Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25059 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 09/11/2020), n.25059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 657/2018 proposto da:

G.A.L.M., G.F.P.M., quali

eredi di D.C.G., elettivamente domiciliati in Roma, Viale

Mazzini n. 41, presso lo studio dell’avvocato Sepiacci Fabrizio,

rappresentati e difesi dall’avvocato Turturici Antonino, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Menfi, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Piazzale Clodio n. 12, presso lo studio

dell’avvocato Traina Salvatore, rappresentato e difeso dall’avvocato

Gagliano Leonardo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

D.C.C.T., Di.Ca.Gi., D.T.M.,

Gi.An., Gi.Fr., Gi.Ga.,

V.F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2110/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2020 dal cons. Dott. MELONI MARINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’inammissibilità dei primi

due motivi del ricorso, assorbito il terzo motivo;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Turturici A. che si riporta ed

insiste per l’accoglimento;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Gagliano L. che si

riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Sciacca con sentenza n. 379/2009 rigettò la domanda proposta dal dante causa dei ricorrenti, D.C.G., di retrocessione delle porzioni di terreno oggetto di esproprio da parte del Comune di Menfi, occupate dalla baracca a suo tempo impiantata dalla Associazione Italiana Protezione Infanzia (AIPI) nonchè la contestuale domanda di risarcimento dei danni.

Su appello dei ricorrenti la Corte di Appello di Palermo confermò la sentenza 379/2009 del Tribunale di Sciacca.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo hanno proposto ricorso per cassazione i ricorrenti G.A. e G.F. affidato a tre motivi e memoria. Il Comune di Menfi resiste con controricorso e memoria.

Il ricorso trattato all’adunanza camerale della sesta sezione del 27/9/2019 è stato rinviato per la trattazione in pubblica udienza ex art. 380 bis c.p.c., comma 3.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione ovvero della motivazione apparente e/o perplessa in quanto la Corte di Appello di Palermo ha rigettato la domanda di retrocessione sul presupposto che non era stata fornita la prova del decreto di esproprio per i terreni di cui alla domanda mentre, al contrario, tale prova emergeva con palese evidenza dal testo della sentenza pronunciata tra le parti dal Tribunale di Sciacca n. 24/1980. La predetta sentenza n. 24/1980 passata in giudicato e richiamata per relationem dalla stessa Corte a sostegno della propria motivazione, contiene, secondo i ricorrenti, l’accertamento giudiziale che il decreto di espropriazione si riferisce sia alla particella (OMISSIS) sia ai terreni diversi da quello indicati in catasto alla particella (OMISSIS).

Affermano i ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza – dell’avviso che la proposta domanda non potesse trovare seguito non essendo provata, neppure alla luce del precedente richiamato dai deducenti, l’intervenuta espropriazione dei fondi – la predetta sentenza del Tribunale di Sciacca n. 24/1980 aveva fatto riferimento alle particelle costituenti il compendio richiesto in retrocessione riconoscendone in più passaggi l’intervenuto esproprio, sicchè, essendo passata in giudicato, risultava giudizialmente accertato che per i terreni occupati era stato emesso il decreto di esproprio.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Infatti anzitutto nella sentenza del Tribunale di Sciacca n. 24 del 1980 passata in giudicato vengono citate le particelle (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) solo incidentalmente, in quanto la pronuncia conclusiva è quella di dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Inoltre il motivo è privo di autosufficienza dal momento che l’illustrazione del motivo si limita a riportare pretese considerazioni figuranti nel deliberato del Tribunale di Sciacca senza riprodurne nei suoi esatti i termini sia la domanda azionata in quella sede sia le statuizioni ivi adottate, onde è preclusa a questa Corte ogni valutazione circa la conferenza e la decisività dell’operata allegazione; e ciò non senza pure incidentalmente osservare che il giudicato si forma in ordine al bene della vita oggetto di pronuncia, mentre nella specie si ha ragione di credere, a quanto consta dai sommari cenni riportati, che essendo stati gli interessati già indennizzati nelle more del giudizio, nessuna pronuncia siffatta sia stata adottata, essendo stata infatti dichiarata perciò la cessazione della materia del contendere.

La censura in riferimento alla motivazione fuoriesce palesemente dal perimetro dell’attuale ricorribilità per cassazione del vizio motivazionale, che non contempla più la fattispecie della contraddittorietà della motivazione; nè, peraltro, neppure nella lezione nomofilattica dispensata dalle SS.UU. (Cass., Sez. U, 7/04/2014, nn. 8053 e 8054), essa risulterebbe decisiva, dal momento che la Corte d’Appello ha inteso richiamarsi al citato precedente – dando luogo in tal modo ad un apprezzamento non censurabile in questa sede – al solo fine di escluderne la concludenza rispetto alla vicenda al suo esame, osservando infatti che “in particolare non è chiaro se la sentenza 24/1980 (emessa dal Tribunale di Sciacca in un precedente giudizio) si riferisca a tutto il terreno in questione ovvero solo a quello indicato, in catasto, nella particella (OMISSIS)”. Comunque, dalla menzionata sentenza non può desumersi la prova del decreto di esproprio per i terreni diversi da quello indicato, in catasto, alla particella (OMISSIS)”.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63 perchè, posto che i beni in questione erano stati irreversibilmente trasformati, l’espressione “fatta l’espropriazione”, figurante nella norma di cui sopra quale presupposto per far luogo alla retrocessione, non andava interpretata in senso stretto con riferimento al solo decreto di espropriazione, ma come acquisizione delle aree da espropriare al patrimonio pubblico, che potrebbe realizzarsi oltre che in forza del decreto di espropriazione sia per effetto di cessione volontaria che di occupazione invertita, in ogni caso determinandosi il presupposto richiesto dalla norma.

Infatti nel caso di specie era ipotizzabile un’accessione invertita per irreversibile trasformazione del fondo occupato o anche una cessione volontaria dello stesso in quanto sul fondo risultava realizzato un edificio dotato di tutte le infrastrutture necessarie al suo funzionamento che, sebbene non adibito all’uso indicato nella dichiarazione di pubblica utilità (scuola materna) di fatto era utilizzato per finalità di interesse collettivo.

Il secondo motivo è anch’esso inammissibile poichè esso introduce nel giudizio, ben oltre i limiti in cui il mutamento della domanda è consentito in ragione della inerenza alla medesima vicenda sostanziale, una domanda, per causa petendi, del tutto nuova rispetto a quella inizialmente introdotta dal deducenti, onde essa, non avendo formato oggetto di alcuna disamina nelle pregresse fasi di cognizione, non è conseguentemente scrutinabile da questa Corte, il cui giudizio può avere ad oggetto solo questioni esaminate nei precedenti gradi di merito.

Con il terzo motivo i ricorrenti reiterano la censura afferente alla L. n. 2359 del 1865, art. 63 sul presupposto che espropriazione ed accessione invertita siano equivalenti ai fini della retrocessione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 lamentando, contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza che, sebbene destinata a diversa finalità, l’opera pubblica realizzata nella specie non poteva comunque considerarsi diversa da quella prevista nella dichiarazione di pubblica utilità, per cui la richiesta retrocessione andava disposta in quanto operante non solo se l’opera pubblica non fosse stata realizzata ma anche se fosse stata destinata ad una diversa finalità.

Il terzo motivo resta assorbito, giacchè dichiarando inammissibile il secondo motivo di ricorso, resta fermo il fatto, pure affermato in sentenza, che alla retrocessione può darsi seguito solo se sia provato l’esproprio delle aree chieste in restituzione, onde in difetto di ciò, posto che la fattispecie della retrocessione postula una duplice condizione (intervenuta espropriazione e mancata realizzazione dell’opera), viene a mancare il requisito dell’esproprio e la fattispecie non si perfeziona, con l’effetto perciò di rendere superfluo il giudizio riguardo alla rilevanza nella specie della diversa destinazione dell’opera.

In considerazione di quanto sopra il ricorso deve essere respinto ed i ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in favore del controricorrente in complessive Euro 3.000,00 oltre spese ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis alle spese del giudizio di legittimità. Condanna alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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