Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25065 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 09/11/2020), n.25065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16162-2019 proposto da:

S.A., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Elisabetta Costa del foro di Padova che lo

rappresenta e difende (pec:

elisabetta.costa.ordineavvocatipadova.it);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1509/2019 (pubbl. il 9/4/2019) della Corte di

appello di Venezia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/10/2020 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.A., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 1509/2019 della Corte di appello di Venezia che ha respinto – con condanna alle spese e revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio – l’appello avverso l’ordinanza del tribunale di Venezia, la quale aveva confermato il diniego della Commissione territoriale di Verona – Sez – di Padova, in ordine alle sue domande di protezione sussidiaria e di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; svolgendo due motivi ne chiede l’annullamento.

2. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il primo motivo con cui si denuncia la “carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”, con particolare riguardo all’esclusione dei requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato, è inammissibile.

Invero, a parte i rilievi di genericità in cui il motivo incorre sin dalla sua titolazione – facendosi riferimento ad un profilo di censura, quale quello attinente alla carenza di motivazione, non denunziabile in questa sede ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la doglianza risulta inammissibile avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in punto di credibilità del narrato del richiedente e in ordine al dovere di cooperazione istruttoria che incombe al giudice del merito. Al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925/2018; v. Cass. n. 3340/2019, fra le molte). Nel caso in esame, la sentenza impugnata, mediante una valutazione unitaria delle dichiarazioni rese, ha rilevato come le incongruenze o le discrasie del racconto del richiedente lo status di rifugiato attenessero ad aspetti non affatto secondari della vicenda, involgendo, al contrario, elementi fattuali di pregnante significato, con particolare riguardo: agli eventi che lo avrebbero determinato ad allontanarsi dal (OMISSIS), riferiti in modo vago e generico, non denunziati alla Polizia pur a fronte di fatti di spiccata gravità quali l’omicidio dei suoi stretti congiunti; al momento ed alle ragioni della fuga dal Paese di origine, esistendo un’evidente contraddizione tra quanto inizialmente riferito alla Commissione territoriale (assenza di parenti in (OMISSIS) e di notizie del fratello) e poi precisato nell’atto di appello (ove ha affermato di non voler far ritorno in (OMISSIS) per il timore di essere ucciso dai ribelli); alla successione logico-temporale degli eventi, avendo riferito che il fratello, inizialmente fuggito con lui, avrebbe fatto ritorno in Patria – lasciandolo solo in (OMISSIS) – all’età di anni dieci e per controllare, dopo un anno e mezzo dalla partenza – se ancora vi fosse il bestiame. Inammissibile, quindi, si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale valutazione è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, e come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra le molte: Cass. n. 340/19); qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. ex multis: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre.

4. Inammissibile risulta anche il secondo motivo di ricorso con cui si deduce la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”, a proposito dell’irrilevanza dei fatti narrati dal richiedente ai fini dell’esclusione della protezione sussidiaria/umanitaria, alla luce della situazione storico-sociale esistente in (OMISSIS).

La censura, infatti, è del tutto generica, in quanto da un lato finisce per riproporre quanto enucleato con la prima doglianza, motivatamente disattesa dalla sentenza impugnata con riguardo all’assenza di condizioni personali di vulnerabilità del richiedente e, dall’altro, quanto alla situazione del Paese di origine, si limita ad indicare una possibile “criticità”, omettendo di confrontarsi con le puntuali ragioni addotte dalla sentenza impugnata per escludere, anche sotto tale aspetto, le ulteriori forme di protezione richieste. Infine, del tutto omesso nel ricorso è il profilo relativo all’avvenuta integrazione sociale del richiedente in Italia, di cui non si fa neppure menzione.

5. In conclusione, va dichiarato inammissibile il ricorso. Nulla per le spese in ragione del fatto che l’Amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

6 Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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