Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25075 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 08/10/2019), n.25075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10438/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Preca Brummel Spa, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo

Basilavecchia e dall’Avv. Massimo Fabio, con domicilio eletto presso

l’Avv. Piero Sandulli in Roma via F. Paolucci dè Calboli, n. 9,

giusta procura speciale in calce al controricorso nonchè procura

speciale in calce alla memoria ex art. 380-bis c.p.c.;

– controricorrente –

e

B. & C. Srl Trasporti Internazionali, rappresentata e difese

dall’Avv. Massimo Basilavecchia e dall’Avv. Massimo Fabio, con

domicilio eletto presso l’Avv. Piero Sandulli in Roma via F.

Paolucci dè Calboli, n. 9, giusta procura speciale in calce al

controricorso nonchè procura speciale in calce alla memoria ex art.

380-bis c.p.c.;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 187/07/2013, depositata il 10 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2019

dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Preca Brummel Spa, nella qualità di importatore, e B. & C. srl Trasporti Internazionali, nella qualità di dichiarante doganale, impugnavano gli avvisi di rettifica del valore dichiarato e gli atti di contestazione delle sanzioni, emessi dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli per dazi ed Iva in relazione all’avvenuta importazione di capi di abbigliamento dalla Cina nell’anno 2008, sul presupposto che fosse stato indebitamente dichiarato all’importazione il valore di una vendita antecedente, e che non fosse stato ricompreso nella dichiarazione il valore dei diritti di licenza dei loghi e marchi apposti sui capi di abbigliamento importati.

Le ricorrenti eccepivano violazioni formali degli atti e sostenevano, nel merito: -) di avere legittimamente indicato nella dichiarazione doganale il prezzo della precedente vendita, a ciò facultati dal Reg. CEE n. 2454 del 1993, art. 147, (in sigla DAC); -) che non sussistevano le condizioni di legge per l’inclusione dei diritti di licenza nell’imponibile doganale.

La Commissione Tributaria Provinciale respingeva i ricorsi avverso gli avvisi di rettifica, ed accoglieva quelli avverso gli atti di irrogazione delle sanzioni. A seguito di appello delle contribuenti e dell’Agenzia relativamente ai capi della decisione loro rispettivamente sfavorevoli la Commissione Tributaria Lombardia riformava totalmente la sentenza di primo grado, accogliendo l’appello delle società e rigettando quello dell’Agenzia.

Quest’ultima ricorre per cassazione per cinque motivi. Resistono le contribuenti con separati controricorsi, fra loro del tutto sovrapponibili, e depositano memoria unica ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. La ricorrente Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non ha depositato in atti la relazione di notificazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale impugnata, pur affermando nel ricorso di averne ricevuto notifica il 24 febbraio 2014. Tale deposito è previsto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2). Il tenore letterale della norma non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, come già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. U. ordinanze 16/04/2009 nn. 9004 e 9005), trattandosi di adempimento che corrisponde ad esigenze obbiettive delle gestione del processo di cassazione, la cui razionalità è stata già verificata dalla giurisprudenza di legittimità anche nell’ottica del rispetto dei principi costituzionali. Perciò detta causa di improcedibilità può essere rilevata dalla Corte anche in mancanza di specifico rilievo da parte del contro ricorrente circa l’inosservanza del termine breve per la proposizione del ricorso.

1.1. La giurisprudenza più recente ha attenuato il rigore nella interpretazione della norma, affermando che la pronunzia di improcedibilità non deve essere emessa nel caso in cui il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte o perchè la documentazione sia stata acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio. In tal caso, infatti, le ragioni della tempestiva conoscenza, che avevano sorretto la lettura rigorista, cedono alla verifica di ragionevolezza delle regole del procedimento e di proporzionalità della sanzione.

Nel caso qui in esame, tuttavia, il documento mancante non risulta prodotto dalle contro ricorrenti nè allegato al fascicolo d’ufficio.

2. Sussiste pertanto un vizio processuale che ha carattere preliminare, e rende perciò superfluo l’esame di tutte le questioni prospettate dalle parti. Consegue la dichiarazione di improcedibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, come appresso liquidate, in favore delle controparti, in ragione dell’attività processuale svolta.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso improcedibile e condanna la ricorrente Agenzia al pagamento delle spese di questo grado di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila) complessivi per ciascuna delle società convenute, altre spese forfettarie in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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