Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25072 del 23/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 03/07/2017, dep.23/10/2017),  n. 25072

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3416-2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO GIPPONE;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO

MAES, 50, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FABRIZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CINZIA COLOMBO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3125/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata l’08/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel 2013 il Tribunale di Como pronunciava la separazione personale dei coniugi P.M. e B.L., con addebito a quest’ultima, affidava il figlio A. ad entrambi i genitori con collocamento presso la madre, regolamentava i rapporti padre-figlio, assegnava la casa coniugale alla B., poneva a carico del P. un contributo di Euro 600,00 mensile a titolo di mantenimento del figlio, oltre le spese straordinarie.

In sede d’appello, la B. impugnava la decisione e, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, chiedeva: l’eliminazione dell’addebito per porlo a carico del marito; una modifica della regolamentazione dei rapporti padre-figlio; la corresponsione di un contributo di Euro 500,00 mensili a titolo di mantenimento per sè medesima a carico del marito.

Il P. si costituiva in giudizio, opponendosi all’appello e chiedendo in via incidentale: la riduzione del contributo a proprio carico ad Euro 400,00 mensili a titolo di mantenimento del figlio, oltre il 50% delle spese straordinarie; una modifica della regolamentazione dei rapporti padre-figlio; in via subordinata, la riduzione della quota di partecipazione alle spese straordinarie al 50%.

La Corte territoriale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla B., nonchè sull’appello incidentale proposto dal P., così provvedeva:

– revocava la dichiarazione di addebito della separazione alla B.. L’episodio di abbandono del domicilio familiare con sottrazione del minore posto dal Tribunale a base della dichiarazione di addebito non ha avuto alcun rilievo causale rispetto alla rottura del vincolo matrimoniale, dal momento che il ricorso per separazione era stato depositato a ridosso dell’abbandono e il rapporto si era iniziato a logorare progressivamente fin dalla nascita del figlio;

– poneva a carico del P. un contributo di Euro 300,00 mensili a titolo di mantenimento della moglie dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. Il giudice d’appello riteneva che la B. avesse diritto ad un contributo perchè le sue condizioni non le avrebbero consentito di conservare un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio. La misura del contributo va contenuta in Euro 300,00 rispetto alla somma richiesta di Euro 500,00, dal momento che le complessive condizioni di salute della B. non le impediscono di trovare un’occupazione e, d’altra parte, il P. è passato da un reddito di Euro 44.640,00 (anno d’imposta 2010) ad un reddito di Euro 50.030,00 (anno d’imposta 2012);

– modificava il regime di visita del padre al figlio;

– rigettava le richieste incidentali relative alla riduzione del contributo a carico del padre nei confronti del figlio e la rimodulazione delle spese straordinarie nella misura del 50%. Il contributo a titolo di mantenimento del figlio non poteva essere ridotto ad Euro 400,00, dal momento che le esigenze del figlio erano aumentate e il reddito del P. era compatibile con tale assegno. Riguardo alla percentuale delle spese straordinarie non appariva giusto porle a carico di entrambi nella misura del 50%. Per le spese di educazione era già previsto che fossero concordate tra i genitori, per cui P. era tutelato da un eccesso di pretese della B. e il suo reddito consentiva di tutelare il figlio per le spese mediche al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale e per le spese di istruzione.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione dal P., affidato a tre motivi. La B. resisteva con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Con il primo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla statuizione sull’addebito. Il ricorrente ha contestato la decisione del giudice d’appello di escludere l’addebitabilità della separazione in capo alla B., rilevando che alla luce degli accertamenti svolti nel primo grado del giudizio non vi era una situazione d’intollerabilità anteriormente all’abbandono del domicilio familiare con contestuale sottrazione di minore da parte della B.: era questo il reale motivo della sopravvenuta intollerabilità.

Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, n. 3 nonchè omessa, erronea ed insufficiente motivazione in ordine alla ripartizione dell’onere della prova relativamente al dedotto abbandono del domicilio coniugale e sottrazione di minore. Il ricorrente ha evidenziato che la Corte d’appello avrebbe basato il suo convincimento su una diagnosi molto superficiale e contraddittoria dei fatti esaminati. Inoltre non avrebbe tenuto conto del principio secondo il quale sarebbe spettato alla B. di provare che l’abbandono del domicilio coniugale con contestuale sottrazione del minore fossero intervenuti nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si fosse già verificata ed in conseguenza di tale fatto;

Con il terzo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, n. 3: nonchè omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla statuizione relativa all’assegno di mantenimento in favore della moglie. Il ricorrente ha contestato la previsione di un contributo, a carico dello stesso, a titolo di mantenimento della moglie, dal momento che, essendo riconosciuta in capo alla B. la capacità di produrre reddito e l’insussistenza di motivi ostativi al lavoro, non sarebbero state considerate le dimissioni volontarie dal suo ultimo impiego e la circostanza di non aver neanche tentato di trovare alcuna altra occupazione.

Preliminarmente deve rilevarsi che le censure ex art. 360 c.p.c., n. 5 sono radicalmente inammissibili essendo riferite al vecchio paradigma normativo del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 e non a quello attualmente vigente ed applicabile alla controversia.

I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto in gran parte ripetitivi. In essi le censure, pur essendo formulate astrattamente anche come vizio di violazione di legge, appaiono rivolte a richiedere un non consentito riesame dei fatti, in particolare in ordine alla causa effettiva dell’addebito, individuata, con indagine di fatto e motivazione insindacabile, nel logoramento intervenuto fin dalla nascita del figlio, escludendo rilievo all’allontanamento dalla casa coniugale. In ordine all’onere della prova relativo all’allontanamento dall’abitazione familiare, deve rilevarsi che la censura non coglie nel segno, perchè la Corte d’appello ha individuato una causa diversa dell’intollerabile prosecuzione del rapporto coniugale. Peraltro è stato di recente ribadito che anche nel caso dell’ allontanamento dalla casa coniugale e di richiesta di addebito a tale condotta conseguente, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (Cass. Civ. n. 19328 del 2015). Al coniuge che si è allontanato spetta provare la giusta causa dell’allontanamento, ma non per effetto della inversione dell’onus probandi in ordine al nesso di causalità, ma all’esclusivo fine di escludere che tale condotta possa essere qualificata come causa d’addebito.

Il terzo motivo è inammissibile perchè sostanzialmente rivolto a censurare l’accertamento di fatto svolto dalla Corte d’appello in ordine alla comparazione tra le due situazioni economico patrimoniali. Al riguardo deve rilavarsi che dalla Corte è stata presa in considerazione la potenzialità lavorativa della controricorrente ed è stato ridotto il contributo rispetto a quello richiesto, senza però ritenere tale circostanza una causa di esclusione del diritto a tale contributo, in considerazione degli altri fattori da tenere in considerazione nella valutazione da svolgere da parte del giudice del merito. L’accertamento in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi è stato compiuto in maniera concreta, essendosi fondata la decisione su un apprezzamento relativo a dati realmente esistenti, quali la condizione reddituale del ricorrente. Inoltre, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. Civ. n. 21603 del 2013).

La memoria depositata dal ricorrente, reiterando le argomentazioni svolte nel ricorso, non offre elementi per superare i predetti rilievi. In particolare, in ordine al profilo concernente l’abbandono del tetto coniugale da parte della B. quale causa della separazione, la Corte territoriale ne ha escluso, con giudizio di fatto, la rilevanza causale con motivazione in questa sede non censurabile.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi Euro 3000 per compensi, 100 per esborsi oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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