Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2507 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 27/01/2022), n.2507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29690-2019 proposto da:

LAD DI A. E G.L. SNC, rappresentate e difese

dall’avvocato MARIO CORSIERO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CASSINO, depositata il

01/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2022 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Lad s.n.c., essendo stata nominata custode giudiziario di merce costituita da trecento latte in plastica vuote e per uso detersivo, proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Cassino aveva determinato i compensi spettantile per l’attività svolta, riducendo la somma richiesta ad Euro 1.000,00, così equitativamente determinata.

Il Tribunale di Cassino in sede di opposizione, con ordinanza del 30 luglio 2019, ha rigettato il gravame, confermando il decreto opposto.

Ad avviso del giudice, il ricorso al criterio equitativo non era errato, attesa l’assenza di parametri predeterminati di liquidazione.

Il diverso precedente invocato dalla ricorrente non era pertinente in quanto lo stesso (Cass. n. 20583/2017) confermava che in assenza di usi locali, occorresse liquidare il compenso per la custodia di beni diversi da quelli contemplati dal D.M. n. 265 del 2006, ai sensi dell’art. 2233 c.c., comma 2, in base all’importanza dell’opera svolta e previa acquisizione del parere della categoria professionale di appartenenza.

Poiché tale ultima norma detta un criterio elastico di liquidazione, quella effettuata nel decreto opposto risultava congrua, avuto riguardo alla natura dei beni custoditi, allo spazio occupato ed al tempo trascorso, senza che alla custode fosse stata richiesta alcuna altra attività supplementare.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la LAD di A. e G.L. S.n.c. sulla base di un motivo.

Il Ministero della Giustizia ha resistito ai soli fini dell’eventuale discussione orale.

Il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 58, 59 e 276 nonché del D.M. 2 settembre 2006, n. 265, art. 5.

Si deduce che erroneamente il giudice che aveva emesso il decreto opposto aveva fatto applicazione di una norma, e precisamente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 59, non più applicabile, una volta emanato il D.M. n. 265 del 2006, procedendo ad una liquidazione secondo equità non più consentita.

Il motivo è fondato.

A tal fine deve ricordarsi che il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 58, prevede che al custode, diverso dal proprietario o avente diritto, di beni sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, e, nei soli casi previsti dal codice di procedura civile, al custode di beni sottoposti a sequestro penale conservativo e a sequestro giudiziario e conservativo, spetta un’indennità per la custodia e la conservazione, da determinarsi sulla base delle tariffe contenute in tabelle, approvate ai sensi dell’art. 59 (con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, commi 3 e 4), e, in via residuale, secondo gli usi locali.

Il D.M. 2 settembre 2006, n. 265, art. 5, per la determinazione dell’indennità di custodia e conservazione relativa ad altre categorie di beni, diversi da veicoli e natanti, dispone di far riferimento, in via residuale, agli usi locali, come previsto dal Testo Unico Spese di Giustizia, art. 58, comma 2.

Nella fattispecie, deve reputarsi pacifica la non diretta riconducibilità dei beni oggetto di causa nel novero di quelli per i quali è intervenuta la disciplina di cui al citato D.M., risultando quindi altrettanto pacifica la non applicabilità delle corrispondenti previsioni.

La mancata adozione di tariffe per la tipologia dei beni oggetto di causa impone, quindi, di dover far ricorso agli usi locali, dovendo escludersi il ricorso a criteri alternativi ovvero il richiamo all’equità.

Reputa il Collegio di dover assicurare continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11553/2019), che ha ritenuto ad esempio condivisibile il ricorso alle tariffe approvate dall’Agenzia del Demanio di Roma, in quanto ritenute corrispondenti agli usi locali cui la norma fa richiamo. Ed, infatti, una volta ribadito che l’art. 8 preleggi gen., prevede che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati (consuetudo secundum legem), situazione che ricorre nella fattispecie in forza dell’espresso richiamo operato agli usi da parte del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58 e dal D.M. n. 296 del 2006, art. 45, non ignora il Collegio come nella giurisprudenza di questa Corte sia del tutto consolidato il principio, fondato sull’obbligo del giudice di conoscere la legge, ma non anche gli usi, che questi ultimi, ove il giudice non ne sia a conoscenza, debbono essere provati (anche per quanto riguarda l’elemento dell’opinio iuris ac necessitatis) a cura della parte che li allega, e la relativa prova non può essere fornita per la prima volta nel giudizio di legittimità (ad esempio: Sez. 1, 01/03/2007, n. 4853 con ampi richiami: Cass. 18/6/1956 n. 2158; 4/10/1956 n. 3348; 17/10/1961 n. 2183; 30/10/1963 n. 2909; 4/5/1965 n. 795; 19/5/1965 n. 980; 18/2/1967 n. 406;17/4/1968 n. 1131; 18/4/1969 n. 1229; 9/6/1972 n. 1823; 21/11/2000 n. 15014).

Deve però ritenersi che nell’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 58, possa attribuirsi valore di uso anche a criteri determinativi dei compensi connotati in fatto dalla loro osservanza abituale, che ben può riconoscersi nel fatto che le Prefetture locali ne facciano uso abituale per compensare i custodi di beni sequestrati in via amministrativa.

Quanto all’obiezione secondo cui l’esistenza degli usi presuppone la loro osservanza da parte della collettività nella convinzione della loro cogenza, sicché sarebbe necessario anche accertare tale elemento, la cosiddetta opinio juris ac necessitatis, che implica la ripetizione abituale della condotta da parte dei consociati nella convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico, va ricordato che secondo un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che si va consolidando e di cui è espressione proprio Cass. n. 11553/2019 citata, in tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, la determinazione dell’indennità di custodia per i beni diversi da quelli ivi espressamente contemplati va operata, ai sensi del citato D.M. n. 265 del 2006, art. 5 e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, comma 2, sulla base degli usi locali, senza che, per questi, occorra verificare la ricorrenza del requisito della opinio iuris ac necessitatis, ossia dalla convinzione, comune ai consociati, dell’obbligatorietà dell’osservanza delle tariffe, poiché il recepimento e la legittimazione delle prassi dei corrispettivi applicati nella pratica commerciale deriva direttamente dal rinvio operato dalla disciplina legale.

Infatti, poiché sono le stesse norme di legge e di regolamento a rinviare alla pratica commerciale, il rinvio vale, di per sé, a recepire e a legittimare, ai fini della determinazione dell’indennità di custodia, la prassi dei corrispettivi applicati dalle imprese del settore, senza che occorra che l’elemento materiale dell’uso, inteso come costante ripetizione del comportamento tariffario, sia anche assistito dalla opinio iuris (Sez. 6-2, 18/01/2016, n. 752, e le pronunce conformi in pari data n. 753, 755 e 756, nonché 19/1/2016, n. 775 e 776; poi, in seguito: Sez. 2, 4/5/2018 n. 10622; Sez. 2, 7/7/2017 n. 21649; Sez. 2, 15/9/2017 n. 21388).

Nella specie, la ricorrente aveva avanzato la propria richiesta facendo riferimento alle tariffe emanate dalla Prefettura di Caserta (nel cui territorio opera la società) sicché, una volta esclusa la correttezza del riferimento all’equità, il giudice adito avrebbe dovuto verificare se, pur in assenza di tariffe validamente approvate ai sensi del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, alle tariffe de quibus potesse attribuirsi il carattere di usi locali, secondo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata.

Il ricorso deve pertanto essere accolto, ed il provvedimento impugnato cassato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cassino, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Cassino in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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