Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25083 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/11/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 09/11/2020), n.25083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19472-2019 proposto da:

D.C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUIGI MERCURIO;

– ricorrente –

contro

ACI GLOBAL SPA UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 19,

presso lo studio dell’avvocato CARLO DE PORCELLINIS, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 526/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Nella presente causa si discute della legittimità del recesso esercitato da Aci Global S.p.A. dal contratto per l’attività di recupero di autovetture in panne, intercorso con D.C.E., che ha chiamato la Aci Global dinanzi al Tribunale di Lecce, chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

Il Tribunale ha rigettato la domanda con sentenza poi confermata in grado d’appello.

La Corte d’appello di Lecce ha condiviso la qualificazione del contratto operata dal primo giudice, il quale aveva escluso che, nella specie, fossero riscontrabili gli estremi della subfornitura, tesi fatta valere dal D.C. per far discendere la nullità del recesso stesso, in quanto intimato senza concedere congruo preavviso. In relazione alle ulteriori contestazioni dell’appellante, il quale aveva insistito per l’ammissione delle prove richieste in primo grado e non ammesse dal tribunale, la corte di merito ha ritenuto le istanze di prova irrilevanti. Le prove richieste, infatti, erano intese a dimostrare che il D.C. aveva ricevuto rassicurazioni verbali in merito alla continuazione del rapporto nonostante l’intimato recesso, laddove, secondo la corte di merito, la revoca del recesso, al pari del recesso, doveva rivestire la medesima forma scritta usata per il contratto. La corte d’appello ha aggiunto che le richieste di intervento, inoltrate da Aci dopo il recesso, non potevano ritenersi sintomatiche della volontà di proseguire il rapporto contrattuale, essendo rimaste sporadiche ed eccezionali ed essendo configurabili richieste di interventi occasionali anche in assenza di impegni contrattuali.

Per la cassazione della sentenza il D.C. ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

Aci Global S.p.A. ha resistito con controricorso.

La causa, su conforme proposta del relatore, è stata fissata per la trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema Corte.

La controricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo (“violazione e falsa applicazione della L. n. 192 del 1998, artt. 1, 6, 9, e dell’art. 116 c.p.c.”), investe la qualificazione del rapporto data dai giudici di merito. Si sostiene che, ai fini della stessa qualificazione, occorreva considerare che l’attuale ricorrente aveva sostenuto i costi per munirsi di automezzi per prestare il servizio di soccorso. Egli, inoltre, era stato costretto a predispone locali adeguati. Non si era poi tenuto conto di specifiche previsioni contrattuali, in particolare di quelle che imponevano le regole per la prestazione del servizio, che deponevano univocamente nel senso della subfornitura.

Il motivo è inammissibile. Risulta con chiarezza dalla sintesi della censura che, sotto la veste della violazione di legge, si deduce piuttosto che, nella qualificazione del rapporto, si doveva tenere conto di circostanze di fatto non considerate dalla sentenza impugnata. La censura andava quindi proposta diversamente. Essa si doveva dirigere in via specifica contro l’interpretazione del contratto data dal giudice di merito, che non avrebbe tenuto conto di circostanze rilevanti a tal fine. Si deve ancora avvertire che non occorre, nel caso in esame, interrogarsi sulla possibilità della diversa qualificazione della censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo applicabile nella specie l’art. 348-ter c.p.c., u.c., in presenza di c.d. doppia conforme.

Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 232 c.p.c.), si rimprovera alla corte di merito di non avere considerato le risultanze istruttorie, le quali deponevano univocamente nel senso della revoca del recesso, non potendosi annettere alcuna rilevanza alla forma utilizzata per la revoca. Si rimprovera ancora alla corte di merito di non avere considerato la mancata risposta del legale rappresentante di controparte all’interrogatorio formale. Si censura inoltre la valutazione del significato attribuito nella decisione alle richieste postume di intervento.

Il motivo è fondato nei limiti in cui si censura l’affermazione della corte di merito secondo cui la revoca del recesso, al pari del recesso, deve rivestire la medesima forma scritta usata per il contratto, con assorbimento delle restanti censure. Invero, nella valutazione della vicenda, la corte di merito è stata in effetti guidata dalla supposizione di un tale principio, che non trova riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte, la quale pacificamente ammette che la continuazione del rapporto dopo il recesso possa risultare anche da comportamenti concludenti (Cass. n. 24336/2013; n. 9317/2016).

Non è vero quanto si legge nella memoria della controricorrente, secondo cui la censura in esame denuncia un vizio motivazionale, pretendendo il D.C. in sede di legittimità una diversa valutazione degli elementi istruttori. Infatti, la corte di merito ha ritenuto irrilevanti le prove richieste dall’attuale ricorrente, dirette a dimostrare le rassicurazioni verbali ricevute in merito alla continuazione della collaborazione, non in ragione di una valutazione sostanziale della loro efficacia probatoria nella situazione concreta, ma le ha ritenute irrilevanti a priori, per la carenza del supposto requisito formale occorrente per la revoca del recesso. Tale errata premessa, nella consequenzialità del ragionamento del giudice d’appello, non può non inficiare la ulteriore valutazione, apparentemente autonoma, sul significato delle richieste di intervento successivo. Tali richieste sono state ritenute compatibili con la cessazione del rapporto, ma pur sempre nella prospettiva che la continuazione non potesse risultare da comportamenti concludenti.

E’ appena il caso di rilevare, infine, che la rubrica del motivo, incentrata sulla violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., non ne impedisce la diversa qualificazione, in presenza di una univoca denuncia dell’errore di diritto commesso dal giudice di merito (Cass. n. 7891/2007n. 14026/2012; n. 1370/2013).

Il secondo motivo, pertanto, nei limiti sopra indicati va accolto e il giudice di rinvio dovrà rivalutare la vicenda in applicazione del principio di cui sopra.

La corte di rinvio dovrà poi provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo; dichiara inammissibile il primo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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