Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25061 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 09/11/2020), n.25061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10456-2019 proposto da:

T.B., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato presso la

cancelleria sezionale della Corte di cassazione e difeso dall’Avv.

Massimo Gilardoni, del foro di Brescia che lo rappresenta e difende

(pec: massimo.gilardoni-brescia.pecavvocati.it):

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3075/2018 (pubbl. il 9/11/2018) della Corte di

appello di Venezia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/10/2020 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.B., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 3075/2018 della Corte di appello di Venezia che ha respinto – con condanna alle spese e revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio – l’appello avverso l’ordinanza del tribunale di Venezia che aveva confermato il diniego della Commissione territoriale di Verona in ordine alle domande per il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria ovvero ancora di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; svolgendo tre motivi ne chiede l’annullamento.

2. Con controricorso si è costituto il Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso principale. Con vittoria di spese di giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Preliminarmente rileva il Collegio che sussiste una causa di improcedibilità del ricorso che deve essere rilevata d’ufficio (Cass. 20.7.2004 n. 14569; Cass. 10.7.2007, 15368; 24178/2016; 10748/2015; 19939/2017) e che non consente alcun esame del ricorso stesso. Invero, parte ricorrente, insieme col ricorso, risulta avere depositato la copia della sentenza impugnata che contiene soltanto le pagine con numerazione dispari, mancando quelle pari. Sul punto, di fronte alla chiarezza della disposizione normativa che impone il deposito della copia autentica della sentenza impugnata ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione (art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), non si registrano incertezze nella giurisprudenza di questa Corte, la quale esclude che al mancato deposito di questa copia della sentenza possa supplirsi con la conoscenza che della stessa sentenza si attinga da altri atti del processo (v. Cass. n. 6712 del 2013), così come esclude che sia possibile per il ricorrente evitare la sanzione dell’improcedibilità “mediante equipollenti, quali il deposito da parte del controricorrente di copia della sentenza stessa o l’esistenza della medesima nel fascicolo d’ufficio” (v. Cass. n. 888 del 2006; Cass. n. 14207 del 2015). La fermezza della posizione, che non riguarda solo le ipotesi di sentenza notificata e della necessità nel caso di produrre la relativa relata di notifica, è tale che è stata ritenuta “manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nella parte in cui stabilisce che il ricorso per cassazione è improcedibile quando il ricorrente non abbia depositato copia autentica del provvedimento impugnato, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., in quanto la norma mira a garantire, non irragionevolmente, le esigenze di certezza della conformità della copia del provvedimento all’originale, stabilendo un adempimento che non è particolarmente complesso, e non si pone in contrasto con le regole che devono improntare il giusto processo e neppure ostacola apprezzabilmente l’esercizio del diritto di difesa” (Cass. n. 22108 del 2006). Pertanto il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 788/2019 della Corte di appello di Venezia.

4. In conclusione, va dichiarata l’improcedibilità del ricorso condannandosi il ricorrente, stante la soccombenza, a rifondere le spese all’Amministrazione controricorrente, liquidate come in dispositivo.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

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