Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25073 del 07/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25073 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA

sul ricorso 11897-2011 proposto da:
BRUSCIANO LOREDANA C.F. BRSLDN69H56A512K, domiciliata
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato FERRARA RAFFAELE, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
2776

contro

CENTRO AGRO AVERSANO DI FKT S.R.L., C.F. 01629800614,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,

Data pubblicazione: 07/11/2013

presso lo studio dell’avvocato DI PAOLO LUCA,
rappresentata e difesa dall’avvocato CASTIGLIONE
FRANCESCO, giusta delega in atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 6340/2010 della CORTE

9151/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato FERRETTI ANNAMARIA per delega
CASTIGLIONE FRANCESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/10/2010 R.G.N.

R. Gen. N. 11897/2011
Udienza 2/10/2013
Loredana Brusciano c/ Centro Agro
Aversano s.r.L di F.K.T.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello, giudice del lavoro, di Napoli, in accoglimento
dell’impugnazione proposta dal Centro Agro Aversano s.r.l. di F.K.T. e in riforma

proposta da Loredana Brusciano intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del
licenziamento intimatole in data 21/6/2006 e la conseguente condanna della società
alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
Riteneva la Corte territoriale che il licenziamento fosse stato intimato per una
definitiva impossibilità della prestazione in ragione della mancanza in capo alla
Brusciano dei requisiti soggettivi e cioè dei titoli che abilitassero la dipendente a
svolgere l’attività di masso-kinesiterapia. Riteneva, in particolare, che la Brusciano
non avesse fornito la prova di possedere un titolo che la abilitasse, in base alla
previsione di cui al d.lgs. n. 502/1992, all’iscrizione ad un albo professionale o
all’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo e
che, quanto alla disciplina sopravvenuta di cui alla legge n. 42/1999 (cui era stata
data attuazione con il decreto interministeriale 20/7/2000), solo i massofisiopterapisti
in possesso di un diploma conseguito all’esito di un corso triennale potessero vantare
un titolo equipollente al diploma universitario richiesto per legge (situazione questa
non sussistente nel caso della Brusciano, in possesso solo di un diploma biennale).
Per la cassazione di tale sentenza Loredana Brusciano propone ricorso affidato a
quattro motivi.
Resiste con controricorso il Centro Agro Aversano s.r.l. di F.K.T. che ha anche
depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE

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della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, rigettava la domanda

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Udienza 2/10/2013
Loredana Brusciano c/ Centro Agro
Aversano s.r.L di F.K.T.

1. Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia violazione del
principio di immodificabilità dei motivi di licenziamento per aver la Corte di merito
esteso il thema decidendum, che afferiva alla sola presunta mancanza dei requisiti

particolare, al possesso del titolo biennale e non triennale, come sostenuto dalla
società. Assume che, diversamente dal motivo indicato nella lettera di licenziamento,
in sede di giudizio, a suffragio del provvedimento, sono state poste circostanze
diverse, quali eventuali provvedimenti della ASL sulla cui scorta il centro avrebbe
dovuto operare una riduzione di personale.
2. Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 11 cod. civ., 1 legge
n. 403/71, art.6, co. 3, d.lgs. n. 502/92 come modif. dall’art. 7, co. 3 d.lgs. n. 517/93,
art. 9 legge n. 341/90, d.m. 27/7/2000, artt. 1, 2, 3, per aver la Corte di merito
erroneamente interpretato la modifica legislativa, in tema di professioni sanitarie,
riferita solo all’acquisizione, da parte dei nuovi diplomandi, dei relativi titoli
specialistici, senza incidere su posizioni lavorative ultradecennali già acquisite da
lavoratori assunti in base al possesso dei titoli richiesti dalla precedente normativa.
Assume, in particolare, la mancanza di divieti ex lege all’espletamento della
professione in base alla precedente normativa, sulla base della previsione dei titoli
biennali ad esaurimento, del principio di irretroattività della legge che non può
regolamentare ex novo un rapporto sorto precedentemente con la previsione di una
causa di risoluzione fondata sul possesso di requisiti diversi da quelli previgenti (il
possesso del diploma biennale anziché triennale). Assume che la legislazione di
riforma delle professioni sanitarie non ha riordinato altresì la figura del
massofisioterapista e, invocando all’uopo, giurisprudenza amministrativa

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soggettivi necessari all’espletamento delle mansioni di massofisioterapista e, in

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pronunciatasi in tal senso anche quanto alla conservazione dei relativi corsi di
formazione, conclude che il massofisioterapista biennale ha un titolo abilitante, non
costituisce ad esaurimento ma di profilo valido su tutto il territorio nazionale.

cod. civ.), la ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia
considerato che non era stata fornita alcuna prova in ordine ad indicazioni
provenienti dalla Regione Campania o dalle aziende sanitarie circa l’obbligo, per i
centri convenzionati, di condizionare il mantenimento in servizio del personale al
possesso del titolo abilitante (diploma di massofisioterapista conseguito all’esito di
un corso triennale) richiesto dalla società intimata e ad eventuali negative
conseguenze in punto di rimborsi, onde l’attività professionale ben poteva ancora
svolgersi ad esaurimento, salva la possibilità di conseguire, in costanza di rapporto, il
titolo triennale.
4. Con l’ultimo motivo, la ricorrente lamenta, infine, violazione della legge n. 604
del 1966, artt. 3 e 5, ed, al riguardo, osserva che non era stata esaminata, né
comunque provata, l’impossibilità di utilizzare la ricorrente in altre mansioni.
5. I motivi non sono meritevoli di accoglimento alla stregua dei precedenti
specifici di questa Corte di legittimità (sentenze n. 8050 del 22 maggio 2012; n.
13239 del 28 maggio 2013), cui il Collegio intende dare continuità.
6. Il primo motivo è infondato.
Al riguardo basta osservare che la censura che con tale motivo si introduce
appare del tutto generica, laddove la precisa ragione giustificativa della decisione si
rinviene, in coerenza con le motivazioni del recesso esercitato dal datore di lavoro e
con i poteri di qualificazione giuridica devoluti al giudice dell’impugnazione,

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3. Con il terzo motivo, deducendo ancora violazione di norme di legge (art. 1464

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nell’esistenza di una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione di
lavoro, derivante dalla mancanza in capo alla lavoratrice, per effetto di disposizioni
normative sopravvenute, del titolo professionale necessario per l’esercizio

sulla funzionalità della relativa organizzazione di lavoro.
Nessuna indebita conversione dei motivi del licenziamento (che, intimato per
mancanza di un requisito soggettivo, sarebbe stato confermato per ragioni inerenti
alla sfera organizzativa dell’impresa) è, pertanto, ravvisabile, avendo, piuttosto, la
Corte territoriale valutato il recesso alla luce dei criteri normativi previsti dall’art.
1464 cod. civ., e, quindi, alla luce di un criterio prognostico circa la possibile ripresa
della funzionalità del rapporto senza significativi pregiudizi per l’organizzazione del
datore di lavoro.
7. Anche il secondo motivo è infondato.
Giova, al riguardo, rammentare come, secondo l’insegnamento di questa
Suprema Corte, il vizio di violazione di legge deve svolgersi nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del giudice del merito, della fattispecie astratta
recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa, in coerenza con la funzione di garanzia dell’uniforme
interpretazione della legge assegnata alla Corte di legittimità, mentre l’allegazione di
una presunta erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze
di causa, si rivela estranea all’esatta interpretazione della legge e rientra nella tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità,
solo attraverso il vizio di motivazione (v., ex multis, Cass. 18375/2010).

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dell’attività lavorativa richiesta dal datore di lavoro e come tale idonea ad incidere

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Ciò precisato, deve osservarsi come il ricorso, dopo aver passato in rassegna le
disposizioni normative nel caso pertinenti, non specifica (se non per il profilo
dell’irretroattività della legge) sotto quale aspetto la ricognizione della fattispecie

interpretazione legale, sì da rendere l’interpretazione offerta irriducibile al contenuto
precettivo della norma.
Ed, al riguardo, basta osservare come la ricorrente assuma che la lettura della
disciplina normativa fatta propria dalla Corte di merito contrasti con la sentenza del
Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 5225 del 2007, sulla quale, invece, si fonda,
condividendone il contenuto, la decisione impugnata.
Ha, infatti, rilevato il Consiglio di Stato, escludendo l’illegittimità del D.I. 27
luglio 2000, il quale annovera fra i titoli equipollenti al diploma universitario di
fisioterapista di cui al D.M. n. 741 del 1992 il diploma di massofisioterapista, solo se
conseguito all’esito di un corso triennale, che una corretta interpretazione della legge
n. 42 del 1999, art. 4, commi 1 e 2, di cui il decreto citato costituisce attuazione,
porta a disattendere un’impostazione secondo cui tutti i titoli preesistenti devono
essere riconosciuti come equipollenti ai diplomi universitari di nuova istituzione.
Nell’esaminare, infatti, la disciplina prevista dalla citata legge. n. 42 del 1999, la

astratta, operata dalla Corte di merito, appaia incompatibile con i criteri di

quale ha disciplinato in modo innovativo e con riferimento a tutte le professioni
sanitarie (già definite come “ausiliarie”) il passaggio dal vecchio ordinamento al
nuovo regime, fondato sul previo conseguimento del diploma universitario, ha
osservato il Consiglio di Stato che l’equipollenza può operare in via automatica solo
se il relativo diploma sia stato conseguito all’esito di un corso già regolamentato a

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livello nazionale, e cioè solo in presenza di moduli formativi la cui uniformità ed
equivalenza fosse già stata riconosciuta nel regime pregresso.
Nel caso dei massofisioterapisti la legge n. 403 del 1971, istitutiva di tale

sicché lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul territorio nazionale, con la
conseguenza che i titoli rilasciati all’esito dei corsi in questione non potevano, in
realtà, fruire di alcun riconoscimento automatico, con piena equiparazione al titolo di
fisioterapista acquisito nel vecchio ordinamento sulla base di percorsi didattici i cui
contenuti erano stati precisamente normati.
Il D.I. 27 luglio 2000, è stato, quindi, ritenuto esente da profili di illegittimità,
“prendendo lo stesso atto di una situazione di base contrassegnata dall’evidente
disparità dei vari percorsi formativi, selezionando all’interno di essi quelli ritenuti in
grado di fornire all’operatore una formazione di livello adeguato all’esercizio di una
attività professionale altrimenti riservata a soggetti che abbiano conseguito il
diploma di scuola media superiore ed abbiano positivamente frequentato un corso di
laurea triennale”.
Nel contesto normativo evidenziato, del tutto irrilevante appare, quindi, l’evocato
principio di irretroattività della legge, dal momento che scopo della normativa in
esame è stato proprio quello di regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo
ordinamento delle professioni sanitarie, stabilendo criteri e modalità per garantire, in
un settore particolarmente sensibile e delicato, l’equivalenza dei nuovi titoli
professionali a quelli preesistenti, e, quindi, omogenei livelli professionali, anche
attraverso la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione (v. legge n. 42 del
1999, art. 4, comma 2).

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professione sanitaria ausiliaria, non dettava norme sul relativo percorso formativo,

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8. Infondato è anche il terzo motivo.
Premesso che, alla luce del quadro normativo evidenziato, il possesso di un titolo
di massofisioterapista conseguito all’esito di un corso biennale (come quello

dell’attività professionale, ha accertato, per il resto, la Corte partenopea che la
lavoratrice non aveva dedotto, né tantomeno provato, di aver frequentato, o almeno
iniziato a frequentare, un corso per il conseguimento di un valido titolo per
l’esercizio della professione di fisioterapista, sicché l’impossibilità della prestazione
non si configurava più solo come temporanea, ma era divenuta definitiva.
A fronte di tale accertamento, le considerazioni svolte dalla ricorrente
improntate sull’assenza di concreti pregiudizi derivati per il datore di lavoro dalla
permanenza presso il Centro della dipendente pur sprovvista di idoneo titolo
professionale, non evidenziano, comunque, sotto qual profilo non siano, nel caso,
ravvisabili i presupposti della fattispecie normativa dell’art. 1464 cod. civ., tenuto
conto del necessario nesso di collegamento che deve sussistere fra il possesso di
idoneo titolo abilitativo e lo svolgimento della relativa attività professionale, in
relazione ai requisiti professionali richiesti dalla legge per l’erogazione delle
prestazioni sanitarie eseguibili nella struttura, e della prognosi negativa che, alla luce
delle circostanze del caso concreto, ha ritenuto di dover formulare la Corte di merito
circa la possibilità di una proficua ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro.
Tanto basta per affermare la legittimità del recesso ex art. 1464 c.c., rispetto al
quale, per come ha chiarito questa Suprema Corte, è indispensabile stabilire di volta
in volta se vi siano elementi in grado di rendere oggettivamente prevedibile la
cessazione dell’impossibilità ed il tempo occorrente, potendo, in tal contesto, le

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posseduto dalla ricorrente) non era più valido per abilitare allo svolgimento

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ragioni organizzative dell’impresa giustificare l’interesse alla risoluzione del
rapporto di lavoro anche in caso di assenza prevedibilmente di breve durata, come, al
contrario, escluderne l’interesse in caso di assenza prevedibilmente prolungata, ma

9. Non accoglibile è, infine, l’ultimo motivo.
Ha accertato, al riguardo, la Corte territoriale che la società intimata aveva
sofferto di una riduzione di quasi il 50% della “capacità operativa annuale”, con
conseguente ridimensionamento del personale ammesso al rimborso, e che, peraltro,
la ricorrente stessa non aveva fornito nessuna, sia pur minima, allegazione circa la
possibilità di essere adibita ad altre mansioni.
Trattasi di valutazione di merito, motivata in termini sufficienti e non
contraddittori e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.
10. In definitiva il ricorso va rigettato.
11. Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, sulla quale constano due soli
recenti precedenti di legittimità, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti
le spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2013
Il consigliere esten

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pur sempre entro i confini della ragionevolezza (v., ex multis, Cass., 1591/2004).

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