Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25053 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 16/09/2021), n.25053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24032/2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Vaticano n.

48, presso lo studio dell’avvocato Mariella Stefano, rappresentato e

difeso dagli avvocati Trinelli Edgardo, Ummarino Rodolfo, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R., in proprio e quale socio accomandatario e legale

rappresentante pro tempore della Revolver s.a.s. di G.R.

& C., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Mazzini n. 27,

presso lo studio dell’avvocato Di Gioia Giovan Candido, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Romano Pier Franco,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

O.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1585/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/04/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – G.R., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Revolver s.a.s. di G.R. e C., attivava la procedura arbitrale prevista dallo statuto sociale per far accertare la simulazione del rapporto di lavoro in essere tra la nominata società e C.F., la qualità di socio accomandatario occulto di quest’ultimo e la conseguente illimitata responsabilità personale del medesimo per le obbligazioni sociali.

Il fondamento della domanda arbitrale era contestato sia da C. che dal socio accomandante.

L’arbitro unico accoglieva la domanda di G..

2. – Il lodo era impugnato da C. e la Corte di appello di Torino, nella resistenza di G., costituitosi anche quale socio accomandatario e legale rappresentante della società Revolver, pronunciava, in data 21 agosto 2015, sentenza con cui dichiarava in parte inammissibile e in parte infondato il gravame proposto.

Per quanto qui rileva, la Corte piemontese osservava, anzitutto, che l’oggetto della domanda arbitrale era l’accertamento della qualità di socio accomandatario in capo a C., mentre la simulazione del rapporto di lavoro tra quest’ultimo e la società costituiva oggetto di un accertamento meramente incidentale, onde doveva farsi applicazione, al riguardo, dell’art. 819 c.p.c., il quale consente agli arbitri di decidere, senza efficacia di giudicato, qualunque questione pregiudiziale di merito, pur se appartenente a materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato. Affermava, poi, che la clausola compromissoria inserita nello statuto sociale debba trovare applicazione anche nei confronti di colui che contesti, o per il quale sia contestata, la qualità di socio. Infine negava sussistesse la lamentata violazione dell’art. 1417 c.c., con riferimento alla prova per testimoni della simulazione tra le parti: rilevava, infatti, per un verso, che G. aveva agito anche in nome e per conto della società, la quale non era parte del contratto simulato e osservava, per altro verso, che una scrittura privata versata in atti, e datata 4 febbraio 2011, costituiva principio di prova scritta a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1.

3. – Ricorre per cassazione contro detta sentenza, facendo valere cinque motivi, C.F.. Resiste, con controricorso, G.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 34 c.p.c., art. 1361 c.c., artt. 409 e 806 c.p.c.. Si ricorda che il ricorrente aveva fatto valere la nullità del lodo ci cui all’art. 829 c.p.c., n. 4, per aver deciso l’arbitro su materia indisponibile, e cioè sulla simulazione del contratto di lavoro tra lo stesso istante e la società, che era stata parte del procedimento arbitrale e del successivo giudizio di impugnazione. Viene altresì rammentato che la Corte di appello aveva rigettato il motivo di impugnazione affermando che i profili di simulazione del contratto di lavoro erano stati presi in considerazione, in via incidentale, conformemente alla domanda. Quest’ultima proposizione è contestata dal ricorrente, il quale rileva come la richiesta di declaratoria circa la qualità, in capo a lui, di socio accomandatario si ponga in posizione alternativa e di assoluta incompatibilità con il rapporto di lavoro subordinato.

Col secondo motivo è denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Assume l’istante che la motivazione della sentenza impugnata circa la natura incidentale dell’accertamento del rapporto di lavoro sia da considerare meramente apparente e obiettivamente incomprensibile.

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

La Corte di appello ha conferito rettamente rilievo alla previsione contenuta nell’art. 819 c.p.c., comma 1, secondo cui gli arbitri possono risolvere senza autorità di giudicato le questioni rilevanti per la decisione della controversia “anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di convenzione di arbitrato”: disposizione che si raccorda alla regola generale desumibile dall’art. 34 c.p.c., per cui, in difetto di un’espressa previsione di legge (come accade per le questioni sullo stato e la capacità delle persone) o della domanda di una delle parti, le questioni pregiudiziali debbono essere decise non con efficacia di giudicato, ma incidenter tantum. In particolare, le questioni pregiudiziali in senso logico, che investono circostanze che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa, devono essere necessariamente decise incidenter tantum, mentre le questioni pregiudiziali in senso tecnico, che concernono circostanze distinte ed indipendenti dal detto fatto costitutivo, del quale, tuttavia, rappresentano un presupposto giuridico, possono dar luogo ad un giudizio autonomo, con conseguente formazione della cosa giudicata, ma solo in presenza di espressa domanda di parte indirizzata verso la soluzione della questione stessa (Cass. 12 luglio 2005, n. 14578; Cass. 6 marzo 2001, n. 3248).

Nel caso in esame, il ricorrente assume essere stata domandata, da controparte, una “declaratoria di simulazione del contratto di lavoro”.

Ciò posto, la correlazione, richiamata dal ricorrente, tra accertamento della simulazione del contratto di lavoro e accertamento della qualità di socio accomandatario occulto è del tutto coerente con la connotazione di pregiudizialità (tecnica, nella specie) che una questione assume rispetto all’altra: tuttavia, in assenza di una domanda di G. diretta all’accertamento, con autorità di giudicato, della detta simulazione, il dato in discorso risulterebbe, per quanto detto, privo di rilievo ai fini che qui interessano. Ebbene, l’esistenza di una siffatta domanda è stata ineccepibilmente esclusa dalla Corte di merito, giacché nelle conclusioni rassegnate in sede arbitrale dall’odierna parte controricorrente compariva il seguente inciso iniziale: “previo accertamento della simulazione del rapporto instaurato con il “contratto di lavoro intermittente (o a chiamata)” stipulato in data 12.5.2011 tra la Revolver s.a.s. di G.R. e C. ed il signor C.F., con mansioni di “cameriere e barista”.

Per quanto poi concerne la censura di cui al secondo motivo, l’istante evoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, senza peraltro indicare il fatto decisivo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare e senza fornire le ulteriori indicazioni che tale ipotesi impone (cfr. Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Nel corpo del motivo si fa per la verità menzione di un vizio motivazionale riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 4. Ma – a monte del rilievo per cui, diversamente da quanto opina l’istante, la spiegazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa il fatto che la simulazione del rapporto di lavoro costituiva soltanto l’oggetto di un accertamento incidentale funzionale alla domanda vertente sulla qualità di socio accomandatario in capo a C., non risulta essere incomprensibile, né, tanto meno, apparente – è da osservare che in tema di impugnazione di un lodo arbitrale per nullità derivante da incompetenza degli arbitri, l’esame degli atti processuali da parte della Corte di cassazione non incontra limiti (Cass. 5 febbraio 1983, n. 963): in conseguenza, quel che rileva, nella presente sede, non è la motivazione spesa, al riguardo, dal giudice dell’impugnazione del lodo, quanto la correttezza, in diritto, della soluzione data da quel giudice al problema dell’estensione della cognizione arbitrale alla dedotta simulazione del rapporto di lavoro subordinato.

2. – Con il terzo motivo sono lamentate la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34. La censura investe l’affermazione della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto che la clausola arbitrale contenuta nello statuto sociale si applichi anche a colui che contesta, o per il quale è contestata, la qualità di socio. Reputa l’istante che il richiamo, contenuto nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, alla qualità di socio oggetto di controversia si riferisca solo a coloro che rivestano la detta qualità.

Il quarto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c.. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto che la società fosse soggetto terzo rispetto al contratto di lavoro simulato.

Col quinto motivo è fatto valere il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Viene lamentato che la Corte di appello, nel ritenere ammissibile la prova testimoniale della simulazione sulla base delle risultanze di una scrittura privata acquisita al giudizio, abbia mancato di spiegare le ragioni per cui tale documento avrebbe costituito principio di prova scritta a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1, come invece da essa affermato.

I tre motivi, per ragioni di continuità logica, possono esaminarsi insieme.

Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 3, prevede che la clausola compromissoria sia vincolante per la società e per tutti i soci, “inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia”.

Il tenore della disposizione non consente di restringerne la portata alle sole ipotesi in cui la controversia sulla qualità di socio riguardi i fatti estintivi di quest’ultima: deve quindi credersi che essa si estenda ai casi in cui si dibatta dei fatti costitutivi della detta qualità. In tale ultima evenienza, come osservato da autorevole dottrina, la competenza sussiste, però, solo ove vi sia stata effettiva acquisizione della qualità di socio: e a fronte di un accertamento in tal senso contenuto nel lodo, il socio che neghi di essere divenuto socio può impugnare, a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 4, la pronuncia arbitrale sottoponendo la relativa questione al giudice dell’impugnazione.

Nella controversia in esame, il tema della soggezione del ricorrente alla convenzione di arbitrato si sovrappone alla questione di merito che ha costituito oggetto del giudizio arbitrale: questione vertente, come si è visto, sulla responsabilità illimitata di C.F. in ragione dell’assunzione, da parte del medesimo, della qualità di socio accomandatario della società Revolver.

Tale questione resta viva, in questa sede di legittimità, per la proposizione degli ultimi due motivi di ricorso, con cui il ricorrente ha contestato quanto affermato dalla Corte di merito con riguardo all’ammissibilità della prova testimoniale dell’accordo simulatorio.

I mezzi di censura in discorso sono però inammissibili.

A prescindere dal difetto di autosufficienza (visto che il ricorrente non indica quale sia stato il preciso contenuto delle dichiarazioni, acquisite in sede arbitrale, reputate decisive ai fini della risoluzione della questione controversa), è da osservare che il giudice distrettuale ha speso, sul punto che interessa, una duplice ratio decidendi.

La prima è basata sul fatto che la società non era parte del contratto simulato.

La seconda ratio è incentrata sull’esistenza di un principio di prova scritta tale da rendere esperibile, a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1, la prova testimoniale ed è aggredita opponendo il vizio motivazionale (il quinto motivo, per la verità, sotto tale aspetto difetta di una certa chiarezza, dal momento che richiama, in rubrica, l’art. 360 c.p.c., n. 5, ed è poi sviluppato denunciando l’apparenza della motivazione).

Ebbene, con riguardo a questa seconda ratio decidendi, il ricorrente non può qui sollecitare un riesame del corredo documentale acquisito in sede arbitrale: infatti, nel giudizio di legittimità che investe la sentenza resa in sede di impugnazione del lodo il controllo della Suprema Corte non può mai consistere nella rivalutazione dei fatti, neppure in via di verifica della adeguatezza e congruenza dell’iter argomentativo seguito dagli arbitri (Cass. 7 febbraio 2018, n. 2985; Cass. 26 luglio 2013, n. 18136). La Corte di legittimità può, bensì, apprezzare il vizio di motivazione della sentenza che ha deciso dell’impugnazione del lodo, ma occorre considerare che in base alla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, in cui è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, e “a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 citt.). E’ pertanto preclusa la deduzione del vizio motivazionale fondata sul contenuto del documento che, ad avviso del giudice dell’impugnazione, costituisce un principio di prova scritta, a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1.

Appurato che la censura portata contro la seconda ratio decidendi non può essere accolta, la prima deve essere dichiarata inammissibile (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).

Ciò implica che anche il terzo motivo, la cui sorte era legata all’accertamento sulla qualità di socio, vada respinto.

3. – Il ricorso è in conclusione rigettato.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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