Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25080 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.23/10/2017),  n. 25080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20916-2016 proposto da:

GRUPPO CALVI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonchè C.C., C.F.,

C.R., C.V., elettivamente domiciliato in ROMA

piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PALLADINO;

– ricorrenti –

contro

DOBANK S.P.A. (denominazione assunta da UniCredit Credit Management

Bank S.P.A.) quale mandataria della società UNICREDIT S.P.A., in

persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE SANTO n.52, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

BACCARI, rappresentata e difesa dall’avvocato DEOSDEDIO LITTERIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2401/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Gruppo Calvi s.p.a. impugnava la sentenza del Tribunale di Napoli con cui era stato revocato il decreto ingiuntivo opposto da essa appellante e con cui la medesima era stata condannata al pagamento della somma di Euro, 33.333,00.

Nel costituirsi, la banca eccepiva l’inammissibilità del gravame: affermava di aver notificato la sentenza impugnata in data 16 ottobre 2014, sicchè la notificazione dell’appello, intervenuta il 13 marzo 2015, doveva ritenersi tardiva.

La Corte di Napoli, con sentenza pronunciata in data 15 giugno 2016, dichiarava inammissibile l’appello. Rilevava che la sentenza era stata notificata agli appellanti presso il difensore già costituito in primo grado, avv. Iorio, e che, anche a ritenere che avesse avuto luogo la costituzione di un nuovo procuratore, nella persona dell’avv. Palladino, la notifica della sentenza fatta a uno solo dei due co-difensori era idonea a far decorrere, in danno della parte, il termine per l’impugnazione. Il giudice del gravame, a fronte del dato per cui la sentenza era stata notificata presso lo studio dell’avv. Pilato, a mani di B.G., qualificatosi come incaricato alla ricezione degli atti, osservava che nella fattispecie ricorreva una presunzione juris tantum circa la qualità dichiarata: presunzione che non poteva ritenersi superata dalla dichiarazione di non aver conferito alcun incarico al soggetto cui l’atto era stato consegnato, in quanto detta dichiarazione proveniva da chi aveva interesse alla invalidazione della notifica.

2. – Contro detta pronuncia Gruppo Calvi ha proposto un ricorso per cassazione basato su di un unico motivo, accompagnato da memoria. Resiste con controricorso Unicredit.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., e per erronea sussunzione della fattispecie in esame nell’art. 139, comma 2 e non nel comma 4 dello stesso articolo. Secondo la ricorrente il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto che non fosse stata fornita una prova contraria alla presunzione juris tantum operante nella fattispecie. Osserva, in particolare, che B.G., quale portiere, non aveva dichiarato espressamente di essere stato incaricato dal destinatario alla ricezione degli atti giudiziari. Oppone, altresì, che tra gli addetti dovevano essere considerati i soggetti che frequentassero abitualmente lo studio professionale: cosa che non poteva affermarsi per il portiere dello stabile in cui il predetto studio era ubicato. Rammenta, inoltre, come le dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale notificante possano essere sempre contestate, quanto alla veridicità del loro contenuto sostanziale, e che la controparte nulla aveva opposto, limitandosi a dedurre la regolarità della notifica nel domicilio eletto.

2. – Il motivo è inammissibile.

Va osservato che il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Infatti, nell’ipotesi in cui il portiere di un condominio riceva la notifica della copia di un atto qualificandosi come “incaricato al ritiro”, senza alcun riferimento alle funzioni connesse all’incarico afferente al portierato, ricorre la presunzione legale della qualità dichiarata, la quale per essere vinta abbisogna di rigorosa prova contraria da parte del destinatario, in difetto della quale deve applicarsi il comma 2 (e non il 4) dell’art. 139 c.p.c. (Cass. 26 ottobre 2012, n. 18492; Cass. 24 novembre 2005, n. 24798; Cass. 27 ottobre 2000, n. 14191): a tal fine, è stato precisato, non costituisce prova contraria idonea a superare la presunzione relativa al possesso, da parte del ricevente la notifica della sentenza di appello, della dichiarata qualità di soggetto incaricato della ricezione dell’atto, e non di mero portiere dello stabile, la dichiarazione resa dal destinatario della notifica di non aver conferito tale incarico, in quanto proveniente dallo stesso soggetto che aveva interesse alla invalidazione della notifica (Cass. 24 novembre 2005, n. 24798 cit.).

Rispetto a tale principio non vale opporre che il contenuto delle dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale notificante possa essere validamente contestato, giacchè ciò che viene in questione, ai fini che qui interessano, è proprio l’assenza di riscontri idonei a superare la presunzione di veridicità della dichiarazione dell’agente modificatore.

L’assunto della ricorrente, secondo cui, poi, il consegnatario della sentenza non avrebbe dichiarato di essere stato incaricato della ricezione degli atti per conto del destinatario è anzitutto priva di autosufficienza, in quanto l’istante non riproduce, nel ricorso, il contenuto della relazione di notifica; esso è, comunque, non concludente, posto che quel che rileva è la presenza, nella relata stessa, dell’attestazione in questione: attestazione che la medesima istante rileva essere documentata attraverso una timbratura (pagg. 9 e 10 del ricorso). E’ qui il caso di ricordare che poichè la relata di notifica costituisce un atto pubblico, in quanto proviene da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, le attestazioni di essa, inerenti alle attività direttamente svolte dall’ufficiale giudiziario, e al contenuto estrinseco delle dichiarazioni da lui ricevute, fanno piena prova fino a querela di falso.

Quanto all’affermazione della società istante per cui il portiere non avrebbe avuto alcun rapporto diretto e fiduciario con l’avvocato domiciliatario, essa non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata, giacchè la Corte di appello ha osservato che per superare la presunzione che il consegnatario sia stato incaricato della ricezione degli atti diretti al destinatario della notifica non fosse sufficiente la prova dell’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o il riscontro che il consegnatario dell’atto fosse alle dipendenze esclusive di un terzo, essendo altresì necessario dimostrare che il medesimo non fosse addetto ad alcun incarico per conto e nell’interesse del destinatario nell’ambito dello stesso stabile: affermazione, questa, pure conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5 marzo 2014, n. 5220; Cass. 10 gennaio 2007, n. 239). Non comprensibile risulta essere, da ultimo, la deduzione secondo cui Unicredit “nulla ha contestato”: infatti, l’odierna controricorrente non aveva nulla da contestare, avendo essa interesse a che fosse accertato giudizialmente il perfezionamento della notificazione della sentenza.

Non è infine tempestiva la deduzione secondo cui il procedimento notificatorio sarebbe viziato per la mancata attestazione, da parte dell’ufficiale giudiziario, dell’assenza o mancanza di altri soggetti abilitati alla ricezione. Tale censura, che nelle massime citate dalla difesa dell’istante è comunque riferita al portiere, e non all’incaricato della ricezione, è infatti formulata solo nella memoria; è da osservare, in proposito, che nel ricorso l’istante si è limitata ad assumere – seppur implicitamente – che nel caso di notifica perfezionata attraverso la consegna dell’atto all’incaricato alla ricezione, non gravasse sull’ufficiale giudiziario alcun obbligo di ricerca delle altre persone preferenzialmente abilitate (pagg. 12 s.).

3. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti perchè parte ricorrente versi l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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