anche successivo delle parti, rappresentato da una lettera con cui le parti avrebbero ribadito che il massimale dovesse intendersi riferito per ogni persona lesa o deceduta, atteso che, a tacer d’altro, non si comprende quale contributo chiarificatore nel senso voluto dai ricorrenti potrebbe essere riconosciuto a detta lettera.

13. Con il nono motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 194,195,196 c.p.c., dell’art. 101c.p.c., artt. 2 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere ritenuto nulla la CTU per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

La censura riguarda la consegna da parte del CTU di un file nativo modificabile del foglio Autocad che avrebbe reso impossibile da parte del CTP procedere ad una verifica e/o ad un confronto dei valori proposti dal CTU, in quanto il formato pdf non sarebbe gestibile con un normale programma di disegno Autocad.

Il motivo è inammissibile.

A p. 20 la sentenza ha dato atto che la richiesta del consulente di parte ricorrente di avere nella propria disponibilità un file modificabile è stata soddisfatta, pertanto il CTP Ma. così come il CTP To. avevano avuto a disposizione tutti i dati per elaborare un proprio Autocad di ricostruzione del sinistro. Inoltre, ha osservato che si non poteva far passare per un vizio di contraddittorio la mancata messa a disposizione di un programma di proprietà del CTU.

Tale circostanza di fatto e la motivazione correlata, quando all’inesistente violazione del contraddittorio, non sono state neppure prese in considerazione dai ricorrenti, la cui censura risulta, pertanto, quantomeno incapace di individuare l’errore denunciato.

14. Con il decimo ed ultimo motivo l’ricorrenti imputano alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non aver considerato le lacune e gli errori dell’indagine tecnica, pur ritualmente sollevati.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, a p. 19, ha dato atto che la CTU Ottati aveva risposto puntualmente alle osservazioni critiche dei CTP, replicando con dati, documenti e calcoli alla mano, senza che le parti avessero saputo contrastare tecnicamente nel merito le risposte fornite, se si escludono estrapolazioni dal contesto di spezzoni di frasi per desumerne lacune argomentative ed errori inesistenti.

Perciò nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata che non si è limitata a fare proprie le risultanze della CTU, ma ha dato contezza del fatto che il consulente avesse replicato a tutte le precise e circostanziate critiche dei consulenti tecnici di parte. Con ciò il giudice a quo ha adempiuto agli obblighi su di lui incombenti di indicare le fonti di convincimento senza necessità di soffermarsi sulle contrarie deduzioni del consulente di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese in quanto incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono pertanto in mere allegazioni difensive che non possono configurare il vizio denunciato.

15. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile ed il ricorso incidentale deve essere rigettato.

16. Stante la reciproca soccombenza, vanno integralmente compensate le spese di lite fra ricorrenti principali e ricorrenti incidentali; ai controricorrenti Sara Assicurazioni e TNT S.r.l., che hanno proposto distinti controricorsi nei confronti dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, vanno liquidate distintamente le spese di resistenza dovute da ciascuna parte ricorrente; le spese liquidate a S.M., in proprio e nella qualità indicata, vanno poste a carico dei ricorrenti principali, avverso i quali è stato svolto il controricorso; ai controricorrenti Allianz, Unipolsai Assicurazioni e Inail, che hanno resistito con un unico controricorso al ricorso principale e a quello incidentale, vanno liquidate una sola volta le spese di resistenza, che, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., comma 1, primo periodo, vanno poste a carico delle due parti ricorrenti in proporzione del rispettivo interesse nella causa, da ritenere paritario; ciascuna parte ricorrente va pertanto condannata al pagamento della metà delle spese liquidate a ognuna delle predette controricorrenti.

17. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti principali e di quelli incidentali l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale.

Compensa, in ragione della reciproca soccombenza, le spese processuali tra i ricorrenti principali e quelli incidentali.

Condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese di lite in favore di S.M., in proprio e nella qualità indicata, e di Sara Assicurazioni e TNT S.r.l., liquidandole, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Condanna i ricorrenti incidentali al pagamento delle spese processuali in favore di Sara Assicurazioni e TNT S.r.l., liquidandole in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Liquida le spese di lite in favore delle controricorrenti INAIL e Unipolsai in Euro 8.000,00 per compensi e quelle della controricorrente Allianz in Euro 10.000,00 per compensi; il tutto oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; pone il pagamento di detti importi a carico, per metà ciascuna, della parte ricorrente principale e di quella ricorrente incidentale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

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