Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25083 del 07/12/2016
Cassazione civile sez. trib., 07/12/2016, (ud. 09/12/2015, dep. 07/12/2016), n.25083
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –
Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4429/2010 proposto da:
TACCONI SPA in persona dell’Amm.re Unico, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA COLLEGIOVE 65, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE
CIAMARRA, rappresentato e difeso dagli avvocati CECILIA ELEONORA
ESTRANGEROS, ANGELO VACCARO, giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PAVIA, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 53/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,
depositata il 25/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/12/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione tributaria della regione Lombardia, con sentenza in data 25.5.2009 n. 53, ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio di Pavia della Agenzia delle Entrate ed in totale riforma della decisione di prime cure ha dichiarato legittima la cartella di pagamento notificata a TACCONI s.p.a., avente ad oggetto le maggiori imposte accertate a titolo IVA, IRPEG ed IRAP per gli anni 2000 e 2001 rilevando che, in difetto di pagamento di tutte le rate nei termini prescritti dalla legge, non si era perfezionato il condono richiesto dal contribuente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis.
La società contribuente ha impugnato la sentenza di appello, chiedendone la cassazione, in quanto affetta da vizi attinenti ad error in judicando e omessa od insufficiente motivazione.
La Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile avendo denunciato la parte ricorrente il vizio di violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (primo motivo), nonchè il vizio di omessa od insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo motivo), senza corredarli, rispettivamente, del necessario “quesito di diritto” e della “chiara sintesi del fatto controverso” richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile “ratione temporis”.
L’onere della formulazione del “quesito di diritto” a conclusione di ciascun motivo del ricorso per cassazione con il quale si denuncino i vizi di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-4), nonchè l’analogo onere di formulazione del “momento di sintesi” a conclusione del motivo di ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (“chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), sono infatti prescritti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto (e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d)).
Nella specie la sentenza della CTR della Lombardia oggetto di ricorso per cassazione risulta pubblicata mediante deposito in segreteria in data 25 maggio 2009, ricadendo pertanto il ricorso proposto dalla società contribuente nell’ambito di efficacia della norma processuale sopra richiamata.
In particolare, quanto al requisito della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione” è stato chiarito da questa Corte che il complesso normativo costituito dall’art. 366 c.p.c., n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5 – nel testo risultante dalla novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, tenuto conto che il requisito di contenuto-forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio del diritto di accesso al Giudice nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimità della decisione, sicchè il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con lo scopo e con la funzione del giudizio per il quale è stato imposto come onere a carico della parte (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007; id. Sez. 3, Ordinanza n. 2652 del 04/02/2008). Ne segue che la illustrazione del motivo di ricorso, non coincide con la formulazione della indicazione riassuntiva e sintetica del vizio di legittimità, che costituisce un “quid pluris” rispetto alla specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8897 del 07/04/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 28242 del 18/12/2013).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.500,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016