Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25058 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 09/11/2020), n.25058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21037/2015 proposto da:

C.C., R.C., R.K., tutte quali eredi di

R.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Nomentana n.

911, presso lo studio dell’avvocato Muratori Leopoldo, rappresentati

e difesi dall’avvocato Pietropaolo Ferdinando, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, Agenzia del Demanio, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

contro

G.F.A., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 934/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2020 dal cons. Dott. MELONI MARINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Muratori, con delega scritta avv.

Pietropaolo, che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio del Registro di Vibo Valentia intimò a R.G. il pagamento della somma di Lire 21.476.000 oltre spese ed interessi a titolo di occupazione abusiva di suolo demaniale sito in (OMISSIS) su cui insisteva un manufatto a tre piani di mq 264 di pertinenza demaniale marittima.

Su opposizione di R.G., dante causa delle attuali ricorrenti, il Tribunale di Vibo Valentia con sentenza del 14/9/2005 rigettò l’opposizione e dichiarò legittima l’ingiunzione di pagamento oggetto della domanda sul presupposto che trattavasi di terreno ricadente in zona demaniale.

Su appello di R.G., la Corte di Appello di Catanzaro confermò la sentenza di primo grado in quanto ritenuta infondata l’eccezione di sdemanializzazione del terreno sul quale sorgeva il manufatto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro hanno proposto ricorso per cassazione le eredi legittime di R.G. affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio resistono con controricorso.

Il presente ricorso è stato trattato nell’udienza camerale della sesta – 1 sezione civile del 5/12/2016 e rinviato in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti C.C., R.K. e R.C. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 c.n. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè la Corte di Appello di Catanzaro ha respinto l’opposizione ad ingiunzione ritenendo la natura demaniale del terreno oggetto di occupazione sulla base di inammissibili presunzioni di legge e di documentazione priva di rilevanza probatoria nonchè per la mancanza di prova, il cui onere secondo la Corte di merito gravava su parte ricorrente, in ordine alla sdemanializzazione del terreno per cui è causa.

Il primo motivo è infondato e deve essere respinto.

La Corte di Appello di Catanzaro, nella sentenza impugnata, ha ritenuto infondato il motivo di gravame proposto dalle ricorrenti ritenendo che “non ricade sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare la demanialità di un terreno giacchè il demanio marittimo è descritto dalla legge mentre è sul soggetto che oppone una sdemanializzazione che grava l’onere di dimostrarla”. Premesso sul punto che, contrariamente a quanto afferma il giudice territoriale, nel giudizio di opposizione ad ingiunzione l’onere della prova della demanialità del terreno ricade senz’altro sull’Amministrazione (sul punto Cass. Nr. 9989 del 16/5/2016) ed in tal senso va corretta la motivazione della decisione impugnata, occorre considerare che le stesse ricorrenti non negano l’originaria natura demaniale del terreno pur sostenendo la successiva “sdemanializzazione” il cui onere della prova su di esse gravante non risulta adempiuto.

Infatti la Corte di Appello di Catanzaro ha ricostruito la vicenda ed accertato, sulla base della CTU espletata in giudizio, che la Capitaneria di Porto di Vibo Valentia ha preso in consegna il fabbricato ai sensi dell’art. 49 c.n. accatastandolo a nome del Demanio Pubblico dello Stato “ramo marina mercantile”. A seguito della domanda proposta nel 1976 di sdemanializzazione del terreno, il Ministro della Marina Mercantile ha autorizzato il rilascio della concessione per il completamento dei lavori del fabbricato a condizione che lo stesso fosse acquisito al demanio marittimo come pertinenza alla scadenza della concessione e pertanto, non risultando provata la “sclassifica del terreno” alla scadenza della concessione, il terreno ed il fabbricato risultano acquisiti al demanio dello Stato.

Con il secondo motivo di ricorso le ricorrenti C.C., R.K. e R.C. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 35 c.n. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello di Catanzaro ha negato la sdemanializzazione di fatto di un bene compreso nel demanio marittimo mentre, al contrario, ricorrono nella fattispecie le condizioni per ritenere la sdemanializzazione di fatto del bene oggetto di occupazione e cioè atti univoci della P.A. incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico.

Il motivo è infondato e deve essere respinto.

Parte ricorrente pretende di riconoscere all’autorizzazione concessa alla edificazione del terreno il carattere di provvedimento formale di sdemanializzazione. A tal riguardo Sez. 2 -, Ordinanza n. 4839 del 19/02/2019 “Ai sensi dell’art. 35 c.n., la sdemanializzazione dei beni del demanio marittimo non può avvenire “per facta concludentia”, ma solo per legge o mediante l’adozione, ad opera dell’autorità competente, di un formale provvedimento che ha efficacia costitutiva, essendo basato su una valutazione tecnico-discrezionale in ordine ai caratteri naturali dell’area ed alle esigenze locali, finalizzata a verificare la sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare. Pertanto, non rilevano nè il possesso del bene da parte del privato, improduttivo di effetti ed inidoneo all’acquisto della proprietà per usucapione, nè il non uso dell’ente proprietario, con la conseguenza che l’accertamento giudiziale della non ricorrenza dei presupposti fattuali di appartenenza di un bene al suddetto demanio è del tutto privo di utilità.”

Con il terzo motivo di ricorso le ricorrenti C.C., R.K. e R.C. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 345 c.p.c. e R.D. n. 639 del 2010, art. 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè la Corte di Appello di Catanzaro ha respinto l’opposizione ad ingiunzione sebbene l’Amministrazione Finanziaria avesse unilateralmente quantificato l’indennità di occupazione da suolo demaniale in difetto di qualsiasi parametro normativo di riferimento, ritenendo che si trattasse di domanda nuova non proposta in primo grado.

Il motivo è infondato e deve essere respinto. Infatti risulta chiaramente dalla sentenza impugnata che la censura sulla regolarità formale dell’ingiunzione è stata proposta per la prima volta in grado di appello e pertanto era inammissibile. Del resto anche dalla lettura dell’atto introduttivo in data 15/10/1985 non risulta espressamente formulata una domanda in tal senso.

In considerazione di quanto sopra il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in favore del controricorrente in complessive Euro 2.500,00 oltre spese ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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